La mia vita nella Tenuta di San Biagio

Da un racconto di Giorgio Minicucci - Testimonianza raccolta da Marco Di Girolamo

Clicca sulla fotografia per ingrandirlaMio padre trovò lavoro nella fattoria di San Biagio alle dipendenze del barone Masciarelli e con lui anche mia madre. Papà faceva il contadino e accudiva mucche e cavalli, mamma, invece, si interessava delle galline, tacchini e dei maiali.

Alle dipendenze del barone Masciarelli lavoravano altri contadini di Magliano. Questi, ogni mattina, alle prime luci dell’alba, muniti di vanga e tascapane, raggiungevano a piedi la fattoria, che dista dal paese circa 6 chilometri, per tornare a casa al calar del sole. A sera, dopo una giornata di lavoro, essi preferivano, a volte, dormire nel pagliaio per riprendere il lavoro l’indomani mattina, magari con un po’ di fame in più, per aver mangiato poco o niente la sera precedente. Nella fattoria, oltre ai contadini, c’erano dei “pecorari”. Questi risiedevano nella tenuta, soggiornando in veri e propri tuguri.

Angelo Amanzi era il guardiano, l’uomo di fiducia del Barone. Di tanto in tanto, venivano a trovarci , Giuseppe Domenicucci e Giovanni Caringi. Questi erano guardia campestre e guardia boschi, ed il loro intento non era tanto di controllare il rispetto delle regole sui pascoli, quanto di condividere un bicchiere di vino per l’amicizia che li legava a papà Ettore.

Quella fattoria era il mio mondo, e per me che ero un ragazzo di appena cinque anni quella grande tenuta, fatta di fabbricati fra cui spiccava la residenza del barone, stalle, animali, attrezzi agricoli, e ampi locali pieni di raccolti stagionali , erano la mia proprietà. Cosi anche per mio fratello Antonio.

Un giorno vidi un’auto stupenda salire per l’ampio viale che portava alla residenza signorile. Era la Balilla del Barone , di un nero lucido che splendeva alla luce del sole. Nell’auto c’era lui, il Barone, il suo autista ed un bambino, biondo con tanti riccioli, ben vestito, scarpe lucide….. il figlio del barone. Quando tutti furono usciti dall’auto e ben accolti dai presenti con scappellamenti ed inchini reverenziali, mio fratello Antonio, scarpe rotte e sporche, pantaloni rattoppati e stracciati, capelli sporchi, si intrufolò nella macchina, chiudendosi dentro. Non voleva più uscirne, nonostante le insistenze di Angelo Amanzi, il guardiano, il quale doveva tener cura di quell’auto parcheggiata. Il diverbio tra il guardiano ed Antonio arrivò alle orecchie del barone, ma mio fratello riteneva che quella macchina come tutte le altre cose che erano nella tenuta, fosse sua e…. basta!!!

All’epoca non c’era energia elettrica e per avere un po’ di luce si ricorreva alle lampade a carburio. Per noi bambini il carburio fu una vera attrazione quando capimmo che lo si poteva usare per spaventare i pesci. Vicino a San Biagio scorre il fiume salto e io insieme a mio fratello Antonio, di nascosto di papà e di Mamma , ma anche di Angelo Amanzi che appunto era il guardiano del Barone, rubavamo qualche pezzo di carburio per gettarlo al fiume dove l’acqua era più alta. Il tutto per vedere i pesci saltare sull’acqua.

Al di là dei “pecorari” che lasciavano la tenuta di buon mattino per tornare a sera con le loro greggi e dei contadini che erano intenti nei campi tutto il giorno, la vita era monotona specialmente per noi bambini che vivevamo nella tenuta: io, i miei fratelli Antonio, Nino e Mario. Maria ancora non nasceva. Avevamo poche occasioni di vedere gente, ed al calar del sole tutti a dormire. Nel periodo estivo durante la mietitura, tra i macchioni che fiancheggiavano i viottoli, s’intravedevano qua e là i canestri che le donne portavano in bilico sul capo, pieni di cibo per i loro uomini e per i mietitori.

I carrettieri che da Corvaro, Sant’Anatolia, Borgo Colle Fegato, Torano si recavano a Magliano a vendere fascine di legna e percorrevano la strada bianca che costeggiava il muro di cinta della Tenuta del Barone, passavano di buon ora ed erano soliti ripassare nel tardo pomeriggio. A Magliano erano soliti soffermarsi a Magliano, nelle osterie di Elocasta, Caricò, Capoccetto, Maria de Sabina. Nei mesi di settembre su quella strada, provenienti da quegli stessi paesi passavano le greggi, condotte dai pecorai dei Conti Placidi di Sant’Anatolia. Le pecore venivano condotte fino a Cappelle, fatte salire su vagoni merce e condotte nelle campagne romane dove trovavano pascoli più nutrienti. Ripassavano nei mesi di Marzo, Aprile. Al passaggio delle greggi, ci divertivamo a rubare i cuccioli dei cani, lasciando aperto il grande cancello della tenuta. Una volta entrati, attirati dai nostri cani, li chiudevamo dentro. Un’altra volta mettemmo lungo la strada delle zucche, intagliate e raffiguranti fantasmi, illuminate all’interno con delle luci a carburio per mettere paura ai pastori e carrettieri, ma, in confidenza, devo dire senza successo.

A cinque anni andai a scuola. Quella più vicina era Marano, 3 km, sopra la montagna, 400 metri di dislivello Qui ho frequentato la prima elementare. Io e mio fratello Antonio raggiungevamo la scuola a piedi, inerpicandoci sui viottoli di montagna. Anche con la pioggia e la neve riuscivamo ad essere puntuali per la campanella di inizio. Poi ci trasferimmo a Magliano e mi sembrava di essere arrivato ad un grande città.

Tratto da: http://www.vivamagliano.it/testimonianza-raccolta-da-marco-di-girolamo/