La rivolta del luglio 1944

Fatti accaduti nel paese di Santa Anatolia (RI) - Racconto di Angelo Amanzi inviato dalla figlia Candida

Angelo AmanziUn giorno del mese di luglio 1944, dopo la mietitura gli uomini stavano ritirando dai campi i "manoppi" (covoni di grano) per portarli nell'aia.

Nello stesso momento le donne, rimaste a casa, senza i mariti che erano al lavoro, ricevettero la visita delle guardie comunali che chiedevano loro il pagamento della tassa del "focatico" (tassa sui terreni, sugli animali, sui fabbricati), lasciando un biglietto con il termine della scadenza.

I contadini erano costretti a vendere i prodotti del raccolto, a discapito della sopravvivenza, per pagare questa tassa.

Quando al termine del lavoro nei campi i contadini tornarono nelle proprie case, ciascuno di loro venne a conoscenza del fatto, e man mano la voce si diffuse in tutto il paese. Così gli uomini decisero di darsi appuntamento tutti alla piazza del paese alle ore 7,30 del mattino successivo, per andare a piedi a protestare fino al comune di Borgocollefegato (RI) (attuale Borgorose).

Il gruppo formato da circa 500 persone era capeggiato da Antonio Amanzi e il portabandiera a cavallo di un somaro era Berardino Peduzzi invalido di guerra (mutilato durante la 1° Guerra Mondiale).

Il gruppo si recò dapprima a Corvaro per chiedere altre adesioni alla rivolta e due persone si aggiunsero a loro.

Giunti a Collefegato, poco prima di Borgocollefegato, il gruppo incrociò una pattuglia dei carabinieri che intimò "l'alt" per bloccare l'avanzata dei rivoltosi. Ma l'operazione non riuscì in quanto i carabinieri vennero immediatamente disarmati e costretti ad avanzare davanti al gruppo per fargli strada fino alla caserma.

I rivoltosi giunsero davanti alla caserma con l’intento di disarmare il resto dei carabinieri che erano dentro, compreso il maresciallo, ma quest'ultimi, essendo stati avvertiti in tempo, se la dettero a gambe.

A quel punto il gruppo proseguì verso l’esattoria, al fine di far restituire i soldi a coloro che avevano già pagato la tassa; ricordiamo che all'epoca lo Stato (provincia, regione) esentò la popolazione dalle tasse comunali per i danni subìti dalla guerra. Così riebbero i soldi, sigillarono le porte e le finestre dell’edificio per non far entrare nessuno.

Così, il gruppo proseguì verso l'ufficio comunale ed appena vi giunse irruppè in tutte le stanze mettendole a soqquadro e facendo scappare tutti gli impiegati.

A questo punto, con lo scopo di richiamare l’attenzione della Prefettura di Rieti, i rivoltosi cominciarono a sigillare tutte le porte e tutte le finestre dell’edificio inchiodandole con tavole di legno; iniziarono dal primo piano fino ad arrivare man mano al terzo ed ultimo piano.

Una volta sigillato tutto l'edificio, l’unica persona rimasta all'interno, si calò dal terzo piano attraverso una corda.

Detto fatto, il gruppo si diresse verso il magazzino che avrebbe dovuto contenere i viveri inviati dalla Provincia per essere distribuiti gratuitamente alla popolazione, tramite la "tessera annonaria" (tessera fornita dalla Provincia a ciascuna famiglia).

Da informazioni precedenti rilasciate dagli amministratori dei vari paesi, risultava che i magazzini erano vuoti poiché la Provincia non li riforniva.

Giunti al magazzino (detto Consorzio) chiuso, i rivoltosi chiesero ad un addetto di aprire la porta per verificare l'esistenza o meno dei suddetti viveri. L'addetto dichiarò di non essere in possesso delle chiavi e quindi di non poter aprire il magazzino. Il rappresentante del gruppo, però, notò un mazzo di chiavi appeso alla cintura dell'addetto e chiese di provare quelle chiavi, promettendo che se avesse detto la verità l'avrebbe lasciato libero. A questo punto l'addetto al magazzino tentò di scappare, cercando di saltare un muretto circostante, ma fu subito bloccato, venne privato delle chiavi e messo dinanzi al gruppo insieme ai carabinieri.

Quando provarono le chiavi una di queste era proprio quella che apriva la porta del magazzino e l'addetto venne preso a calci, a pugni e a schiaffi. Il magazzino era colmo di viveri che non venivano distribuiti alla popolazione disastrata dalla guerra, bensì venivano gestiti e venduti illegalmente dagli addetti al magazzino, a libero mercato.

Il magazzino, come l'ufficio comunale e come l'esattoria, venne sigillato senza essere privato dei viveri in esso contenuti.

Angelo Amanzi ricordò a tutti che la guardia comunale di Borgocollefegato, il cosiddetto Saturno, aveva fatto un sopruso alla sua famiglia come di seguito raccontato: "All'epoca la regola era che non si potevano macinare più di trenta chili di grano al mese; il grano veniva portato al mulino di Fido Mattei, che si trovava in località quattro strade, e solo dopo tre giorni si poteva ritirare la farina. Angelo Amanzi, facente parte di una famiglia numerosa (1 vedova e 9 figli), per esigenze di sostentamento familiare, tentò di macinarne di più (circa 1,27 quintali di grano di loro proprietà, in un solo giorno) quando andò a ritirarlo, di nascosto, lo caricò su di un mulo e passò per i campi con l'intento di non farsi vedere …purtroppo all'improvviso, e un po' distante, apparvero due guardie comunali di Borgocollefegato (Saturno e il suo collega Fantauzzi) che subito gli corsero dietro per fermarlo. Angelo fece cadere i sacchi pieni di farina a terra per salvarsi dalla galera e scappò via senza farsi riconoscere. A quel punto le due guardie incontrarono i due fratelli Mario e Augusto Amanzi che stavano sulla groppa di un somaro, gli intimarono l'alt e li obbligarono a caricare i sacchi di farina che erano a terra per portarli presso la casa della guardia comunale di Santa Anatolia, il sig. Vincenzo Luce detto Mandolino. Dopo qualche giorno la farina fu portata alla casa di Saturno".

Detto questo, i rivoltosi si avviarono verso la casa di Saturno, poco distante dal magazzino (il consorzio), che nel frattempo si era barricato dentro casa con la sua famiglia. Con l'intento di stabilire un primo dialogo con la guardia comunale, il gruppo fece avanzare i carabinieri disarmati ma questi fecero scappare dal retro gli uomini della famiglia. In quel momento, alcuni rivoltosi sfondarono le porte della casa ed entrarono dentro: trovarono e sequestrarono armi, bombe a mano e munizioni.

Tornati a Sant'Anatolia, andarono da Edoardo Scafati che, d'accordo con i tedeschi, aveva creato un magazzino sotto la chiesa di San Nicola; essendo il paese sprovvisto di sale, il medesimo magazzino fu saccheggiato e svuotato: fecero suonare le campane e tutte le donne del paese accorsero a prendere il sale tanto sospirato, mettendolo addirittura anche nei grembiuli.

Note

  • Testimonianza di Angelo Amanzi nato a S.Anatolia il 23/06/1925
  • Racconto inviato da Candida Amanzi figlia di Angelo e Gioconda Spera
  • Personaggi:
  • Antonio, Mario e Augusto Amanzi, figli di Giuseppe e Matilde Amanzi
  • Berardino Peduzzi, figlio di Angelantonio e Maria Domenica Rubeis
  • Angelo Amanzi, figlio di Ercole e di Candida Fracassi
  • Fido Mattei, forestiero, marito di Agata Luce figlia di Antonio e Caterina Peduzzi
  • Vincenzo Luce, figlio di Antonio e Caterina Peduzzi
  • Edoardo Scafati, figlio di Michelangelo e Angela Manente
  • Saturno Rapetti (nato circa 1894) nel 1927 fu testimone al matrimonio di Luigi Rosati e Santa Spera