Capitolo III - Anatolia e Vittoria

Due 'Sorelle' Romane

In quel tempo vivevano a Roma due fanciulle, Anatolia e Vittoria, entrambe di nobile stirpe e ricchissime, ed erano sorelle, sorores. Preso il vocabolo troppo alla lettera, esso non regge all'incalzare degli avvenimenti che tra poco racconteremo, e abbiamo dovuto pensare ad un significato diverso e veramente alquanto forzato. Affermeremo quindi che, anzichè di genitori comuni, si fosse trattato di un'unica nutrice e che le due fossero sorelle di latte, collactanee.

Chiesa di S.Anatolia a PercilePerò se si insiste nel precisare la rispettiva parentela, naturale di sangue o artificiale di latte, le ragioni emergeranno in seguito. Non si è badato in questa sede ad una notizia contenuta in una lettera del II secolo diretta alle Vergini attribuita a S. Clemente nella quale il termine sorelle è usato per indicare quelle giovani cristiane che in verginità si dedicavano al servizio di Dio. Tali possono ritenersi Vittoria ed Anatolia e, precisata questa circostanza, neanche varrebbe la pena confutare quegli zelanti araldisti medievali che da loro fecero discendere alcune nobilissime famiglie romane come gli Anici e i Frangipane. Bastano al riguardo questi semplici rilievi: non si conoscono i nomi dei loro genitori, si ignora se avessero parenti ed entrambe furono uccise in stato verginale.

Educate fin dalla culla alla fede da genitori cristiani Anatolia e Vittoria la custodivano gelosamente come un tesoro, attenendosi con ogni riservatezza all'osservanza dei divini precetti e alle pratiche di religione nell'intimità delle proprie case. Era una misura prudenziale dovutasi adottare a causa dei tempi contrari determinati dalla persecuzione contro i cristiani.

La loro età presumibile era di vent'anni, avevano un aspetto decoroso e, a quanto si riferisce, erano molto ricche. Si trovavano nella condizione ideale per richiamare, molto per tempo, l'attenzione dei giovani coetanei, di uguale fortuna economica. Rapiti dal fascino delle fanciulle, due giovani amici se n'erano perdutamente innamorati. Eugenio, di famiglia illustre e potente, di Vittoria, Aurelio Tito, di stirpe regia e ricchissimo, di Anatolia. Alcune nobili matrone romane si prestarono a manifestare alle due verginelle i sentimenti amorosi dei giovani, sollecitandone corrispondenza e questi cominciarono ad avere qualche lieve speranza di future nozze. Specialmente Eugenio non aveva incontrato gravi ostacoli nel fidanzamento con Vittoria, al contrario di Aurelio Tito il quale aveva trovato Anatolia ritrosa già di per sè all'unione matrimoniale e quel che era peggio con un pagano. Ella con i più svariati pretesti tendeva a guadagnare tempo, prima di decidersi ad un passo così scabroso per la sua coscienza e il suo corteggiatore, deluso e insieme stimolato, sollecitava con calore l'amata a stendergli la mano per uscire dall'inferno in cui aveva adagiato il suo cuore.

Elogio della Verginità

Anatolia, ritenendosi incapace di resistere con le proprie forze all'impari cimento nel quale era stata trascinata, di giorno e di notte fervorosamente implorava Gesù Cristo di venire in suo soccorso ritenendola salda e stretta alla sua grazia e di stornare le paventate nozze. Al fine di meglio predisporre il divino aiuto, un giorno occultamente distribuì ai poveri quant'ella possedeva di oro, argento, gemme e vesti preziose per farne recapitare, il valore mediante le loro mani nei tesori del Cielo.

Nella notte seguente Anatolia ebbe una visione. Un angelo le apparve coperto di vesti d'oro, con il capo cinto da un luminoso diadema ed con il volto eguagliante la luce stessa del sole. L'angelo benignamente fissandola con il proprio sguardo così le parlò:

Benedetto e AnatoliaSanta e Beata Verginità !O sposa dell'eterno sposo, incapace di corruzione e di affanno, nè da morte soggetta, vicina a Dio ch'è vita immortale. Vero tesoro pieno e ricolmo d'oro e di ricchezze, che ladro non ruba, tarlo non rode, nè ruggine mangia. Grande è la gloria di che tu sei cinta, o Anatolia, per ciò, di quanti e quali ricchezze tu sovrabbondi, sollecita custodiscile, e gelosa conserva. Vigila su di esse per non esserne spoglia e priva della ricchissima gloria apparecchiata da Dio nei Cieli

Chi negherebbe la sovrana forza di una visione così stupenda ?

La fiamma dell'amore e l'impazienza dell'indugio, fece sì che Aurelio Tito si mise a cercare qualunque strada, adoperando lusinghe, carezze e minacce, pur di rompere ogni ritardo. Venne così a sapere che la vera causa del rifiuto non era già la malattia, ma la religione di Cristo professata da Anatolia.

La scoperta come un'aguzza spina penetrò nel cuore contrariato del giovane, che ne pianse, arse di sdegno, sbuffò di rabbia e, in mezzo a questa bufera di passioni, cercò la via giusta da seguire in quel frangente. "Svelerò al magistrato la fede di Anatolia - rimuginava tra sè e sè - Se la denunzio però come cristiana, Anatolia soffrirà inenarrabili pene e forse la morte ! Ed io ? Certo non potrei più sposarla. Tanto vale allora che continui con carezze e con lusinghe ad accattivarmi la sua simpatia per schiantare dal suo cuore la Fede Cristiana'

E questi rimuginamenti, trepidazioni e speranze, esternò e confidò all'amico Eugenio, più fortunato dell'amico e persuaso almeno che la sua fidanzata gli corrispondesse in amore. Malinconico e addolorato, Aurelio Tito gli si presentò e tra i singhiozzi gli narrò che Anatolia ricusava di esser sua e con lacrime agli occhi a lui si raccomandò e lui scongiurò perchè lo soccorresse e lo aiutasse.

Meravigliato e stupito, Eugenio, che per certi segni aveva già sperimentata e provata l'amicizia del suo interlocutore, lo dissuase dall'insistere con le lacrime e con le suppliche, rassicurando fermamente che lo avrebbe aiutato. Nè morte, nè ira di nessuno, lo avrebbe distolto dall'eseguire ogni comando dell'amico. A questo incoraggiante discorso, Tito Aurelio aggiunse: "Fa in modo, o Eugenio, che Vittoria tua sposa e sorella di Anatolia, a costei si presenti e adoperi lusinghe e carezze e ogni arte per indurla ad unirsi in matrimonio con me adempiendo la promessa'. "Nulla di più naturale " replicò Eugenio " di quanto tu mi chiedi. Io farò quel che desideri'.

Subito recatosi da Vittoria le narrò il fatto e con ogni argomento la confortò, persuadendola a compiere l'incarico di piegare Anatolia alle richieste del suo caro amico. In vista del pericolo che sovrastava la vita della sorella colei premurosamente accettò l"incarico e si recò a trovarla e così le parlò: "Sono venuta, cara sorella, ad ora inaspettata e forse inopportuna. Mi ha spinto il vero amore che ho sempre nutrito per te e questo soltanto mi pone sulle labbra le parole che sto per dirti. Per quanto ricordi della tua vita passata, mai un'azione o una parola, sebbene insignificante, non è stata ispirata dal consiglio, regolata da prudenza e animata da quell'amabile ingenuità che così profondamente ti distingue da ogni altra fanciulla.

Mi è giunta alle orecchie una novità che mi riempie di strana meraviglia e mi fa chiedere a me stessa con quale animo, per qual fine e da qual consiglio regolata, tu vai ricusando promesse nozze e rifiuti lo sposo. Accogli, te nè prego, accogli di buon grado il mio consiglio e arrenditi alle mie parole. Non restare ferma al tuo convincimento di eseguire quel che ti sei proposta. Abbandona quella tua risoluzione la quale, seguendo proprio di tua mano, ti daresti la morte: ascoltami. Se Gesù Cristo medesimo comandò di fuggire dai perseguitori e così ottenne scampo, perchè mai tu le persecuzioni desideri, anzi ad esse vai incontro ? Volgi, cara sorella, gli occhi alle crudeli sventure di questa misera età: scorgerai i guai dei nostri, le fughe, i nascondigli, gli spietati supplizi, le prigioni, gli esili. Porgi sollecito ascolto ai miei detti e a quell'Aurelio Tito, uomo illustre e sommamente potente ed al quale tu, richiesta, ai dato parola e promessa, concedi per il tuo bene finalmente la mano di sposa'.

Vittoria parlava interrompendo il discorso con qualche acuto sospiro e bagnando le gote di lagrime mentre in Anatolia, l'amore di Gesù Cristo, aveva spento ogni amore profano. Benignamente guardandola e sorridendo ella così rispose: "Mia cara sorella, tu dottamente e prudentemente hai parlato e con argomenti di cristiana ti sei sforzata di persuadermi di andare a nozze pur col corruttore della mia fede. Ascoltami e di ciò che in segreto ti dirò fanne, te nè prego, nella tua mente tesoro.

Il tuo stesso nome mi favorisce l'esordio. Tu sei veramente Vittoria e a dimostrazione del significato di esso io ti esorto a vincere il Demonio. Per mezzo del suo Verbo, Dio padre onnipotente, da principio, traendo tutte le cose dal nulla e avendo creati già gli altri animali, di fango dalla terra, formò l'uomo animale ragionevole e a lui conferì signoria e comando di tutte le altre irragionevoli creature. Lo collocò, avendo tutte le altre cose disposte nei propri luoghi, nel Paradiso terrestre. In seguito lo unì dandogli Eva per moglie. Ed essendo i due solitari e volendo Iddio che tutto il mondo si popolasse di uomini, impose alla prima coppia umana, di crescere e moltiplicare, di dare alla luce dei figli e di riempire la terra.

Il Signore onnipotente Gesù Cristo, verbo del padre, per il quale ogni cosa fu fatta, si degnò di scendere dal cielo in terra per salvare noi uomini. Senza cessare di essere quel Dio ch'egli era, si degnò di prendere carne nostra dalle viscere dell'immacolata Vergine Maria cominciando ad esser uomo che prima non era. Egli fu vergine e sopra tutti amò chi vergine si mantenne. Così, come si legge nel Vangelo, a preferenza d'ogni altro discepolo amò Giovanni al quale accordò nella Cena riposo sul proprio petto.

Nell'epoca anteriore a quella del Vangelo, se vuoi che io cominci da più lontano, erano piaciuti a Dio, Profeti e Patriarchi: ma Elia solo, siccome vergine, asportò e richiuse in cielo. Anche prima che Cristo nascesse dalla Verginità, agli occhi di Dio si cara fu la verginità che colui che vergine fu, volle rapito in cielo sopra un cocchio di fuoco. E Cristo una Madre ma sempre vergine si scelse. Quanto più gloriosa deve riputarsi adesso che è coronata regina del cielo medesimo e degli angeli e degli uomini ? In lei la gloria verginale fu elevata sopra gli angeli veramente, come fu collocata alla destra del Padre nella cena di Cristo'.

Queste parole Vittoria interrompendola disse: "E che voi sole vergini dunque possederete il Cielo ? Le maritate e le vedove andranno perdute ?'. "No - replicò Anatolia - anche per maritate e vedove è stabilito un posto in Cielo, e per esse vi è una propria palma e la luce e il glaudio e la corona. Però la gloria più bella e più luminosa sarà concessa solo a coloro che seguendo Cristo si manterranno vergini. Alle spose vergini è dato godersi lo stesso Verbo del Padre e a contemplare più da vicino il volto stesso del Padre.

A te queste parole forse sembreranno al di là di ogni fede. Io invece, se lo desideri, ti preciserò come e dove le ho conosciute e apprese'. "Ma certo - Vittoria si affrettò a soggiungere - ardentemente bramo apprendere tutte quelle cose'.

"Dopo ch'io ebbi venduto - riprese Anatolia - ori, argenti, gioielli e vesti preziose e n'ebbi dispensato il prezzo ai poveri, ebbi un sogno. Nella notte seguente mi apparve un giovane coronato di un diadema d'oro, molto più risplendente di questo sole, ricoperto dal capo ai piedi di vestimenta d'oro, tempestato di gemme. Nella pienezza della sua luce a me si volgeva guardandomi con occhio fisso e cominciò ad elogiare la santa verginità, sposa del re e non soggetta a dolore e a corruzione. La chiamava luce che tenebre non varranno ad offuscare. Gloria che confusione non macchia, nè passione qualsiasi deturpa. Incapace di morte, fonte di vita, la verginità siede in cielo vicino alla vera ed eterna vita che è in Dio.

Alla stupenda visione e a quelle meravigliose parole rallegrata io mi risvegliai. Però chi meco parlava, come un lampo sparì e presa da immensa malinconia, mi prostrai in terra e con singhiozzi e con lagrime scongiurai Dio perchè della visione sparita di nuovo mi confortasse. Quand'ecco, oh gioia !Quel caro giovane a me non più dormendo, ma desta, ricomparve e con vera voce cominciò a parlare. La verginità, mi andava ripetendo, è la porpora del vero Re, la gemma più bella della corona reale, l'eterno tesoro ricco d'oro e di gemme contro di cui nulla può frode verun dei ladri, nè può logorare vecchiezza nè ruggine. oggiungeva: queste sono le tue ricchezze, questa la tua gloria, che mai potranno esserti sottratte. A motivo della verginità sarai gloriosissima dinanzi a Dio. Più e più volte l'angelo mi rincuorò a custodirla gelosamente e prontamente. Fin d'allora, cara sorella, fui presa da amore si forte per la verginità, che bramerei perire di morte la più tormentosa, piuttosto che tralasciare il santo proposito di esser Vergine.

Finito ch'ebbe Anatolia di parlare, Vittoria le cadde ai piedi e genuflessa implorò perchè le facesse vedere lo stesso giovane apparsole. A sua volta colei assecondando il desiderio dell'amica, s'inginocchio e fervorosamente supplicò Dio che si degnasse di rinnovare la visione e, nel mentre ambedue pregavano, ecco che l'Angelo del Signore comparve loro risplendente. A quella vista, prese da grande timore, ambedue le donzelle caddero a terra senza poter proferire parola. Ma l'angelo confortandole le disse: "Dio non vi ha preparato la corona se vergini non vi manterrete'. Vittoria, oltremodo lieta, preso coraggio, all'angelo domandò: "Qual è nel cielo la gloria delle vergini ? Com'è diversa da quella che ottengono le maritate e le vedove ?'. L'interpellato lo svelò benignamente, e alle sue parole raddoppiò nel cuore della giovane la fiamma dell'amore per Gesù Cristo.

Attraverso la riproduzione quasi testuale di quanto si conosce intorno alle due giovani, viene chiara l'impossibilità fisica per esse di essere sorelle e il significato della parola sorella adottato nei loro confronti è quello genuinamente cristiano, indicato dalla lettera attribuita a S. Clemente, vale a dire di fanciulle votatesi alla verginità per meglio servire Dio. A questa splendida virtù la letteratura dei primi cristiani aveva tributato meritati elogi e ne avevano già scritto Origene, Tertulliano, lo stesso S.Cipriano oltre a S. Clemente nella sua menzionata lettera. Più matura di giudizio e in possesso di una dottrina limpida e di una fede incrollabile, Anatolia sta su un gradino lievemente superiore a quello che si intravede occupato da Vittoria. Chi oserebbe contestare che quella purezza di dottrina non sia conservata in quella dei nostri giorni ? E chi non vede nelle affermazioni di Anatolia intorno alla verginità il germe fecondatore della parte più bella della vita cristiana che è il monachismo?

Due sposi immaginari

Tornata a casa Vittoria imitando l'esempio di Anatolia, distribuì oro, argento e vesti preziose ai poveri per essere vera sposa di colui che essendo ricco, come dice l'apostolo, si fece povero affinchè noi poveri diventassimo ricchi delle sue celesti ricchezze.

S.AnatoliaEugenio non tardò a risapere i particolari dell'episodio e mesto angosciato corse dall'amico Aurelio Tito, glieli narrò e insieme studiarono le misure da adottare: "Se le accusiamo come cristiane ai Magistrati - andavano ragionando " le due fanciulle andrebbero messe a morte e i loro poderi sarebbero confiscati con esclusivo beneficio dello Stato. Toccherebbero invece a noi se, rifiutandosi Anatolia e Vittoria di acconsentire ai nostri desideri e sfinite dai patimenti, finissero di morte naturale'.

I due nobili giovani trasportarono le immagini della rispettiva fanciulla dall'empito del cuore nel gelo di menti calcolatrici e, in questo loro brusco passaggio, si trovarono pienamente in accordo e solidali e si presentarono all'Imperatore. Gli chiederono, in via di grazia, di poter mettere sotto la propria potestà Anatolia e Vittoria, loro rispettive spose, con piena facoltà di trasferirle da Roma in campagna. Decio annuisce e, lietissimi per la grazia ottenuta, l'uno relegò Vittoria sua sposa in una villa situata nel territorio di Trebula Mutuesca, oggi corrispondente a Monteleone di Spoleto, mentre l'altro trasferì Anatolia nei pressi dei suoi poderi in vicinanza della città di Tora.

Quando si incontra nelle antiche storie il nome di città, si galoppa con la mente alle odierne metropoli tentacolari e popolate da milioni di abitanti. Niente di meno preciso: le città romane erano un'accolta di cittadini ammessi al pieno godimento di diritti. Fuori di esse non esisteva che un insieme di campi, di pascoli e di selve non sempre e non completamente coltivati dalla mano dell'uomo, destinati all'allevamento del bestiame, a residenza dei coloni, di schiavi e di addetti alle aziende agricole e anche a luogo di piacere per i signori. Tora era una città appunto perchè i suoi abitanti erano cittadini romani. Aveva un territorio popolato di aziende agrarie e di ville dove i signori trascorrevano i propri ozi o, come oggi si direbbe, le vacanze. Basta per adesso sapere che stava in vicinanza del lago Velino (e anche qui bisogna fare attenzione per non sbagliare circa l'ampiezza del bacino) ed era di antichissima origine. Aveva un santuario funzionante fin dai tempi dei Pelasgi, una popolazione della quale gli archeologi non riescono ancora a svelare il mistero. Il suo santuario era celebre quasi come quello di Dodona (una città della Grecia) in cui una colomba, dall'alto di una quercia, dava il vaticinio. Questo incarico invece a Tora, era stato affidato al Pico, l'uccello sacro degli antichi (che poi dette il nome all'intera provincia che si chiamò il Piceno) il quale dalla sommità di una colonna, dava l'oracolo ai pellegrini. Nel tempio si prestava il culto a Marte, la divinità pagana dai greci chiamata Thirios Aris, che dette il nome alla città denominata appunto Tirios e nel medioevo Tiora.

Per quanto esca fuori dello scopo principale di questa narrazione, bisogna, una volta accennatosi a questi particolari intorno a Tora, concludere la vicenda di Vittoria. La giovinetta costantemente soffrì tutto ciò che di più doloroso le imponeva il suo aguzzino, coadiuvato da scherani locali, e si mantenne fedele fino al supplizio. La sua beata morte venne esaltata nel Martirologio Romano sotto la data del 23 dicembre con queste parole:

"Non volendo marito e neppure sacrificare agl'idoli, dopo aver fatti molti miracoli, con i quali aveva racolto a Dio moltissime vergini, finalmente, a istanza del barbaro ed ingrato suo sposo, con una stoccata al cuore fu uccisa dal carnefice a Roma".