Capitolo V - Il ritrovamento delle reliquie

Leone il 'gagliardo' abate di Subiaco

Sulla città di Tora, come su altri luoghi popolati della valle del Salto, che costituiscono il paese del Cicolano, si abbattè la furia delle invasioni dei barbari con la triste catena di stragi, d'incendi e di devastazioni. Con il tempo costoro si assuefecero agli sventurati italiani e sistemarono a modo loro il territorio. I Longobardi, una delle popolazioni straniere più fiere, compresero Tora nella circoscrizione amministrativa del Ducato di Spoleto e da allora Tora iniziò le relazioni con l'imperiale abbazia di Farfa ma sempre dipendente dal punto di vista religioso dal Vescovo di Rieti.

Ceneri di S.AnatoliaLe condizioni del Cicolano divennero, come del resto in tutta l'Italia, piuttosto oscure e non vale la pena di affrontare la fatica d'inoltrarsi in un terreno così poco solido e incerto. Basterà accennare che tra gli anni 875 e il 926 non meno di undici re, di volta in volta italiani, francesi e tedeschi, cinsero la Corona d'Italia e da questa inettitudine a governare, si scivolò in una pericolosa anarchia resa più grave dall'imperversare dei pagani. Ungari da settentrione e Saraceni dalla parte opposta, avevano reso tristissime le condizioni di tuti i cristiani e quelle particolari della Diocesi di Rieti calpestata dai maomettani. Con vibranti lettere all'imperatore, il papa Giovani VIII e un altro papa, Stefano VI, ancor più pressamente lo invitarono a scendere in Italia per purgarla dalla faziosità dei cattivi cristiani e dalla molesta presenza dei pagani.

In quell'atmosfera rovente, i monaci di Farfa furono costretti ad abandonare le fumanti rovine della loro badia ed a rifugiarsi nel Camerinense, sul monte Matenano ivi portando le reliquie di S.Vittoria. I Saraceni, istallati e fortificati alla foce del Garigliano, partivano per molestare il ducato di Spoleto e il patrimonio della Chiesa. Conquistarono Rieti e Antodoco e, come al solito, uccisero, incendiarono e devastarono e si fortificarono a Trebula Mutuesca, la città dove, come si ricorderà, S.Vittoria fu uccisa. La memoria del loro passaggio rimane affidata al nome delle contrade, quali 'Muro Saraceno in Framignano, Aia Saracena in Alzano e in Castelmenardo' i quali nomi alimentano le nostre fantasie nella ricostruzione di episodi ignorati dalle cronache. Papa Giovanni X bandì contro gli infedeli una specie di crociata alla quale partecipò, insieme con altri, lo stesso duca di Spoleto e Camerino di nome Alberico I. Le forze coalizzate dei cristiani snidiarono i Saraceni da Trebula costringendoli alla fuga verso le loro basi e lungo il percorso li sconfissero in vicinanza di Tivoli e a Vicovaro, dove essi peraltro lasciarono delle pattuglie che nella valle dell'Aniene formarono Saracinesco Vecchio e Saracinesco nuovo.

Ceneri di S.AnatoliaCon a capo lo stesso Pontefice, l'esercito cristiano si mosse ad attaccarli nei munitissimi fortilizi delle loro basi e, in una memorabile battaglia campale, nel 926 sgominò i Saraceni sulle rive del Garigliano.

In questa atmosfera di alleanze e mutue assistenze, Alberico duca di Spoleto fece inviare a Subiaco l'abate Leone per ripristinarvi la Comunità benedettina. Un vescovo di Rieti, mosso da una speciale devozione verso S. Benedetto, si indusse ad accrescere il patrimonio della ricostruita Badia col donarle la chiesa di S. Anatolia e la Valle Torana. Lo scritto che quel donativo accompagnava e perfezionava è andato smarrito ma esistono, come si vedrà, prove indirette della sua compilazione.

L'abate Leone volle prendere possesso del graditissimo dono e con una grande comitiva di nobili, signori e famigliari, nell'anno 932 partì da Subiaco alla volta di Tora. Qui giunto volle realizzare ciò che in mente aveva lungamente concepito e cioè l'investigazione delle reliquie dei santi Anatolia e Audace che egli poco prima aveva saputo fossero nascoste nella Vallata.

Il pio abate ordinò per svago una caccia durante la quale accadde un fatto miracoloso. All'avvicinarsi al luogo dove stavano nascosti i corpi dei santi, i cani non potevano penetrarvi e se ne sentivano respinti da forza arcana. Presi da folle spavento ritornarono indietro verso i cacciatori fieramente uggiolando e abbaiando come colpiti da rabbia. Tutti se ne meravigliavano fuorchè Leone il quale solamente sapeva nascoste nella Valle di Tora le sante reliquie dei martiri e ripeteva:'Non senza mistero accade tuto ciò !'

S'investigò con ogni diligenza dapertutto ma non si trovarono tracce dei corpi ricercati e la partita di caccia terminò. Ciascuno si alontanò da quei luoghi insieme con il pio abate che si era messo di nuovo a cavallo dirigendosi alla volta di Subiaco. E qui rifulsero i disegni del Signore che volle manifestata al mondo la gloria dei suoi santi.

Leone fu preso da grave sonno e, caduto quasi di sella, sentì il bisogno di dormire giacendo sul nudo terreno. Destatosi dopo poco cominciò a dire: 'Sono stato ristorato da un sonno salubre'. E, a quanti gli erano corsi a fianco, narrò per ordine e indicò il luogo, da Dio stesso mostratogli, nel quale da molti secoli era racchiuso il tesoro dei santi corpi. Tutti si volsero verso la parte alla quale l'abate alludeva e tra esclamazioni e grida di giubilo si svolse una gara operosa che sassi e terra smuoveva.

Furono scoperte due urne da cui usciva un soavissimo profumo e, scoperchiatele, in una trovarono il corpo di Sant'Anatolia e nell'altra quello di Sant'Audace. Ci fu grande giubilo e dolci lagrime tra i presenti per l'inaspettato e caro ritrovamento e fu felicissimo, oltre ogni dire, l'abate Leone. Questi stabilì, per conservare in un luogo più decente quelle sacre spoglie, di farle trasportare a Subiaco e, rivestitele pomposamente di nobili e preziosi panni, vennero caricate su un cavalo indomito che, al solo tocco delle urne, diventò mansueto e placidissimo. Giunte le spoglie a Subiaco, la cittadinanza accorse a riceverle alle porte e, tra lagrime di tenerezza e giubilo, trionfalmente le accompagnarono al monastero di Santa Scolastica dove furono esposte alla pubblica venerazione. Il cavallo indomito, appena scaricata la preziosa soma alla porta della chiesa, stramazzò morto in terra, per divina disposizione che impediva a ciò che era stato santificato dal contatto delle sacre reliquie di venir destinato ad usi profani.

E i Torensi come accettarono il gesto di Leone ? Pare di leggere che essi a quello che a loro sembrava un rapimento ed un sorpruso reagirono e corsero per le vie di Rieti e per quelle di Subiaco esternando proteste e cerimonie. Il loro vescovo Anastasio (948-969) si fece eccellente mediatore con l'ardito, animosus, abate Leone. Questi sentiva di dover andare incontro alla popolazione menomata dalla sottrazione dei corpi dei Santi e fu raggiunto un accomodamento. L'abate avrebbe ceduto una spatola di Sant'Anatolia in cambio di qualche diritto, aliquantulum juris, che riceveva probabilmente dallo stesso vescovo Anastasio. Nell'anno 981 poi, allorchè il sommo pontefice Benedetto VII di propria mano consacrò la chiesa di Santa Scolastica fu deposto il corpo di S. Audace sotto l'altare maggiore. Nell'anno 1095 infine, Adamo, vescovo di Alatri, invitato dall'abate Giovanni, riverentemente pose le reliquie di S. Anatolia sotto l'altare maggiore del sacro Speco di San Benedetto in Subiaco. In questa circostanza l'abate spedì alcune reliquie di Sant'Anatolia a quella cospicua terra della Marca di Ancona, detta Esanatoglia e da allora è invalso l'uso di far invocare a testimonio, dai monaci del sacro Speco, nel fare la professione monastica, anche il nome di S.Anatolia 'il cui corpo riposa in questa chiesa'.

Non solo nel giorno della sua festa che cade però il 10 (e non il 9) di luglio in quel luogo sacro venerano la Taumaturga i popoli vicini, ma in ciascun giorno si recano allo Speco del santo patriarca Benedetto pellegrini e visitatori di ogni lingua e nazione.

Subiaco-S.Scolastica Subiaco-S.Scolastica

Subiaco - Monastero di Santa Scolastica
Altare di S.Anatolia e Audace contenente le ossa dei SS.MM.

S.Anatolia in Colonia Jubenzana

Nella stessa abazia di Subiaco, in Gerano, S.Anatolia si venera come protettrice e se ne riguarda solennemente la festa, celebrata in una chiesa a lei dedicata, discosta circa un miglio dall'abitato del paese e contornata da un prato vasto e ameno. In questa chiesa rurale scaturiva una vera sorgente di grazie per zoppi, rattrappiti, indogliati e per sofferenti di altra infermità o imperfezione ribelle ad ogni rimedio dell'arte medica che vi si portavano in venerazione. Appena prostrati innanzi all'altare dov'ergesi la sua statua e supplici invocavano la martire cicolana, per lo più si vedevano liberati da ogni male con meraviglia e commozione insieme. Si vedevano poi allontanare con le proprie gambe dalla chiesa di S. Anatolia festosi e giulivi quelli che da altri sostenuti o portati a braccia o sorretti da grucce vi erano stati portati, dopo aver depositato i vani sostegni della guarità infermità.

Ancora quella chiesa di Gerano il 10 luglio di ogni anno viene frequentata da una folla di remota provenienza e di numero difficilmente calcolabile in continuazione di quei pellegrinaggi, iniziati già dal X secolo se non prima. Difficilmente i pellegrini rimarranno commossi al compimento di una grazia taumaturgica e allo spettacolo che ne segue perchè alla intercessione riparatrice di Sant'Anatolia è stata sostituita la fede nei poteri di una magia più o meno nera ma sempre ipotetica. Il governatore Festiano invasato dall'idolatria e grato a modo suo a Sant'Anatolia, ha fatto scuola e proseliti numerosi.

All'origine di questa devozione, a parere di chi scrive, sta la remota venerazione dei Benedettini per le sue martiri Vittoria e Anatolia. Ancora oggi sul timpano dell'altare maggiore di quella chiesa può leggersi in lettere greche il sublime titolo di madre di Dio. Theotokos e la città rivendica non ben precisate origini delle due martiri.

Nella Valle Giovenzana, dove le proprietà della Chiesa si confondevano con quelle del vescovo di Tivoli dal quale allora essa dipendeva, esisteva la chiesa di Sant'Anatolia già nell'anno 936 come si rileva dal privilegio pontificio: 'praedicta colonia quae appellatur Iubenzana qui et Trellano (Gerano) vocatur, in ea antea fuit curte domnica et ecclesia sancte Anatoliae. Nel centro agricolo, curtis, impiantato lungo l'arcaica via di collegamento tra Roma e il paese degli Ernici, attraverso la città di Empoli e di Sassola e gli Altipiani di Arcinazzo, e costituito da negozi, magazzini, ospizi e chiese, tra queste si noverava già la chiesa dedicata a Sant'Anatolia. La curtis domnica era stata distrutta in antea dai Saraceni annidiati nella valle dell'Aniene e battuti, come si è detto, a Vicovaro (poco lontano dalla colonia Giovenzano) ma non completamente snidiati se le loro pattuglie poterono fondarvi Saracinesco Vecchio e Nuovo. Lo stesso centro, ridotto a colonia, passò nelle mani dei Benedettini di Subiaco poco prima dell'anno 936 e la natura dell'origine della venerazione di S.Anatolia in Gerano finora un po' nebulosa meriterebbe di essere corretta. Si era pensato che l'abate Leone, di ritorno dalla val di Tora, per raggiungere Subiaco, anzichè attraversare da Arsoli la val d'Aniene, da Vicovaro si sarebbe portato in Gerano e dall'affluenza di popolo mosso ad incontrare le reliquie, vi avrebbe decisa una sosta in un padiglione provvisorio. La gente avrebbe continuato ad accorrere in quel posto per venerarvi la Tammaturga cicolana trasformandolo in una chiesa. Quella sosta, che allungava notevolmente l'itinerario del viaggio, sembra capricciosa e pone una logica domanda: perchè il pio abate scelse proprio Trellano-Gerano e non per esempio Arsoli e Vicovaro che incontrava lungo il cammino diretto e più breve ? La risposta più spontanea e logica è appunto che doveva uno speciale riguardo a Trellano-Gerano a causa della chiesa di S.Anatolia, da cui forse era stato ispirato a compiere il viaggio.