1584: Petro Spera

"D.O.M. Assertiones methaphysicales, aliarumque philosophiae, medicinaeque partium ad Aristotelis, Galenique mentem, ex illorum doctrina depromptae a Petro Spera Sanctae Anatoliae, publice discutiendae proponuntur. Senis, apud Lucam Bonettum, 1584. Cum licentia Superiorum"

Nel 1584 Luca Bonetti, tipografo in Siena, diede alle stampe un libro scritto da Pietro Spera intitolato: “A Dio, l'ottimo, il massimo. Affermazioni di metafisica e di altre parti della filosofia e medicina dal pensiero di Aristotele e di Galeno, estrapolate dalla loro dottrina da Pietro Spera di S. Anatolia che si propongono per essere discusse pubblicamente” (1).

Più che di un libro si trattò di una sorta di tesi, 64 pagine tutte in latino, che Pietro dovette discutere in pubblico al termine dei suoi studi presso il Ginnasio di Siena, l'11 ottobre del 1584 (2).

Pietro era un cittadino di Sant'Anatolia e ci teneva a rimarcarlo, confermandolo per ben due volte, sia in copertina che nell'introduzione. Egli, trovandosi a Siena, potrebbe aver conosciuto dei componenti della nobile famiglia dei Placidi che, fuoriusciti da Siena, forse scelsero quale nuova dimora proprio Sant'Anatolia dove avevano una persona che poteva dar loro una prima accoglienza, ma questa è solamente una ipotesi non avvalorata da nessun documento.

Nel 1753, nel registro del Catasto Onciario di Sant'Anatolia, venne iscritto, quale proprietario terriero, un omonimo di Pietro. Questi probabilmente era un suo discendente o pronipote, dato che Pietro potrebbe anche essere stato un religioso.

Pietro Spera dedicò il libro a Giovanni Vincenzo Valignani che in quel periodo veniva considerato dagli abitanti il “padrone” del paese. Infatti, nel quinquennio 1570-75, diversi appezzamenti di S. Maria del Colle, beneficio del seminario di Rieti, tra S.Anatolia e Torano, restarono incolti perchè, come riferì il vicario di Corvaro, nessuno "ha voluto pigliarli in affitto, ne lavorarli et dicevano che non li possevano lavorare per non venire in disgratia del sig. Giovanni Vincenzo Valignano, quale è padrone di S.Natologlia, et dicevano chel signore predetto non voleva che li lavorassero, ma non dicevano per che causa il signore non volesse". Nel 1575 il Valignani permise che se ne lavorasse una parte, a condizione però, "che dal frutto di esse terre se ne riparasse la chesia". Per gli anni sfitti il seminario aveva perduto circa 50 some di grano e fu sempre per volontà del Valignani che restarono incolti, in quegli stessi anni, i terreni di S. Lorenzo in Cartore e di S. Maria di Brecciasecca (3).

Giovanni Vincenzo Valignani nel 1556 fu Capitano nella guerra di "Campagna di Roma". Nel 1561, 1576, 1580, 1582 e 1587 fu Camerlengo di Chieti, ossia Sindaco, ma i componenti della sua famiglia ebbero più volte la stessa carica dal 1390 fino a ad almeno la prima metà del 1800 (4). Giovanni Vincenzo fu marito di Aurelia Guiderocchi (1544-1633), vedova di Sforza Santinelli e madre di Cesare e Carlo Santinelli, nati a S.Angelo in Vado. Sforza morì alla fine del 1571 e anche i suoi figli morirono precocemente senza lasciare eredi. Dopo qualche anno Aurelia sposò Giovanni Vincenzo ma il matrimonio durò poco in quanto anch'egli morì pochi anni dopo. Aurelia era amica del celebre poeta e scrittore Torquato Tasso. Ella morì il 27/12/1633 a quasi 90 anni senza lasciare figli (5).

La famiglia Valignani o Valignano era di origine Normanna e prese il nome dal castello di Valignano distrutto da Carlo d'Angió. Essa godette di nobiltá nelle cittá di Napoli, ai Seggi di Porto e di Portanova, Lucera, Chieti, ove godeva le primarie prerogative, ed a Roma ove trovavasi ascritta in Campidoglio come appartenente al patriziato. "D’antichissimo lignaggio venne questa famiglia nel regno di Napoli pare tra il 1100 o 1200 come afferma anche il Dizionario storico di Gian Battista Crollalanza e fu di sangue Normanno. Falconio di Benevento nella sua storia di Napoli parlando del Castello Valignano, che fu distrutto da Carlo d’Angiò asserisce aver appartenuto in quell’epoca a Valignano milite illustri ex Normannorum familia.

Talché parebbe che i Valignani avessero dato il nome al Castello, piuttosto che il Castello ai Valignani, come alcuni vorrebbero, tra i quali anche il Crollalanza e specialmente Antonio Bertrando scrittore del Regno di Napoli il quale scrive: Credesi che la famiglia Valignani, o del Baleniano, o Volognana, la quale è delle più celebri di Abruzzo ed anche del Regno, abbia avuta la sua origine da’ Normanni: o come alcuni han creduto, da’ Lordi di Roma, che similmente da’ Normanni discendevano: il certo è questo, che così fu detta dell’antico dominio di Valignano, Castello in Abruzzo citra, distrutto poscia da Carlo d’Angiò.

Giovanni Vallati nella sua storia, parlando delle famiglie Normanne che vennero in Italia e precisamente nel Regno di Napoli, mette fra le altre: Familia de Volignano, ex sanguine Principum Normannorum, dive et potens in regno Napolitano, precipue in Samnio apud Marriccinos. (cioè presso i popoli d’Abruzzo. Il monumento poi più accentuato della discendenza Normanna dei Valignani è lo stemma Gentilizio, che fino a Carlo V ci viene così descritto dallo stesso Giovanni Vallati: Balteum purpureum seu Fascia, aureo in scuto, nobile Stemma Valignanorum, in quo tre rosas albas seu argenteas Princeps Normanni addidere. Che vuol dire: fascia rossa, in campo d’oro, sulla quale i principi normanni aggiunsero, ne si sa il perchè, tre rose bianche, o d’argento.

Di che, Francesco De Petris sul suo libro delle armi delle Fam. Nobil dice: Altri usano la sola banda vermiglia in campo d’oro, come la casa reale di Lorena, e de’ Valignani, cosiddetti dal Dominio, antichi Baroni Abruzzesi, su la quale posero tre rose d’argento, per concessione de’ suoi principi normanni. Ora se si faccia eccezione delle tre rose fatte aggiungere forse dai principi normanni, parte per denotare l’eccellenza dei signori Valignani, parte per distinguerli dai Reali Normanni, lo stemma Valignano fino a Carlo V fu precisamente lo stemma dei Normanni. Ho detto fino a Carlo V perchè questo glorioso imperatore grato ai meriti e al valore di Giovanni Antonio Valignano, non solo lo creò cavaliere dello Sperone d’oro, e Conte Palatino, ma volle che sullo stemma per lui e suoi discendenti in infinito fosse aggiunta l’Aquila Imperiale, nera, di una testa sola, con coda ed ali aperte, stesi i piedi,becco aperto, rivolto a destra e corona d’oro in capo, e in forma di diadema il motto : decoravit integritatem et servavit odorem, e sopra della corazza e dell’elmo, un braccio levato al cielo con stretto in pugno un cerchio d’oro". (6)

 Seguono le prime due pagine dell'introduzione e l'ultima, qui di seguito trascritte con intervento
sul testo limitato alla modernizzazione della punteggiatura e allo scioglimento delle abbreviazioni.

 

ILLUSTRISSIMO DOMINO SUO
Don Ioanni Vincentio Valignano.

Petrus Spera Sanctae Anatoliae. S. P. D. (Salutem plurimam dicit)

CUM maiorum meorum, Illustrissime domine, vestigia prosequi optimum fore existimarem, nolui non de me meisquè rebus periculum facere, sed cum nemo sit, in hac rerum universitate, qui ita ingenij splendore, atque virium robore tantum polleat, ut omnium sublatis praesidijs, firmo animo ad magna suscipienda facinora agrediatur: temeritati potius esset ad scribendum. Ipse enim cum te non solum publicè, privatequè rebus meis fovere cognoverim, sic hac tempestate in huius modi congressu te ducere quaeram. Tu enim omni vacans vitio, ita omnium virtutum opera exerces, ut minimè diiudicari possit, quid nam sit in te prestanrius artis militaris praestantia, an optimarum disciplinarum scientia, & cultus animi fortitudo an iustitia, & pietas, prudentia an laboris tolerantia.

Quo circa non immerito sit, ut te omnes omnibus in rebus admirentur, te literarum studiosi summopere colant, & venerentur: in te ducem fortissimum militares ordines coniectos oculos habeant, te duce, nihil ipsis arduum, aut dificile futurum arbitrantur, sed summam gloriam consecuturos sperant. Non vere or quin ab omnibus quibus me angustiatum esse cognoscis, pro tua singulari humanitate protegere digneris, solus enim ipse de manibus inimicorum incolumen reddidisti. Haec qualiacunque sint antiquorum phylosophorum medicorumquè placita, tibi numini meo dicata esse volui; cum te non solum patriae verum enimvero omnis virtutis decus, atque prorsus ornamentum esse conspiciam. Laeto igitur animo, quo tibi trado, eas suscipias oro, meque, ut soles, tuo semper patrocinio conserva. Vale.

Nell'ultima pagina del libro: Disputabuntur publicè in Almo Senensi Gymnasio, Mense Octobris, Die.XI & hora XIX. 1584

 

Segue una traduzione libera e da migliorare dove l'autore chiede protezione
e dedica la sua opera al signorotto del tempo del suo paese natio.

 

ALL'ILLUSTRISSIMO MIO SIGNORE
Don Giovanni Vincenzo Valignano.
Pietro Spera di Sant'Anatolia. Saluta!

O illustrissimo signore, siccome io credo che seguire le orme dei miei antenati sarà cosa ottima, non ho voluto non fare un tentativo riguardante me e le mie cose, ma visto che non c'è nessuno in questo mondo, che valga tanto per altezza di ingegno e per vigore di forze, che, che tolti di mezzo gli aiuti di tutti, sia in grado di avvicinarsi a realizzare grandi cose, potrebbe sembrare temerario accingersi a scrivere. Avendo capito che tu hai appoggiato le mie cose pubblicamente e privatamente, così ti chiedo di guidarmi in un'impresa di questo genere in queste circostanze. Tu infatti, privo di ogni vizio, metti in pratica tutte le virtù, in modo tale che non può essere assolutamente deciso che cosa in te sia più eccellente se la superiorità dell’arte militare o la conoscenza delle discipline più importanti e la forza d'animo, esercizio continuo, o la giustizia e la compassione, la prudenza o la sopportazione della fatica.

Rispetto a questo non è a torto che tutti ti stimino in tutte le cose, che gli studiosi delle lettere ti onorino con la massima cura e ti venerino, che gli ordini militari abbiano gli occhi rivolti verso di te, capo valorosissimo, e che non credano, una volta che tu li guidi, di avere un futuro arduo o difficile, ma sperano di poter conseguire la più grande vittoria. Siccome tu sai come io sia stato tormentato da tutti quanti ingiustamente, per la tua singolare umanità proteggi me, infatti tu solo mi hai restituito incolume dalle mani dei nemici. Questi precetti, di qualsiasi natura siano, precetti degli antichi filosofi e dei medici, ho voluto che fossero dedicati a te, mio protettore, poiché mi rendo conto che sei, non solo decoro della patria, ma di ogni virtù, e persino ornamento. Dunque è con animo lieto che te li consegno, ti prego di accogliere queste cose e me, come sei solito, custodisci con la tua protezione. Stai bene ! (7)

Nell'ultima pagina del libro: Sarà discusso pubblicamente nell'Almo Ginnasio di Siena, il giorno 11 ottobre 1584 alle ore 19.00

 

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Note:

  1. Traduzione più libera: “A Dio, l'ottimo, il massimo. Massime per trattazioni pubbliche di metafisica, filosofia e medicina dal pensiero di Aristotele e di Galeno, tratte dal loro insegnamento da Pietro Spera di Santa Anatolia”. Il titolo è stato tradotto da M. T. De Amicis.
  2. Collocazione: Biblioteca universitaria di Pisa n. PI0112 - Biblioteca degli Intronati di Siena n. MISC. FP/50607601. Le pagine sono state acquisite da Achille Federici e Roberto Tupone il 28.07.2014
  3. Vincenzo di Flavio - La patria di Niccolò V nelle visite pastorali del '500, p.63 - da: Arch. Vesc. Rieti Sacra visita varii anni 1565-1687 c. 3 fondo Visite X, 15 A5651124 - Vedi anche Tupone Roberto, S. Anatolia, Cartore e dintorni, cap. IV, p.133. Nella sua pubblicazione Vincenzo Di Flavio ha inserito come data del documento il 1565 ed io non ho messo in dubbio la cosa. Qualche anno più tardi però (2023), rileggendo l'originale, mi è saltato agli occhi l'errore. Tra l'altro nel documento viene menzionato il defunto don Novello che invece almeno fino al 1570 è vivo e vegeto. La data va quindi spostata di dieci anni al 1575.
  4. Gennaro Ravizza - Notizie Biografiche che riguardano gli uomini illustri della città di Chieti - Link
  5. Stanislao De Angelis Corvi - Tre dimore storiche dal Metauro al Tronto - Link
  6. Bollettino di Torrevecchia - Enciclopedia Araldica Italiana e Memorie famiglia Valignano
  7. Il testo è stata tradotto dalle prof.sse Sabina Maniello e Francesca Errico