La tresca fra il vedovo e la moglie del garzone deve subito finire

Il Messaggero On line - Rieti - Sant'Anatolia - Giovedì 11 Settembre 2003

La storia di casa nostra. Un caso del 1835 a Sant’Anatolia

di ANDREA LIPAROTO

Ne accadevano, come di sa, di tutti i colori, ai tempi della dominazione pontificia in Sabina. Vescovi e preti tentavano di tenere sottocontrollo denaro e anime. Tra queste quelle "deviate" venivano pesantemente punite - perché il perdono e la comprensione era roba cristiana, non pontificia - così da rimetterle sulla "retta via". Ecco un episodio esemplare. Ci troviamo nel 1835. Località Sant'Anatolia. E' il 7 luglio, è quasi mezzanotte. E' un momento importante per la ristretta popolazione del posto perché si sta svolgendo la visita del vescovo di Rieti monsignor Filippo Curoli. Le campane suonano a festa e la gente emette grida festanti. Il vescovo è accompagnato dal segretario personale, don Carlo Pacifici, e dal parroco del paese, don Pietro. Monsignor Curoli, dopo aver benedetto la folla si reca in chiesa per conferire la cresima a 15 ragazzi. Nel corso dell'omelia parla del dovere di seguire l'insegnamento di Cristo, quindi amore universale ecc. Parole pregne di passione e fede. Poi all'uscita arriva ad un orecchio del vescovo un pettegolezzo del parroco: una tale Irene Pozzi mette le corna al marito con un vedovo. Ora la condotta della donna poteva essere dettata da mille, legittime ragioni, chiaramente: fine dell'amore per il marito, improvviso innamoramento per il vedovo. Ma il vescovo è irremovibile: quella faccenda è grave, scandalosa e imperdonabile. Profondamente irato il Curoli, prima di ripartire per Rieti, detta una lettera al segretario personale da inviare alle Autorità giudiziarie competenti.

Quello che segue è il testo (tratto dal sito www.santanatolia.it):

Al Sott'Intendente, lì 8 luglio 1835. - Signore, è in questo paese una prattica scandalosa ed inveterata tra il vedovo Nicola Amanzi, ed Irene Moglie di Marco Fracassi. Questo infelice invano si è adoperato per richiamare la moglie al suo dovere, e finalmente per quieto vivere, ha dovuto abbandonare la propria casa, e mettersi a servire in qualità di garzone in Castelmenardo. Li due scandalosi protervi hanno amareggiato il cuore di questo mio monsignore vescovo di Rieti, anche perché li medesimi da cinque anni in qua sono lontani dai sacramenti, ed io ne fò rapporto perciò a lei Illustrissimo Sott'Intendente, perché si compiaccia di adottare contro di essi le misure le più forti ed energiche in linea di pulizia. - f.to Carlo Pacifici. Amen.