I Racconti di Angelino della Fonte

Questi racconti sono stati trascritti da me, Candida Amanzi, dopo averli ascoltati da mio padre Angelo Amanzi (1925), figlio di Ercole (1896 – 1941) e di Candida Fracassi (1895 - 1969). Pubblicati sul sito il 4 settembre 2012.

I primi ricordi della vita di Angelino

Candida: I tuoi primi ricordi a che epoca risalgono?

Angelo: Prima di frequentare la scuola elementare (1930 ca.) mio nonno paterno Luigi mi faceva partecipare alla vita contadina.

Ricordo, in particolare, che aveva un “maiale da razza” con sei o sette maialini. I “maiali da razza” venivano allevati per un puro scopo economico: i maialini venivano venduti in fiera e più ne nascevano maggiore era la rendita. I “maiali da macello” venivano allevati per uno scopo alimentare: dopo averli fatti ingrassare venivano uccisi, trascorsi tre mesi circa, per il sostentamento di un'intera famiglia.

Ricordo che tutte le mattine i proprietari dei maiali aprivano le porte delle stalle per mandarli al pascolo. I maiali, da soli, correvano per incontrarsi tutti in un punto di ritrovo, la Fonte 'abballe, dove li attendeva il PORCARO: una persona che si occupava di portare al pascolo i maiali del paese.

Una mattina in particolare, forse perché la porta della stalla non fu chiusa correttamente, la scrofa di mio nonno uscì prima del previsto, uccise alcuni agnellini e ne mangiò quanto ne potè.

La scuola elementare

Candida: Cosa ricordi della scuola elementare?

Angelo: Non avevo voglia di studiare. Mai, mai, mai! e neanche di lavorare. Tutte le mattine, da casa di mamma che si trovava davanti alla Fonte 'abballe, mi avviavo verso la scuola che si trovava al paese di su, in località “U RUSCIOE”, esattamente presso una delle case popolari sopra la FONTE DI SU, detta la casa di Mariaccia (nel 2004 proprietà di Luce Orlando).

La maggior parte delle volte non entravo. Con alcuni miei compagni ci soffermavamo nei pressi della scuola a giocare a soldini per tutta la durata delle lezioni. Quando faceva freddo o pioveva andavamo dentro al forno. Al termine delle lezioni tornavamo a casa, fingendo di avervi partecipato. Quelle poche volte che entravo in classe, passavo il tempo a disegnare o a scrivere i biglietti per i miei compagni che facevo poi girare sotto il banco.

Candida: E' capitato che la maestra dava delle punizioni?

Angelo: Si! Tutte le volte che non ero attento o che non avevo studiato mi faceva mettere in ginocchio, per circa mezz'ora, in un angolo della stanza, sui semi di granturco. Altre volte mi dava le bacchettate sul palmo della mano ben aperto.

Un ricordo particolare dell'infanzia

Candida: Hai un ricordo particolare da bambino?

Angelo: Avevo nove anni, mio padre Ercole aveva un terreno di sei coppe da coltivare. Andò al Consorzio di Rieti ad acquistare un tipo di grano, “la mentana”, e quell'anno, per la prima volta, prima della semina utilizzò il concime “bioammonico” (biologico). Lo usò due volte e mai prima di allora nacque il grano così straordinariamente folto: iniziava l'era del concime!

Nonno Luigi

Candida: Ricordi qualche episodio con tuo nonno Luigi?

Angelo: Era l'anno 1939 e un giorno andai con mio nonno al terreno sito in località “Quattro Strade”, per scaricare il letame. Era un uomo forte mio nonno, aveva 83 anni e lavorava come un giovane: caricava i sacchi del letame sul cavallo come niente fosse!

Sulla strada del ritorno lui era seduto sul “Masto” (Sella) del cavallo ed io ero seduto dietro sulla groppa. All'improvviso da un cespuglio uscì un merlo, il cavallo si spaventò muovendosi bruscamente e nonno cadde a terra battendo la testa. Si rialzò barcollante, montò a cavallo e tornammo a casa, dove abitavamo insieme (eravamo 12 persone). Da allora lamentò sempre forti mal di testa fino a che dopo qualche mese morì.

Papà Ercole

Candida: Tuo padre partì per combattere nella Guerra d'Africa (1933 – 1937). Cosa ricordi?

Angelo: Quando mio padre Ercole partì per la guerra aveva 37-38 anni. Si avviò da casa, con altri cinque compagni di Santa Anatolia, verso l'incrocio delle “Quattro strade”, perché lì passava il pullman che li avrebbe condotti a Rieti.

Senza dir niente a nessuno, decisi di raggiungerlo per dargli un ultimo saluto: cominciai a correre lungo la strada da solo temendo di non farcela. E invece, quando giunsi all'incrocio, lui era ancora lì! Mi vide, rimase contento e mi disse:”E tu che fai qui?”... poi mi abbracciò. Io avevo circa 7/8 anni. Proprio in quel momento arrivò la corriera... il tempo necessario per un breve saluto.

Il ritorno non fu come l'andata, piano piano me ne ritornai a casa. Non lo vidi più per tre anni!

Ma quando ritornò nella primavera del 1936 io mi trovavo in casa e ricordo che mi riportò una stella alpina d'argento.

Candida: Cosa altro ricordi di tuo padre?

Angelo: Era bravissimo, educato, comprensivo e sapeva lavorare. Non picchiava i figli ma cercava di farci capire le cose.

Ricordo che quando andavo alla fiera o al mercato chiedeva a mio fratello maggiore, Italo, di accompagnarlo, ma visto che a lui non andava di seguirlo, succedeva che ero io a fargli compagnia. Ne ero felicissimo. Montavamo sul carretto e andavamo presso i paesi per commerciare. Una volta andammo a Cappelle dei Marsi, alla fiera degli animali e comprò 15 pecore. Le caricò sul carretto e le portammo alla stalla.

Possedevamo tanti averi! Prima della Guerra d'Africa avevamo 6/7 muli, ma visto che mio nonno sosteneva che erano troppi per mantenerli, di questi ne vendette tanti da rimanere con uno solo. Avevamo due cavalli, cinque mucche e qualche vitello, cinquanta/sessanta pecore, tante galline, maiali e due/tre capre per il latte. Possedevamo, inoltre, due carretti.

Candida: Dopo circa un anno perdesti anche tuo padre. Come accadde?

Angelo: Era un giorno di febbraio del 1941; papà rientrò a casa dal lavoro. All'epoca lavorava come operaio alla diga del lago Salto, presso Borgo S. Pietro (Ri). Già dal rientro lamentava un male persistente alla gola; mia madre fece chiamare diversi medici (da Torano, da Corvaro e da Avezzano) che non capirono la gravità del caso. Così oltre al dolore si cominciò a formare un esagerato gonfiore sotto l'orecchio destro.

Venne fatto venire un medico da Roma che appena lo vide dette vane speranze che forse nemmeno con un'incisione potevano essere risolte. Mia madre, oltre a pagare un compenso alto, dette il consenso ad incidere, ma … il medico non si sbagliò, ormai non c'era più nulla da fare. Era in atto uno stato di avvelenamento avanzato dovuto, probabilmente, ad un puntura di insetto. Dopo qualche ora mio padre morì!

Situazione familiare dopo papà Ercole

Candida: Da allora, come andarono le cose in famiglia?

Angelo: Dopo aver perso, in breve tempo, i due uomini della casa, la situazione familiare cominciò a peggiorare. Mia madre sola con nove figli non riusciva a gestire gli affari e così i parenti, gli amici e i conoscenti approfittarono della situazione. Non avevamo alcun aiuto per la coltivazione dei campi e pian piano cominciarono ad appropriarsi dei nostri attrezzi agricoli... dopodichè a peggiorare le cose ci pensò la Seconda Guerra Mondiale.

Durante la Seconda Guerra Mondiale

Candida: Hai vissuto durante il periodo della seconda guerra mondiale. Anche se non sei stato al fronte, che cosa ricordi di quel periodo?

Angelo: Fammi ricordare! La storia é molto lunga. Anche se in Italia iniziò nel 1943, tutto ebbe inizio molto prima. Negli anni precedenti al 1935, Mussolini e Hitler avevano le colonie in Africa (Etiopia, Eritrea, etc.). Poi, la loro sete di espansione, li portò a voler occupare altri territori (Addis Abeba, Maccallé, Adua, Massaua, Abissinia, etc.). Così iniziò la guerra in Africa.

Mio padre, Amanzi Ercole, vi partecipò, da subito, come militare farmacista: era uno a cui piaceva leggere molto (libri, giornali, etc.) così lo assegnarono a quel posto. Andò prima a Bengasi e poi in molti altri posti. Questo lo so perché lui scriveva sempre a casa per informarci dei suoi spostamenti e della sua salute. Purtroppo le lettere, dopo i bombardamenti, andarono perse. Inoltre, ascoltavo le notizie, insieme agli altri di Santa Anatolia, davanti al piazzale della casa di Antonio Placidi: lui metteva la radio sulla finestrella e si sedeva sul muretto. Tutti gli altri si mettevano ad ascoltare le notizie di ciò che stava accadendo.

Papà tornò dall'Africa tra il 1936 e il 1938, non ricordo bene l'anno, ma ciò che ricordo bene é che dopo un po', nel 1941, morì.

Comunque, quando venne dall'Africa ci raccontava ciò che aveva visto e vissuto. Ad esempio ci disse che dove era stato lui c'erano tante montagne e che lì morì Achille Federici di Torano, sposato con Maria Spera di Santa Anatolia (genitori di Antonio, Nino, Maddalena, Angela, e Beniamino). A Santa Anatolia, abitavano sotto la piazza di San Nicola, vicino a Filippo Spera e a Angelina Luce.

Io ero sempre pronto ad ascoltare i suoi racconti e dopo la sua morte mi interessava ascoltare le notizie alla radio, così tanto che ancora oggi posso raccontare tutti i passaggi più importanti della prima guerra mondiale.

Papà mi raccontava che Mussolini e Hitler volevano occupare tutta l'Abissinia. Il Negus, capo abissino, convinto di poter vincere l'Italia (loro erano in tanti ma non avevano i mezzi sufficienti) scrisse alla Regina di Savoia chiedendole se poteva andare a visitare Trieste, Venezia e Roma, ma questa gli rispose che avrebbe potuto vedere queste città solo in cartolina.

In quel periodo l'Inghilterra, la Francia, l'Italia e la Germania possedevano delle colonie in Africa. L'Italia e la Germania, alleate tra loro, per ampliare il loro potere, dichiararono guerra all'Inghilterra che, dopo qualche anno, dovette arrendersi. Subito dopo dichiararono guerra alla Francia che, dopo un periodo di resistenza, dovette arrendersi anch'essa. In tal modo Italia e Germania riuscirono a conquistare l'Abissinia.

Intanto, in Italia, governarono due governi paralleli: quello fascista e quello monarchico. Ciò fu dovuto alla presa di Porta Pia da parte di Mussolini, che impose il suo governo accanto a quello del re. Il governo fascista italiano era rappresentato da quattro generali: Mussolini, Badoglio, Graziani e ognuno di loro …. [segue]

Candida: Racconta qualche episodio durante la guerra! Mi hai raccontato che una volta vi mandarono via di casa. Cosa accadde di preciso?

Angelo: Si! Avvenne la notte tra il 18 e il 19 marzo del 1943. Erano circa le 23,30 del 18 marzo. I cecoslovacchi, che stavano sotto il dominio nazista, con prepotenza iniziarono a bussare alla porta di casa. La nostra casa si trova all'inizio di “Canturiu“ vicino alla Fonte di giù.

In casa c'era mamma Candida con otto figli (mio fratello Italo, il più grande, aveva 18 anni ed era al fronte) ma nessuno di noi aprì, così loro decisero di buttare giù la porta. Entrarono, erano tanti, ci cacciarono fuori di casa, con tutti i nostri vestiti, i letti, le sedie e quant'altro non servisse loro. Essi si stabilirono dentro la nostra abitazione e noi dovemmo cercare un riparo.

Le mucche erano scappate verso la località “La Vicenna”, mentre le pecore andarono verso la collina “La Rotta”. Tutta la notte cercammo di riprenderci gli animali fuggiti e, una volta finito, facemmo i turni per sorvegliarli visto che stavano all'aperto. Mamma e noi piccoli andammo alla ricerca di un posto dove poter dormire. Trovammo un'abitazione provvisoria in una casa abbandonata e in parte diroccata a causa del terremoto del 1915 (sita sul lato destro della strada che dopo la Chiesa di San Nicola porta verso la casa di Antonio Amanzi). Aveva una parvenza di un riparo anche se era totalmente malandata. Per illuminare questa casa provvisoria, dovevamo acquistare il petrolio ed il carburio, materiali di non facile reperibilità. Le nostre condizioni economiche precarie non ci permettevano sempre di godere di tale illuminazione.

Così, spinto dalla necessità, un giorno mi avventurai da solo in località Colle Pezzuto, vicino alla stazione di telecomunicazioni tedesca. Qui avevano installato a terra tutti i fili elettrici necessari per la ricetrasmissione. Mi appostai dapprima su una collina boscosa per controllare i movimenti dei tedeschi. Aspettai lì fino a che l'intera autocolonna non andò via, rimasero solo le guardie e gli addetti alle telecomunicazioni. Solo allora scesi a valle, strisciando a pancia in giù, fino a raggiungere i fili che erano a terra.

Ero distante dalla stazione di servizio circa 500 mt., tagliai 300 mt. di filo con le tronchesi, l'arrotolai e tornai a casa senza farmi vedere. Giunto a casa, improvvisai un impianto elettrico per la nostra casa che godé di un'illuminazione eccezionale. Mia madre non credeva ai suoi occhi! Feci un impianto che la sera veniva attivato mentre il giorno doveva apparentemente sparire per non richiamare l'attenzione della gente. Vicino alla nostra casa c'era un palo dell'elettricità, con del filo spinato agganciato ai fili feci un uncino, che attaccavo sul filo dell'elettricità durante la notte e che staccavo quando era mattina.

Rimanemmo in questa casa provvisoria fino al nuovo ordine dei tedeschi (maggio 1943); fecero sfollare l'intera popolazione perché a Cassino iniziarono a sbarcare gli americani. Per evitare che la popolazione civile potesse subire i danni dei bombardamenti e degli attacchi, invitarono tutti ad andar via. Così ce ne andammo tutti in montagna, sulla “Duchessa” e tornammo in paese a giugno.

Dalle montagne vedemmo le truppe tedesche andar via. Man mano che se ne andavano, i tedeschi facevano saltare le centraline elettriche per impedire la comunicazione. Mettevano anche le bombe sulle strade, le facevano esplodere per rallentare l'avanzata degli americani.

Quando scendemmo in paese, vedemmo un completo disastro, una desolazione. In strada c'era di tutto: sedie, mobili buttati o distrutti. In casa nostra, invece, c'era solo paglia e tanta sporcizia: gli occupanti avevano dormito sulla paglia. Non potemmo rientrare subito in casa perché il tetto di legno era sfondato: era caduta una bomba inesplosa (detto SPEZZONE, bomba di piccolo calibro) tirata dai cacciabombardieri. L'altra stanza, invece, aveva il trave principale piegato dalla caduta della bomba.

Dovemmo prima riordinare tutto e solo a settembre potemmo rientrare.

Le storie di Fido Mattei

Fido Mattei di Torano era il marito di Agata Luce di S.Anatolia ed insieme gestivano il “Mulino delle Quattro Strade”

Candida: Racconta qualche episodio!

Angelo: Luglio 1944 – Mi trovavo a mietere con mio fratello Italo in località “Trio” nei pressi delle “Quattro Strade”. Lo stesso giorno zio Fido di Torano si recò ad Avezzano con la corriera delle 9,00. Nel primo pomeriggio, durante il viaggio di ritorno, Fido, che era brillo, si lamentava sulla corriera del fatto che sentiva un forte odore di pesce maleodorante. Trovato il pesce fece per gettarlo dal finestrino quando il proprietario, un signore distinto, lo bloccò.

Fido che aveva già preso il pesce per la coda, cominciò a colpire il proprietario sul viso, in testa e ovunque potesse colpirlo. Il distinto signore, in breve tempo, si ritrovò completamente sporco di pesce, compreso il vestito e anche gli altri viaggiatori, i sedili, i vetri. Bastiano l'autista cercava di accelerare per arrivare prima alla fermata dove Fido sarebbe dovuto scendere.

Appena arrivati, Fido scese, entrò nella sua casa, che era distante appena 20 m. dalla fermata, e ne uscì di corsa con una mitraglietta in mano: iniziò a sparare contro la corriera ferma. I viaggiatori che erano ancora sul mezzo si abbassarono a terra terrorizzati. L'autista mise in moto il mezzo velocemente, e nessuno dei passeggeri poté più scendere e si fermò solo alla fermata successiva in zona “Campo di Spedino”. Gli abitanti di Torano e di Santa Anatolia per tornare alle proprie abitazioni attraversarono i sentieri campestri.

Giunto a Borgorose, l'autista avvertì i carabinieri dell'accaduto e loro raggiunsero immediatamente la casa di Fido, ma non lo trovarono. Lo andarono a cercare e lo videro che stava giocando a carte nella sede del dopolavoro e lì lo arrestarono. Non fu la prima e nemmeno l'ultima volta: dopo l'arresto c'era sempre il rilascio, poiché Fido aveva forti conoscenze tra i graduati dei carabinieri e della finanza.

Nello stesso mese del 1944, mi trovavo a mietere con mio fratello Italo in località “Collalto” di Santa Anatolia (Ri). Era il primo pomeriggio e sentimmo degli spari e delle urla di persone. Guardando in direzione delle “Quattro Strade” vedemmo un movimento di persone che fuggivano. Solo la sera venimmo a conoscenza dell'accaduto:

Un certo sig. Sgrilletti Severino stava andando a piedi al Comune di Borgocollefegato (l'odierna Borgorose – Ri) per registrare la nascita del figlio Andrea. Lungo la strada costui incontrò Fido Mattei, un po' brillo, che gli chiese dove stesse andando. In quello stesso momento sopraggiungeva su una motocicletta il sig. Falcioni Alessandro che fu fermato e invitato da Fido ad accompagnare Severino Sgrilletti al Comune suddetto.

Alessandro che aveva ben altro da fare si rifiutò e fu in quel momento che si scatenò la furia di Fido. Prese il fucile e glielo puntò contro ed iniziò a sparare. Alessandro lasciò la moto e si rifugiò in un fosso. Severino cercava di fermare Fido e solo dopo averlo tranquillizzato, Alessandro uscì fuori dal fossato e intimorito dovette accompagnare Severino al comune. Non solo! Dovette anche riportarlo indietro a Santa Anatolia e per concludere, da qui dovette accompagnare anche Fido a casa.

Subito dopo la guerra Severino partì per l'Argentina e non tornò più.

Ottobre 1952 – A settembre si apriva la caccia. Fido faceva la guida ai cacciatori che giungevano da altri paesi. Ognuno di loro lo contraccambiava donandogli le cartucce, le scarpe, i pantaloni, etc. Fido aveva i capelli bianchi, era l'unico ad averli tra i cacciatori che accompagnava, e così decise di tingerli con il lucido delle scarpe.

Uscirono a caccia ed era una bella giornata. Durante il pomeriggio il tempo cominciò a cambiare e ad un certo punto i cacciatori furono sorpresi da un temporale. Provarono a nascondersi tra i cespugli e quando uscirono, tutti videro Fido con il volto nero: “Il lucido delle scarpe si era sciolto.”

Nel santuario di Santa Anatolia

Candida: Racconta l'episodio accaduto durante la festa di Santa Anatolia nel 1986!

Angelo: A motivo di precarie condizioni di salute (artrosi diffuse e deformanti) nel dicembre del 1975 fui ricoverato presso l'ospedale ortopedico CTO di Roma. Dopo alcuni giorni trascorsi in ospedale i medici diagnosticarono tale stato di malessere e mi dimisero con una cura ritenuta appropriata. Nonostante ciò, dopo sette mesi, fui nuovamente ricoverato nel mese di luglio del 1976 a motivo di peggioramento.

Le cure successive non ebbero grandi e significativi effetti. Di conseguenza i medici mi consigliarono dapprima un'ingessatura portata per 90 giorni e poi, visto l'insuccesso, prescrissero un busto ortopedico di gesso da vestire per sempre. Continuai a lavorare presso l'Hotel Parco dei Principi di Roma fino al mese di luglio del 1985 con gravi problemi e a tempo ridotto (cinque mesi l'anno). Andato in pensione continuai a portare il busto che toglievo soltanto durante la notte. L'anno successivo (1986), come ogni anno mi recai a trascorrere il periodo estivo al paese natìo (Santa Anatolia).

In prossimità della festa annuale in onore di Santa Anatolia V. e M., precisamente l'8 luglio, vigilia della festa, il caldo insopportabile, a motivo del busto indossato, mi spinse ad un atto per me non comune, dato che non ero praticante assiduo. Ero seduto al secondo banco di destra ed ero giunto con anticipo avendo previsto un grande afflusso di fedeli a motivo della novena. Soffrendo molto per il gran caldo, mi raccomandai con tutto il cuore alla Santa perché mi desse un po' di sollievo, non osai chiedere la guarigione e quindi chiesi un aiuto. Dopo qualche attimo sentii un forte calore in tutto il corpo, mi sembrava di scoppiare dal caldo a tal punto che divenne insopportabile. Dopo qualche attimo sentii un gran freddo come se avessi il ghiaccio in tutto il corpo, avevo paura di ammalarmi. Il tutto durò ancora qualche minuto, quindi tornai alla normalità.

Convinto che non fosse accaduto nulla che potesse avere qualche collegamento con la mia precaria condizione di salute, terminata la Santa Messa tornai a casa a Magliano dei Marsi e nei due/tre giorni successivi notai l'assenza di fastidi e di dolori e provai a togliere il busto: con grande sorpresa constatai che era scomparsa ogni difficoltà e che potevo camminare senza alcun problema. Da allora non portai più il busto e solo successivamente compresi meglio l'accaduto. I documenti sanitari attestano tutto ciò ed io ringrazio Santa Anatolia di aver interceduto presso il Signore per la mia guarigione prodigiosa.

Albero genealogico di Angelo Amanzi

 

Generoso  
Amanzi
1768
  Angelica    
Muzi
1776
                       
|   |                        



                       
|                        
Filippo Amanzi
1795
  Angela   
Luce
1795
  Francesco Antonio
Antonucci
di Marano dei Marsi
               
|   |   |                



  |                
|   |                
Germano Amanzi
1819-1897
  Innocenza Antonucci       
1822-1898
  Pietrangelo Silvi      
di Castelmenardo
  Giovanna Martorelli             
|   |   |   |        



 


       
|   |        
Luigi Amanzi
1855-1939
  Maria Lavinia Silvi   Angelo       
Fracassi
di Torano
  Teresa       
Catini
|   |   |   |



 


|   |
Ercole Amanzi
1896-1941
  Candida Fracassi
1895-1970
|   |



|
Angelo Amanzi
1925