Capitolo VI - La Citta' di Tora

La Citta' di Tora

"Passa est autem sancta sacratissima virgo Anatholia in loco ubi exuberant virtutes d. N.J.C. per oratione ejus usque in presentem diem..." (da una ms. dell'VIII secolo - già nella Badia di Farfa, oggi nella Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma)

Protagonisti e coristi in questa narrazione hanno formato un groviglio non interamente districato. E' probabile che gli sposi nuncupativi si siano sistemati con altre due pulzelle, altrettanto giovani e belle di Anatolia e Vittoria e presto, senza rimpianti per i loro tesori, sarà loro passato di mente il sangue innocente fatto spargere sotto l'obrobriosa veste di spie. L'impagabile Festiano (che in qualche punto era chiamato Teodoro, dono di Dio), al termine dell'incarico svolto nel Piceno, sarà tornato in patria e, come era costume presso i romani, si sarà dedicato alla vita dei campi e al patronato dei rustici che contornavano la sua villa.

Grotta di S.AnatoliaSuo figlio Aniano somiglia troppo ai nove lebbrosi guariti da Gesù che si ritirarono senza un ringraziamento e la storia lo fa rientrare scialbamente nei ranghi idolatrici. Folgorato per intercessione di Anatolia, folgorato dalla Grazia, non tradisce come il decimo lebbroso, riconoscenza per la sua benefattrice e senza spingerla come fece il mago Audace, fino al martirio, neppure che si sappia, con l'adesione al cristianesimo.

Subiaco, il Sacro Speco e i Benedettini e Gerano perdurano nel solco tracciato dalla vergine cicolana ancora sotto i nostri occhi e nello sfondo di tutti gli avvenimenti, la Chiesa Cattolica, Sposa del Sangue o Chiesa del Silenzio, ha ripetuto nei XVII secoli trascorsi da allora, uguale a se stessa, la vocazione a mantenere il Regno di Dio su questa tera sempre sofferendo, combattendo e sperando.

I principi professati nel III secolo e affermati da S.Anatolia, con S. Vittoria e con S. Audace, non differiscono da quelli espressi da Pio XII agli uomini di Azione Cattolica e ai giovani, riferiti in principio. Dopo la lunga vacanza, causata dall'uccisione di San Fabiano, la chiesa riebbe il suo pastore in Cornelio (martirizzato il 14 settembre 255) e la serie dei pastori della chiesa, attraverso vicissitudini, eresie, scismi, errori, continua fino al pontefice gloriosamente regnante. Defezioni, tradimenti e persecuzioni (grazie a Dio) non sono mancate e non mancano. Ma neppure martiri, confessori, santi e buoni cristiani, come le stesse parole del santo Padre hanno indicato, più per esempio che non per rigore di numero, in Maria Goretti e Contardo Ferrini.

E Tora e i Toresi ? Colpiti da immeritata sorte sono spariti, essi, che pur erano stati così pietosi verso la martire prigioniera e anzi, neppure si conosce dove la città si trovasse. Rimane aperta la contesa tra Castelvecchio (oggi Castel di Tora) e Sant'Anatolia in teritorio di Borgocollefegato, trascurando Esanatoglia, arcidiocesi di Camerino, che per Jacobilli volentieri contenderebbe gli onori agli altri due paesi.

La maggioranza dei fautori (tutti autorevoli) della prima ipotesi ragionano presso a poco così: Tora va identificata con Castelvecchio, oggi Castel di Tora, perchè il fiume Turano lambisce i piedi della sua collina e ha dato il nome al paese. Ha una chiesa dedicata a S.Anatolia annessa oggi al Pontificio Collegio Romano. In Collepiccolo dirimpetto ad Antuni e sovrastante ad una piana assommano avanzi di antiche costruzioni che sono i resti dell'antica Città di Tora.

I partigiani dell'altra ipotesi sono, a quanto risulta, uno, Monsignor Marini, vescovo di Rieti nella seconda metà del XVIII secolo, e controbattono: Il Marini, è partito dalla ripetuta segnalazione del calendario popolare che sotto la data del 9 luglio, annota: 'nella città di Tjrio, presso il lago Velino, il martirio dei santi Anatolia e Audace, sotto Decio imperatore...' e ha costruito il suo ragionamento così: nè l'antica Tora prese il nome dal Turano nè la città esisteva presso detto fiume, ma ben lungi da esso si trovava e ben lontano dal Turano. Non in Sabina, ma nelle parti di Regno (delle Due Sicilie), nella Regione a confine con Equicoli e Marsi. Non in Castelvecchio, ma presso la terra di Torano e la poco distante S. Anatolia dei Marsi. A questo punto affacciava un argomento, se non decisivo, nemmeno trascurabile, vale a dire la distanza da Rieti. Secondo gli antichi geografi, questa città distava da Tora XL miglia - tradotta in misura moderna circa Km. 60 - Orbene essa si attaglia approssimativamente a quella che intercorre da Sant'Anatolia a Rieti, mentre Castelvecchio ne dista Km. 28.500.

Sant'AnatoliaE incalzava: il Velino o è il fiume, che con il nome di Piediluco scorre in mezzo a Rieti (mentre il Turano vien detto dalle antiche fonti Imele o Telonio), o è un monte ed è chiamato (a quei tempi) Montagna Velina, ovvero è un lago e in questo caso, notava, nel declivio della Montagna Velina si è formato un minuscolo bacino idrico che gli antichi chiamavano lacus. Ad avalorare questo convincimento sarà opportuno ricordare che lo stesso termine venne usato in Subiaco, così strettamente legato alla storia di S.Anatolia per i tre laghi formati dalla raccolta di acqua dell'Anio Novus, sui quali si specchiava la opulenta Villa di Nerone detta appunto il Sublaqueo. La loro esiguità era manifesta ed altri, non meno autorevoli scrittori, i laghi stessi chiamarono stagni Simbruini, Simbruina Stagna. Univoca e fitta è infine la toponomastica, concludeva Monsignor Marini, in questi posti con S. Anatolia in Tora, S. Lorenzo in Tora, S. Costanzo in Cartora e Torano.

Altrove, il predetto vescovo, lasciò, in occasione di Visita Pastorale, in data 26 agosto 1797, verbalizzato che la chiesa principale di Sant'Anatolia dei Marsi trovavasi fuori del paese nel luogo dove 'per più secoli si venerava il corpo della santa e dove fu coronata dal martirio'. Doveva averla trovata in condizioni soddisfacienti e ben diverse da quelle in cui la vide il card. Amulio quando esperì, per la prima volta, la visita pastorale in aplicazione dei decreti del concilio di Trento e che scrisse: 'si teme che si rovinino i sacri arredi e i paramenti e, pur fatiscente, nella chiesa talvolta si celebra la messa per divozione di qualche fedele'.

Il ragionamento di monsignor Marini è logico e concludente eppure, a giudizio di chi scrive, non è completo trascurando altri due elementi essenziali per l'orditura della leggenda di S.Anatolia e trascurando gli echi sublacensi promananti dalla Taumaturga. A entrambi si dedica questo breve discorso: nella città di Tora esisteva un oracolo sotto la protezione di Mercurio. L'epigrafia ha potuto scoprirvi i concorrenti culti per Giove e, trattandosi di luoghi boschivi, per Diana memorense e Silvano. Faceva parte del Municipio Equicolano e il suo nome derivava, come si è visto, da Marte (Thyrios Arìs) che conservò per tutto il medioevo con variante in Tiora e aveva un soprannome, Matiene.

Inequivocabilmente l'avevano vista il Marini, Bunsen, Martelli, Colucci e il Michaeli nella regione Equicola e non in Sabina e la identificò nel secolo scorso Gioberti scrivendo: 'Uno dei più antichi oracoli pelasgici è quello di Tiora, oggi Torano, nel territorio di Rieti, presso il villaggio di S.Anatolia, ai piè del monte Velino dove il Pico, uccello divino degli Aborigeni profetava'.

E' stata ricordata, trattando il rinvenimento delle spoglie di S.Anatolia, l'epoca in cui presumibilmente un vescovo di Rieti per devozione a San Benedetto, donò all'abate di Subiaco dei beni nella valle di Tora. L'originario atto è andato smarrito. Il prenominato mons. Marini ne tramanda l'eco, raccolta 'da un registro del sec. XIV che conservasi nel mio archivio' da chi scrive ricercato invano.

Erano beni per il cui trasferimento occorreva la ratifica dell'Imperatore e del Papa: la prima fu data da Ugo e Lotario re d'Italia nel 941 e molto più esplicitamente dall'imperatore Ottone I nell'anno 967, in questi termini: (all'abate Giorgio) '... confermiamo ... anche tutto ciò che gli spetta in territorio di Rieti, cioè, nella valle chiamata Tora, la chiesa di S. Anatolia che ha ricevuto per concessione scritta del vescovo di Rieti...'. Da parte sua il Papa Leone IX, nel 1051, confermò al monastero di Subiaco, quanto aveva acquistato nel territorio reatino e cioè '... in valle Torense anche la chiesa di S. Anatolia che possiede per scrittura del vescovo della Santa chiesa di Rieti...'. E' superfluo aggiungere nella Marsica e non nella Sabina. La stessa nazione di Audace, Marsus, cioè appartenente alla Marsica, vicina a Tora, dove arrivava il confine territoriale di Albe e famosa per incantesimi e per magie, n'è una ulteriore e piena conferma.

Del resto, su quel che è stato detto, il lettore può pronunciare un sereno giudizio estraneo a tenerezze di campanile, di scuola o di congrega.

Deo Gratias !