Capitolo IV - Deportazione a Tora

Dono e fama di miracoli

Anatolia, esiliata da Roma e priva di ogni sollievo di parenti e di amici, lontana dalla patria e dalla casa, spogliata di ogni ricca proprietà toccatale come retaggio paterno e materno, appariva infelicissima agli occhi del mondo. Questa grande miseria e sventura però veniva abbondantemente compensata con la dolcezze del divino amore e con la certa speranza nei godimenti celesti. L'infelice prigioniera privata perfino, ad opera dei malvagi servi e ministri dell'iniquo Tito Aurelio, del necessario alla vita, si alimentava con la divina parola.

Suo unico pane e cibo sufficente per la sua fame era Cristo. Cristo era la sua patria, e Cristo era l'indivisibile compagno che mai si staccava dal fianco della donzella sua sposa. Anatolia si consacrò ad una continua preghiera e, non contenta delle ore del giorno, trascorreva vegliando intere notti, reputando le sofferenze fisiche, da altri inflittele per causarle patimento e miseria, sua dolci consolazioni e sua vera gloria. In questo periodo apparentemente triste, Iddio che esalta gli umili, la rese per virtù di prodigi, splendida e gloriosa agli occhi del mondo.

Anatolia compie miracoli Anatolia libera Audace

In quel tempo governava, come console, l'intera provincia Picena, un uomo nobilissimo di nome Teodoro o Diodoro, che aveva un figlio di nome Aniano che, invaso dal maligno, si lacerava le vesti e si strappava le carni e, urlando ferocemente quasi fosse una bestia, tutti muoveva a pietà. Questo giovane, o più veramente, lo spirito immondo, per sua bocca, con voce spaventosa simile a tuono, più e più volte andava gridando: 'O Anatolia, con le tue preghiere tu mi bruci!'.

Teodoro, uomo tutto pagano e cieco idolatra, sperava di restituire a suo figlio la salute con le sporche pratiche del gentilesimo e, allo scopo, offriva incensi agli idoli e sacrificava vittime al Demonio mandando Aniano in pellegrinaggio per i diversi templi più famosi dei numi. Un giorno, stretto da catene e in folta compagnia diretto a Tora, dove sorgeva un tempio rinomatissimo dedicato a Marte, questi stava attraversando l'orrido deserto nel quale Anatolia, tutta assorta nelle preghiere, conversava con Dio. Non appena il maligno, che da lungo tempo lo andava agitando, presentì la santa fanciulla, rotti i ceppi e acutamente ruggendo, corse avanti e gettatosi ai piedi di lei, con voce più terribile del consueto, grido: 'Tu sei Anatolia ! Tu sei quella che con le fiamme delle tue preghiere mi bruci !'

Quale non fu lo stupore dei presenti quando la santa vergine prima soffiando imperiosa sopra il fanciullo, poi volgendosi al maligno proferì queste parole: 'Io ti comando, immondo spirito, nel nome del mio Signore Gesù Cristo, esci fuori immantinentida quest'uomo !'. E all'istante il maligno uscì. Gli astanti videro liberato il fanciullo e sollecitamente portarono la notizia a Teodoro al quale Aniano stesso giulivo raccontò come e da chi avesse recuperata la pristina salute. Si fece una grande festa per tutta la provincia e da ogni parte veniva la gente a congratularsi con Teodoro e, nell'ammirazione del prodigio, dovunque il nome di Anatolia era portato in cielo.

Teodoro non fu ingrato alla sua benefattrice, ma accompagnato dalla moglie e dai figli e da tutta la famiglia, andò a Tora a ringraziare Anatolia ed a offrirle ricchi e preziosi doni. Quando costei ebbe davanti tutti quanti, predicò la fede e la legge del Salvatore e ai propri ascoltatori raccomandò la salvezza delle loro anime. Volle pure che i ricchi regali offertile, venissero distribuiti ai cristiani poveretti dicendo, quanto a sè, di non aver bisogno di nulla. Gesù largamente la provvedeva del necessario su questa terra e nel secolo futuro le avrebbe dato un regno eterno in Cielo ed una eterna vita non più funestata nè da miserie, nè da sventure, ma ridondante di luce, di gaudio e di allegrezza. 'Tu poi - aggiunse rivolta a Teodoro - lascia il culto dei demoni, e credi al vero Dio onnipotente e ti salverai'.

La ragion di stato avversa i miracoli

Frattanto la fama del miracolo si era sparsa da per tutto ripetendosi il nome di Anatolia. A lei ricorrevano a frotte lunatici ed energumeni. A lei si conducevano infermi di ogni genere di malattia e dati già per spacciati dall'arte medica. A tutti quanti, con la preghiera in nome di Gesù Cristo, restituiva la sanità ed esortatili a credere li rimandava a casa.

A tanto rumore di prodigi diffuso in tutta la provincia Picena e anche altrove, le genti si convertivano alla religione cristiana con tanta affluenza che ormai i templi degli idoli erano non curati e deserti. I sacerdoti pagani indispettiti rivolsero le più alte lagnanze all'imperatore Decio che, nemico giurato del cristianesimo, arse di sdegno. Chiamato a sè un uomo scelleratissimo di nome Festiano o Faustiniano, lo spedì come giudice a Tora, imponendogli rigorosamente di costringere Anatolia a forza di tormenti, a sacrificare ai numi o, al suo rifiuto, la condannasse pure a morire di spada. Il magistrato non ebbe indugi e, per mezzo dei suoi sgherri, fatta stringere Anatolia con ceppi e avutala dinanzi, guardandola con bieco sguardo, le disse: 'Tu sei quell'Anatolia che vai persuadendo i popoli a disprezzare la pietà e la religione dei Numi e ad adorare invece come Dio un non so quale uomo già messo a morte dai suoi stessi compaesani ?' - 'Son io' rispose Anatolia. E Festiano : 'Sacrifica agli Dei che la manifesta divinità prova di esser dei'. 'Non sacrifico agli idoli - replicò Anatolia - i quali fabbricati dalla mano dell'uomo e privi di sentimenti, hano orecchie e non odono, hanno bocca e non parlano, hanno narici e non sanno odorare, hanno piedi e non camminano.' 'No ! - gridò Festiano - con la tua alterigia non disprezzare i comandi degli Augusti a quali tutto il mondo è soggetto'. 'Ai tuoi Augusti - riprese Anatolia - e a tutti quelli che loro obbediscono è dovuto un fuoco eterno ed una pena senza fine nella quale saranno eternamente tormentati a causa delle loro scelleratezze'.

A tali parole, divampando per la collera, Festiano gridò più forte: 'Tormenti perpetui e fuoco eterno, o ribalda, tu minacci agli Augusti, e a noi cui è merito obbedirli ? Sappi, sciagurata,.che se presto non sacrifichi e non obbedisci agli Imperatori, tu stessa per prima e tormenti e fuoco o incendio sul tuo corpo sperimenterai'.

'Fa quel che vuoi - rispose Anatolia - io non sacrificherò mai ai demoni, nè per minaccia nè per qualsiasi supplizio mi muoverò dal mio proposito'. Festiano allora comandò che la santa vergine venisse sospesa nell'eculeo e tormentata. Nè i barbari persecutori tardarono l'esecuzione dell'ordine anzi, crudelmente la straziarono e con fiaccola accesa andavano bruciando i nudi fianchi di lei e la schernivano gridando: 'Sacrifica ai Numi, secondo l'ordine del principe e poi te ne andrai libera dove vuoi'. Tutta lieta e serena Anatolia, quasi riposasse sopra un letto di rose, rispondeva loro: 'Miseri e infelici ! Per breve ora io sento il dolore nel corpo ma eternamente poi godrò con il mio Dio. Voi all'opposto se non vi convertirete alla fede del mio Signore brucerete, insieme con i vostri Numi in un incendio sempiterno !'. Una fermezza così eroica indispettì Festiano che si mostrò vile oltrechè disubbidiente agli ordini dell'Imperatore. Egli volendo punire la santa fanciulla con lo stesso supplizio al quale nell'antica Roma venivano soggetti i parricidi, la condannò ai veleni. Chiamato a sè un famoso mago che usava serpenti velenosi per ammaliare e uccidere le genti, gli affida l'incarico.

Audace 'il Marso'

Quell'uomo si chiamava Audace e apparteneva al paese dei Marsi, peritissimi e potentissimi nel'impiego di siffatte malie. 'Audace - gli dice - prendi tu questa empia strega incantarice che con i suoi prestigi porta ognuno all'errore, chiudila insieme con i tuoi più velenosi serpenti entro un sacco di cuoio e uccidila, ed io ti farò ricco di molto denaro e diventerai mio primo intrinseco amico'. 'Signore - rispose Audace - non occorrono molti serpenti, un solo serpente le aizzerò e la strega morrà senza fallo'. Avuta in suo potere la santa giovane e messo un serpente, il più micidiale che avesse, dentro un sacco di cuoio, ve la rinchiuse. E qui Dio dimostrò di nuovo la sua speciale assistenza verso i suoi santi e come egli sappia ammansire le bestie più feroci confondendo i suoi nemici e conducendo in tal modo alla fede gli idolatri più ciechi.

AudaceAnatolia, chiusa in quel sacco, con quella bestia velenosissima, sciolse il labbro in un cantico di lode al Signore e nella preghiera trascorse l'intera notte senza che il serpente, divenuto domestico e mansueto, ardisse toccarla col venefico suo morso. Audace, che conosceva molto bene l'indole e la natura del suo strumento, ritenne che il serpente alla chiusura stessa del sacco avesse subito morsicata Anatolia uccidendola. Tuttavia indugiò fino all'alba del giorno seguente, non tanto per assicurarsi che la suppliziata fosse morta, com'egli riteneva certissimo, quanto per recuperare con la luce del giorno il serpente micidiale. Dopo avere invocato i suoi demoni e i suoi dei, cioè Mercurio al quale nel cadduceo Giove aveva concesso il potere della vita e della morte e Pallade la quale ha per insegna la ferocissima Gorgone, perchè lo scampassero dal furore e dai morsi del serpente rinchiuso, aprì il sacco di cuoio.

Qual non fu il suo stupore ! Ecco Anatolia piena di vita e sorridente. E qual terrore l'incolse allorchè il serpente, ridiventato ferocissimo, gli saltò al collo, glielo accerchiò e fieramente con i morsi lo lacerava. Se non fosse accorsa in suo aiuto Anatolia che prese in mano il serpente e gli disse: 'Io ti comando in nome di Gesù per il quale patisco queste cose, parti di qui e vattene al tuo posto !'. Mansuetissimo il rettile, quasi avesse intelligenza ed udito, se ne andò via e Audace, trasecolato e toccato nel cuore dalla grazia divina, incominciò a gridare ad alta voce: 'Veramente Gesù Cristo è Dio, nè esiste altro Dio fuorchè lui !'.

Fu riferito questo mirabile avvenimento e la conversione di Audace a Festiano il quale, altamente meravigliato, a sè lo chiamò e gli disse: 'Cosa mai mi fai sentire ? Non mi avevi promesso che avresti tolta la vita a quella ribalda con i morsi dei tuoi serpenti ? Come va che, non solo non hai mantenuto la promessa, anzi hai abbandonato la religione dei Numi e sei diventato perfino compagno di lei nella follia ?.

A queste parole Audace replicò: 'O Festiano, so quanta fierezza stia nel morso dei miei serpenti e di qual forza sia il veleno di essi e appunto per questo io confesso il nome di Gesù Cristo e adoro la sua maestà. E poichè il serpente da me usato era micidialissimo e non riuscì ad offendere la serva di Dio, mentre con il suo contatto avrebbe potuto dare morte anche in un attimo a qualunque animale avesse morsicato. Ebbene racchiuso con lei nel sacco di cuoio per tutta la notte, non ebbe ardire di toccarla. In più, senza il soccorso di Anatolia, avrebbe ucciso con i suoi morsi me stesso, che son solito con medicine e incantamenti medicarne la rabbia'.

'E che - rimbeccò Festiano - se con incantesimi più potenti dei tuoi smorzò l'ira del serpente, dovevi tu per questo uscire subito nelle grida ed invocare scelleratamente il nome di Cristo ?'. 'Credimi Festiano - ripigliò Audace - i nostri Dei, come dice la santa vergine, sono demoni. Sebbene li abbia serviti fin dall'infanzia, quand'io aprivo il sacco pur avendoli invocati, non vennero in mio aiuto e il serpente, irritato di più dalle mie invocazioni, come ho detto, si avventò a ad onta della mia arte magica, se non lo avesse raffrenato la santa verginella, mi avrebbe tolta la vita. Il vero Dio, il vero Dio è Cristo ! Alla cui servitù consacratasi Anatolia, nè potè essere offesa dal serpente, nè permise che altri ne restasse offeso'.

'Pazzo che sei Audace - replicò Festiano - per questo parli così ?' 'Fui pazzo veramente finora ! Adorai statue mute e sorde e prestai culto ad esse quasi dessero la vita ad altri che non l'hanno e ne implorai il soccorso. Ora che riconosco e credo e confesso il vero Dio, veramente sono savio'. 'Rinsavisci - disse Festiano - e rinnega il nome scellerato e perseguitato dagl'Imperatori. Affrettati a placare con sacrifici gli Dei perchè ti perdonino le ingiurie di cui li hai gratificati'.

Audace però fermo e costante rispose: 'Fa' di me quel che vuoi. Mai sacrificherò agli idoli'. 'Abbi pietà almeno dei tuoi figli - incalzò Festiano - della tua moglie e di te stesso, che volontariamente condanni a morte'. 'Non esiste premura o pensiero veruno di moglie. O conosciuto il vero Dio e a lui mi sono consacrato, non lo abbandonerò più'.

Festiano, accorgendosi così che nè per minacce nè per lusinghe rimuoveva Audace dall'amore e dalla confessione per Cristo, comandò di rinchiuderlo in una oscura prigione in compagnia di Anatolia.

Di questo mezzo, Dio si servì perchè il valoroso prigioniero fosse istruito nelle pratiche e nella dottrina della Religione Cristiana.

Il prezzo della follia della croce

Giorno e notte la santa donzella lo ammaestrava e lo esortava alla pazienza e tanto grande riuscì la fiamma dell'amore di Dio che riuscì a suscitargli nel cuore da spronare il convertito Audace, giubilante insieme con lei del patire per il nome di Cristo, a far risuonare il carcere d'inni e di lodi di ringraziamento a Dio. Maggior odio crebbe nel cuore di Festiano, insofferente di più per tali cose, da portarlo a scrivere la sentenza di morte.

Martirio di AnatoliaNon dice l'antico scrittore con quale genere di supplizio l'atleta della fede fu fatto perire, limitandosi solo a dire che battezzato nel suo sangue Audace volò al Signore. Fa capire però due particolari: nella prigionia Audace, per mano di Anatolia non aveva ricevuto ancora il battesimo che a lui riservava dopo più ampia istruzione: può ritenersi che la sua morte fu dovuta a spada. Il Martirologio indica la data del martirio al 9 luglio, ma seguendo Pietro Adelmo, evidentemente ispiratosi agli Atti autentici della passione, è da ritenersi che la morte di Audace sia avvenuta poco prima di quella di Anatolia.

I cittadini di Tora continuarono a raccomandarsi alle preghiere dell'incarcerata donzella e continuò per sua intercessione la serie di splendidi prodigi. Venivano condotti infermi e indemoniati da lei e tutti immediatamente venivano liberati da ogni male e moltissimi, abbandonati gli idoli, si facevano cristiani. Così grande era il numero dei convertiti da far temere a Festiano che la maggior parte del popolo abbandonasse la religione pagana. Ricominciò a smuovere Anatolia dal suo proposito e dalla fede ricorrendo alle carezze e alle più splendide promesse. Cercò di spaventarla mostrandole dinanzi agli occhi i tormenti più crudeli, ma invano, e disperando di vincerne la costanza, ne affrettò la condanna a morire per mezzo di spada. L'esecuzione doveva avvenire, per evitare la conversione dell'intera città, non in pubblico ma nella tetraggine della prigione.

Era il 9 luglio del 252 e il crudele carnefice entrò nel carcere e trovò Anatolia dritta in piedi a braccia aperte, assorta in orazione. Il boia, tratta la spada dal fodero, gliela piantò nel fianco destro con tanta veemenza che la punta dell'arma passando il corpo da parte a parte, spuntò nel fianco sinistro. E così Anatolia, vergine e martire di Cristo, superate le sventure di questo mondo infelice, giunse in compagnia delle schiere dei martiri e delle vergini alla sempiterna allegrezza e si riunì eternamente nel cielo con quel suo caro sposo, Gesù, insistentemente cercato e calorosamente amato giorno e notte su questa terra.

Nel mattino seguente, ciè il 10 luglio, alcuni cristiani di Tora, i quali avevano creduto a Cristo per mezzo della martire, entrati nella prigione, rapirono il suo corpo, forse custodito da soldati, per rendergli l'onore del sepolcro che, come si legge, veniva dato ad altri santi martirizzati. Dio stesso, assicura l'antico scrittore, aveva indicato il luogo dove essi spargendo amarissime lagrime lo seppellirono.

L'indicato luogo si trovava nella vale Torana ed era il medesimo nel quale la moglie ed i figli di Audace avevano deposto le spoglie del loro caro, secondo i risultati del ritrovamento effettuato sette secoli dopo. I due atleti, uniti nel carcere e nel martirio, si ritrovarono uniti anche nella tomba. Può supporsi che il sepolcro di Anatolia, sebbene fosse una fonte perenne di grazie per quei fedeli, almeno durante le crudelissime persecuzioni seguite a quella di Decio, rimanesse incerto e sconosciuto. Non appena fu data la pace alla chiesa, nella valle Torana si costruì una chiesa in onore a Sant'Anatolia e il 9 luglio di ogni anno in folla vi accorrevano i popoli vicini a venerare la Taumaturga e a conseguire insigni prodigi per gli infermi che vi conducevano.