Capitolo VIII - Santuario di S. Anatolia

1. Cronologia - 2. Epigrafi romane - 3. Date impresse nell'edificio - 4. La struttura - 5. La cappellina di S.Anatolia - 6. La statua di gesso - 7. Conclusioni

...capitolo in corso di aggiornamento...

1. Cronologia

Il Santuario di S.Anatolia sorge su un terrazzamento in opera poligonale di epoca romana. All'esterno, incassata sulla sua parete d'ingresso, vi è una epigrafe che ricorda un lascito testamentario di 400 sesterzi fatto da Lucio Petronio, figlio di Caio Fabio. Non sappiamo a chi egli fece il lascito. E' improbabile che lo fece a favore dei suoi eredi, altrimenti sarebbe stata la norma e nessuno avrebbe commissionato ad uno scalpellino una epigrafe per ricordarlo. E' possibile Invece che egli donasse tali sesterzi ad un tempio, situato nello stesso luogo dove poi venne costruita la chiesa, in questo caso tutto avrebbe più senso.

La chiesa, durante i secoli, subì vari crolli e, nelle ricostruzioni, a volte venne rispettata l'architettura precedente, a volte venne stravolta. I crolli avvennero a più riprese e la causa potrebbe risalire a vari motivi tra cui:

  • Terremoti. Il territorio su cui sorge la chiesa è ad alto pericolo sismico. Gravi terremoti, documentati nell'aquilano, avvennero nel 1349, 1456, 1502, 1703, 1742, 1904 oltre a quello del 1915 che distrusse gran parte del paese antico (1).
  • Invasioni di popoli di religione avversa. Tra l'850 e il 916 d.C., i Saraceni invasero e saccheggiarono le nostre contrade e, la loro diversa religione, potrebbero averli spinti a distruggere i luoghi di culto cristiano (2).
  • Guerre interne. Nel 1268 Carlo d'Angiò, dopo aver sconfitto Corradino di Svevia nella famosa battaglia di Tagliacozzo, fece saccheggiare e distruggere i villaggi che si erano schierati in favore del suo avversario. Più o meno la stessa cosa accadde qualche decennio prima con Federico II di Svevia. I paesi alleatisi contro l'impero subirono l'ira vendicativa di Federico II che collimò nella marsica con la distruzione completa di Celano che nel 1222 fu rasa al suolo. Fu risparmiata solamente la chiesa di San Giovanni. Gli abitanti di Celano vennero deportati in massa prima in Sicilia e poi nell'isola di Malta. Alcuni anni dopo fu concesso loro di tornare in patria e ricostruire la città (3).

Il Santuario di S. Anatolia in una vecchia fotografia in bianco e nero

Anni 706-1110. Foroaldo II, duca Longobardo di Spoleto, dona al monastero di Farfa 1500 moggia di terra arabile abitata da 12 famiglie di contadini in territorio di Cliviano (Santo Stefano di Corvaro). Sono comprese nella donazione varie chiese, tra cui quella di Sanctae Anatholiae de Turano (4). Le altre località elencate nel documento sono: Macclam Felicosam, Cripta Machelmi, Frontinum (monte Frontino sopra Corvaro), ecclesia Sancti Savini (S. Saino, chiesa nel cimitero di Castel Menardo), ecclesia Sancti Sebastiani (nel 1252 una chiesa omonima si trova elencata assieme alle chiese di Sancto Constantino e di Sancto Sepulchro e queste ultime risultano collocate nei pressi della Bocca di Teve a Cartore) e Corvarium (Corvaro). Nello stesso documento è registrato uno scambio tra l'abate di Farfa e un certo Soldone. Farfa scambia la chiesa di Sant'Anatolia con quella di Sancta Maria de Loriano situata nell'amiternino. L'estensione del territorio, considerando quale unità di misura il moggio napoletano equivalente a mq. 3.364,86, corrisponde a circa 2,3 km. quadrati. Il territorio è arabiles e questo significa che nella concessione non vengono presi inconsiderazione i territori boschivi o di montagna. Insieme al territorio vengono concesse al monastero dodici famiglie di contadini (manentibus XII). Sicuramente, per gestire questo grande territorio, del quale Cliviano (Santo Stefano di Corvaro) risulta capoluogo, alcuni frati benedettini si impiantano nel territorio fondando un primo monastero, probabilmente optando per la stessa Cliviano, essendo il luogo che controlla dall'alto la più grande pianura coltivabile dell'attuale Comune di Borgorose (il piano del Cammarone). L'epoca in cui viene costruito il monastero di S. Anatolia è probabilmente posteriore all'edificazione della chiesa. Possiamo per ora solamente ipotizzare che il monastero venisse edificato successivamente, dopo il ritrovamento della tomba di Anatolia e Audace avvenuto intorno al 932 d.C. Con il ritrovamento e la traslazione delle ossa presso le abbazie di Santa Scolastica e del Sacro Speco a Subiaco, il rinato culto per la Santa potrebbe aver spinto i frati benedettini a stanziarsi anche nel nostro territorio per controllarne la chiesa (5).

Anno 1115. Il confine tra la diocesi di Rieti e quella dei Marsi passa per la Buccam de Teba (Bocca di Teve, localita di Cartore) e per le Vulpen Mortuam (Volpi Morte, zona nei pressi del fiume Salto tra S.Anatolia e Marano) (6). Quindi la chiesa di Sant'Anatolia, di pertinenza dell'abbazia di Farfa, si trova nella diocesi di Reatina, mentre il monasterium S. Mariae in valle Porclanesi et castellum Rosciolum (Rosciolo), già nel 1048 di pertinenza dell'abazia di Monte Cassino, si trovano nella diocesi Marsicana (7).

Anni 1153-1182-1218. Nel 1153 Cartore risulta governato da due parrocchie: Plebem Sancti Laurentii et Sancti Leopardi in Cartoro (Parrocchie di San Lorenzo e di San Leonardo in Cartore). Nel 1182 a Cartore c'è sempre la parrocchia di San Lorenzo, mentre a Sant'Anatolia c'è il Monastero di S. Anatoliae in Vilano. Anche San Leonardo, che nel 1153 è stato registrato come Parrocchia, nel 1182 viene registrato tra i monasteri (S. Leonardi in Selva). Nel 1218 il monastero di San Leonardo è sotto la giurisdizione dei monaci del monastero di San Paolo fuori le mura di Roma: «in marsi [...] Sanctum Leonardum supra in Cartore cum cellulis, villis et molis, et aliis pertinentiis» (8).

Anno 1250. L.A. Antinori scrive: «Si fece in quest'anno il Registro delle Rendite del Monastero di S. Maria in Valle Porchianeta. I terreni erano stati distribuiti in trentanove feudi, oltre a venticinque altri pezzi coltivati. Esiggeva il Preposto dagli enfiteuti, e dai coloni, come pure dalle famiglie, dette casate, in numero di dodici, i redditi di grani, vini, orzi, di pani, polli, agnelli, formaggi, canapi, carni porcine, puledri, ed opere personali. Esiggeva da Prepositi, e Rettori delle Chiese di S. Lorenzo, di S. Anatolia, di S. Maria di Magliano, di S. Luca nei giorni festivi di quei Santi, pranzi in quelle Chiese a se e a suoi Chierici. Di più oblazioni  [consistenti in] prosciuti, agnelli, e simili dalla chiesa di S. Lorenzo e di S. Luca, nel Natale, Pasca, feste di S. Marco, e di S. Benedetto. Da quella di S. Anatolia nella festa di S. Maria, e nelle tre altre lo stesso, e in oltre due quartari di grano, e due d'orzo. Da quella di S. Maria di Magliano nell'Ascenzione e nella Natività ed Annunciazione della Vergine la metà delle oblazioni, e nella festa di S. Benedetto le contribuzioni, come la prima, e di più un moggio di grano, ed uno d'orzo. Dall'altra Chiesa di S. Salvatore di Paterno ogni settimana una misura di pesce, ed ogn'anno nella Pasqua una libra di cera, due prosciutti, e un pulledro. Tutti i Rettori di queste chiese erano istituiti dal Preposto (v. A. 1086. Regest. A. 1250 in Censual. Eccl. S. Mar. in Valle - Marculani cop. q.m. not. Franc. Floridi in Archiv. Mon. S. Salvat. Major. A. 1601 - v. A. 1086. Il Monistero di S. Maria di Rosciolo in Valle Porclianica era stato confermato con quel castello ex Monistero di Montecasino dall'Imperador Lottario nel 1137 e dell'Imperadore Arrigo VI nel 1191 di esso di fece. Rosciolo)» (9).

Anno 1252. La «Ecclesia Sancta Anatholia» risponde in parte (in quibusdam) al «monasterio sancti Salvatoris». La stessa chiesa registrata con il nome di «Sancta Anatholia de Cartore» e quella di «Sanctus Laurentius loci eiusdem» risponde al «Monasterio sancte Marie de Valle» (10).

Anno 1268. Il Re Carlo d'Angiò fa saccheggiare e distruggere i castelli i cui abitanti si sono schierati con Corradino di Svevia nella celebre battaglia di Tagliacozzo. In quell'occasione viene distrutto il monastero benedettino di Santa Maria in Valle Porclaneta e probabilmente anche quello di San Leonardo in Cartore e di Sant'Anatolia. I soldati angioini sembra che distruggano i monasteri ma risparmino le chiese (11).

Anno 1337. Il notaio Barnabas Pascalis di Turano, il 27 agosto, redige l'Inventario dei beni (mobili, immobili, semoventi, etc.) del castello di Turano, fatto per ordine di Tommaso da Salerno, ciambellano e vicario della contea d'Alba in Abruzzo, come da lettera diretta a Matteo di Nicola e Pietro di Biagio e Nicola suo fratello. Ordina che siano fatte due copie del suddetto inventario e che una sia spedita alla corte di Alba. Nel documento, da trascrivere e tradurre, viene citata Sancta Anatolia probabilmente come Università proprietaria di qualche terreno di confine (12).

Anno 1394. A febbraio re Ladislao chiede a molte terre e castelli del regno di non rompere la tregua e di rimanere a lui fedeli e, tra le terre che aderiscono, vi sono anche Magliano, Rosciolo e Sant'Anatolia (13).

Anno 1398. Nel villaggio abbandonato di Cartore, esiste ancora la parrocchia di San Laurento de Cartola, l'eremo di S. Costantio a Val di Teve ed il monastero di S. Leonardus et S. Nicolaus, dipendenti dai monaci di San Paolo di Roma. La chiesa di S.Anatholia dipende invece in parte dai monaci benedettini del Monasterio S. Salvatoris vicino a Rieti. Nelle sue vicinanze sorge la chiesetta rurale di Sancta Maria de Collis (14).

Anno 1418. Lorenzo Colonna viene investito della Contea di Alba di cui fa parte anche S. Anatolia. «Nobili Orlando de Orlandis de Ginnanzano procuratori illustris. et magnificorum Iordani ducis Venusii, et Rentii fratrum de Colupna comitis Albae magni Regni Siciliae camerarii domini nostri papae germanorum, promissio de attendentis dicto cimiti Albae omnia, quae ei pollicite sumus videlicet. Quod concedemus ei Comitatum Albae cum titulo Comitatus cum terris, et Castris videlicet Alba, S. Anatolia, Rissolo, Luco, Magliano, Castronovo prope Albam, Cappella, Aveczano, Transaquis, Capistrello, Pescocanali, Canistro, Meta, Civitella, Rendinara, Castronovo de Vallibus, Roccadevivo, et Civitantine. Sub mense Octobris. Anno 1418» (15).

Anno 1534: il 9 gennaio viene concesso da Pedro de Toledo, viceré di Napoli, l'Assenso Regio al contratto con cui Ascanio Colonna cede i feudi di S. Anatolia, Tusco e Spedino, nel contato di Alba e Tagliacozzo, a Francesco Ferdinando Valignani, in compenso della promessa dote di Beatrice, figlia naturale di Fabrizio Colonna, di 3500 ducati mai corrisposti (16).

Anni 1559-1561. Il vescovo di Rieti Giovan Battista Osio visita la chiesa di Sant'Anatolia che è la parrocchia principale dell'omonimo castello. Si trova fuori dalle mura del paese, isolata nella campagna e vi vengono seppelliti i defunti. Nel frattempo tra il 1398 e il 1561 era stata costruita la chiesa di San Nicola che fino al 1700 sarà considerata parrocchia secondaria. Trovandosi nel centro storico del paese, più al sicuro e più comoda per i cittadini, gli oggetti di valore, le suppellettili, il sacramento, il fonte battesimale, vengono conservati al suo interno. Con bolla del 19 settembre 1559 il vescovo nomina abate parroco don Vincenzo Innocenzi. La nomina avviene per rinuncia del precedente parroco Jacopo Antonio Stabili (17).

Anno 1564. Il vescovo Marcantonio Amulio visita la chiesa di San Nicola e, nel suo resoconto, specifica che essa non è la parrocchiale, in quanto «dicono che quel ruolo spetta alla Cappella di Sant'Anatolia posta fuori dal castello. Tuttavia, essendo per la maggior parte delle persone più comoda, vi viene amministrato il Sacramento».

Anno 1581. Il vescovo Costantino Bargellini visita il paese di Sant'Anatolia e, nel suo resoconto, conferma che la chiesa di S. Anatolia è la parrocchia. Specifica però che quella di San Nicola è in crescita e, contando che presto anch'essa diventerà parrocchiale, chiede al parroco di adoperarsi per ingrandirla e migliorarla.

Anni 1582-1587-1590. I vescovi Costantino Bargellini, Innocenzo Malvasia e Giulio Cesare Segni, in tre visite pastorali diverse, registrano che le chiese di Sant'Anatolia e di San Nicola sono ambedue «curate».

Anno 1614. Ascanio Valignani vende a Filippo Colonna i castelli di Sant'Anatolia, Spedino, Latuschio e la villa di Cartore. I Colonna manterranno tali feudi fino all'abolizione napoleonica nei primissimi anni dell'ottocento.

Anni 1613-1673-1725. Il vescovo Pier Paolo Crescenzi e quelli a seguire, nei loro resoconti, registrano che le parti si sono invertite: San Nicola è la chiesa parrocchiale principale, S. Anatolia è la filiale della parrocchia e viene detta anche «Matrice». Il titolo però per i parroci rimane quello di «Abate Parroco» della «Parrocchia, et Curata Ecclesia Abbazia nuncupata Sancta Anatolia» ed infatti nel 1725 il parroco di S. Anatolia Tommaso Luce, non adeguandosi ai cambiamenti in corso, interrogato con dei quesiti dal vescovo Antonino Serafino Camarda, risponde che: «La chiesa parrocchiale sotto l'invocazione di S. Anatoglia nel Vicariato del Corvaro, dominio del signor contestabile Colonna governata da don Tommaso Luce di detta terra d'età d'anni quaranta sei» e che «Ha la medesima tre membri di chiese cioè S. Nicolò dove per comodo si conserva il Santissimo Sacramento. è la medesima consacrata  sotto li 28 aprile non si sa il tempo della consacrazione».

Anno 1828. Il vescovo Gabriele Ferretti scrive: «Questa stessa mattina si è fatta la visita della chiesa di Santa Anatoglia. Rimane in poca distanza fuori del paese. L'antichissima e consagrata. Ha di lunghezza circa 11 canne, di larghezza cinque. E' a tre navate con diversi archi, e tutte le navate sono a volta. Era qui un monastero di monaci Benedettini, ma presentemente non ne rimangono che pochi indizi». Nello stesso resoconte descrive nei dettagli tutti gli altari.

Anno 1851. Il vescovo Gaetano Carletti ricorda che la chiesa di S. Anatolia «è di natura filiale, di gran devozione del popolo e de' paesi circonvicini che frequentemente vi accedono. E' questa consagrata, antichissima e la tradizione ricorda esservi stato una volta un monastero di benedettini. Ha gli altari disordinatamente disposti. Sono questi minutamente descritti nella visita del 1828». 

Anno 1874. Il segretario del vescovo Egidio Mauri, nel resoconto della visita pastorale, scrive: «Grande era la devozione che questo Santuario riscuoteva dal popolo e dai paesi limitrofi. Le sue memorie sono ricordate nella visita 1828-1851. Coll'andar del tempo questa chiesa era quasi ruinata. Da qualche anno si è incominciata a restaurare colle elemosine dei fedeli. Ma non sono ancora ultimati i restauri. Monsignor vescovo raccomandò vivamente il sollecito proseguimento dei medesimi. Vi si continua a seppellire. Si spera però che si renda sepolcrale l'altra chiesa fuori del paese di «dell'Addolorata». Quanto agli oblighi di messe annessi a questa chiesa, vedi appresso. Ha la cura di essa l'abbate pro tempore e vi è tuttora eremita per custode. Quanto alla distribuzione dell'elemosina delle messe che manualmente si introitano in questo santuario, si osserva tuttora il decreto emanato in proposito da Monsignor Curoli nel 1839. Monsignor Vescovo visitato personalmente questo Santuario, ad onta dei restauri che vi si debbono ancora praticare, lo trovò atto ai divini uffici ed alla celebrazione della S. Messa».

Anno 1910. Il segretario del vescovo Bonaventura Quintarelli, nel resoconto della visita pastorale, scrive: «al di sotto del paese sorge la chiesa dedicata a S. Anatolia Vergine Romana qui martirizzata, a venerare la quale continuamente, ma specialmente nel giorno della sua festa, 10 luglio, accorrono da ogni parte anche lontana. Molta è l'elemosina che fanno al Santuario, molte sono le messe che sono da celebrarsi. Monsignor vescovo per evitare abusi ha ordinato che il parroco apra apposito registro ove si notino le elemosine che si ricevono e nel corso dell'anno e nel giorno della sua festa, da sottoporsi alla revisione del Vescovo in occasione di Sacra Visita, sia presso la Curia Vescovile e un altro registro in cui si notino le messe che i fedeli danno a celebrare, ed ove celebrate che siano, si registrino. Anzi ha ordinato al parroco che dopo essersi ritenute quelle che a lui sono necessarie, le altre le mandi a lui, il quale penserà a farle celebrare».

2. Epigrafi romane

Nel Santuario antico di Sant'Anatolia vennero rinvenute alcune iscrizioni romane già riportate nel capitolo primo. Quella che ci sembra più importante ricorda l'imperatore Marco Aurelio Antonino che probabilmente visitò il nostro villaggio:

IMP. CAES.
M.AVRELIO.ANTONI
IMP.CAES.L.SEPTIMI.SEVERI.PII
PERTINACIS.AVG.ARABICI
ADIABENICI.PARTHICI.MAXIMI
FILIO.COS.III

Fu pubblicata dal Mommsen che la trovò nel pavimento di fronte all'altare della Vergine Anatolia. Mommsen era un convinto assertore che la nostra chiesa si trovasse «in ruinis Torae oppidi» soprattutto per la somiglianza del nome della città con quello di Torano. Il Saletta la tradusse nel seguente modo: «All'imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino, augusto, pontefice massimo, figlio dell'imperatore Cesare Lucio Settimio Severo, Pio, Pertinace, Augusto, Arabico, Adiabenico, Partico, Massimo, nel terzo anno del suo consolato» (18).

Sempre il Mommsen vide che l'altare della chiesa antica di S.Anatolia, prima della ricostruzione del 1877, era sorretto da una grande lapide o colonna in pietra («basis magna in vico S.Anatoliae in valle Salti ex altari ecclesiae S.Anatoliae nuper extracta») sulla quale era incisa questa iscrizione. Il Saletta la tradusse «A Calvena Veneria, figlia di Tito, Lucio (Giunio) Giusto, figlio di Lucio, pose alla moglie di buona memoria» (19).

D.M.S.
CALVENE.T.F
VENERIAE
L/////NIVS
LF IVSTVS
CONIVGI
B.M.P.

La seguente epigrafe, in pietra calcarea, si trova tuttora nella chiesa di Sant'Anatolia incassata nel muro esterno della facciata sopra una delle porte d'ingresso.

Epigrafe di Petronio

L.PETRONIVS.C.F
FAB.EX.TES.
HS. CCCC

Essa venne pubblicata dal Mommsen il quale asserì che il Petronio dell'epigrafe abitasse nel territori di Alba poichè apparteneva alla tribù Fabia nella quale erano ascritti gli Equi Albensi. Il Saletta la tradusse scrivendo fabbro anziché Fabio: «Lucio Petronio, figlio di Caio Fabio, per testamento 400 sesterzi» (20). Ancora un'altra conferma che il nostro villaggio si trovava in giurisdizione Albense.

Nei dintorni del Santuario fu rinvenuto un suggello di bronzo con questa piccola iscrizione; essa venne pubblicata dal Garrucci, dal Mommsen («Signaculum ad S.Anatoliae in Aequicolis: Eulogi C.N.T.»), dal Lugini e dal Saletta (21).

EVLOGI C.N.T

3. Date impresse nell'edificio

Anno 1460 (1460-1469). Data incisa nella parte superiore sinistra dell'affresco posto al lato di quello di Anatolia e visibile dal retro della cappellina. Il numero finale non è più visibile.

Affresco raffigurante una Santa con data impressa 146..

Anno 1725. Epigrafe in alto a sinistra della porta di entrata della casa della famiglia Placidi adiacente al Santuario: «PETRUS PLACIDI FECIT A.D. MDCCXXV». Ricorda la data di costruzione o di restauro dell'edificio che probabilmente un tempo faceva parte della chiesa.

data di costruzione della casa dei Placidi nel 1725

Anno 1727. Data impressa sulla cornice in alto della cappella votiva di S.Anatolia: «EXTAURATA 1727». Ricorda la data di restauro della cappellina di S.Anatolia. La parte leggibile, anche se in alcune parti non se ne capisce il senso, è più o meno questa: «[testo non visibile] MARIANO AL - ASOV [o ASCU, testo non visibile, ipotesi: PER D] - EVOTIONE HA FACTA QUESTA CAPPELLA - IN NELLE 1523 AD 12 [testo non visibile, ipotesi: R]EXTAURATA 1727». Il testo manca di alcune parti che sono state evidenziate tra parentesi quadre. Il testo mancante in alcuni casi è irrecuperabile, in altri è ancora situato al di sotto della cornice decorativa realizzata in epoche posteriori al 1727.

Cornici poste ai lati della cappella di S.Anatolia.
Dall'alto: lato posteriore, lato sinistro, lato anteriore e lato destro

Anno 1813. Data impressa nella campana del santuario. Nella campana sono scolpite due lucertole. La campana, secondo la tradizione orale, venne prelevata ai primi del 1800 dal campanile della chiesa diroccata di S.Lorenzo in Cartore da dove era caduta e venne fusa di nuovo. Il testo completo è più o meno questo: «EXURGAT DEUS ET DISSIPENTUR EIUS - IN HONOREM S. ANATOLIA VIRGINE ET M. - REVERENDO PETRO PLACIDO ADISTRANTE [?] - VINCENTIUS DE ANGELIS DE AQUILA ANNO DNI 1813».

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Campana del Santuario di S. Anatolia

Anno 1822. Un pellegrino Eusepio Di Giovanbattista incide questa data in ricordo della sua visita. Data incisa in alto nel centro/sinistra dell'affresco di S. Lucia posto sul retro della cappellina. Nell'affresco sono visibili altri nomi e altre date poco decifrabili.

Affresco di S. Lucia

Anno 1884. Data impressa in un'epigrafe in memoria di Antonio Placidi. L'epigrafe era posta sul retro della cappella di S.Anatolia. Nel 2004, durante i lavori di restauro della cappella, è stata ricollocata vicino alla porta d'ingresso all'interno della chiesa: «DI ANTONIO PLACIDI - CHRISTIANO DI FEDE INTEMERATA - PADRE AFFETTUOSO - CITTADINO INTEGERRIMO - CARO A QUANTI LO CONOBBERO - RESTA IL RICORDO - DELLE SUE VIRTU' - NACQUE NEL GIORNO VIII LUGLIO MDCCCXVIII - MORI' IL VI SETTEMBRE MDCCCLXXXIV»

Epigrafe funeraria in memoria di Antonio Placidi.

Anno 1894. Data impressa alla base della statua di S.Anatolia nell'altare maggiore: «Fecit A. Saff 1894». La data ricorda l'anno della creazione della Statua in gesso scolpita da Albert Saff di Boemia.

Autore e data della realizzazione della statua di S.Anatolia

4. La struttura

La chiesa di S.Anatolia è posta al di sopra di un terrazzamento che la solleva di circa 5 metri rispetto alla valle Cantu Riu. Il terrazzamento è sorretto a sua volta da un muro poligonale di epoca romana, forse un tempio pagano. E' noto che spesso i luoghi di culto pagano, con l'avvento del cristianesimo, si trasformarono in edifici di culto cristiano. La martire Anatolia visse del III secolo d.C. ed è certo che il suo culto si diffuse già in epoca romana (22). Dai documenti fin'ora visionati la descrizione più approfondita della chiesa risale al 1828 con il resoconto della visita pastorale del vescovo di Rieti Gabriele Ferretti (23). Egli misura la chiesa in 11 canne di lunghezza e 5 di larghezza, cioè circa metri 29 per 13 (24). La chiesa era a tre navate con vari archi e con i soffitti a volta. Il Ferretti ricorda l'esistenza di un monastero di cui già all'epoca non ne rimanevano che pochi indizi. La chiesa era situata al di fuori del paese ed era sepolcrale.

Il fonte battesimale si trovava presso la parrocchia di San Nicola situata all'interno del paese. Nel 1851 nel resoconto al vescovo Carletti il parroco asseriva che: «nella chiesa di S. Nicola non vi sono sepolchri, ed i defunti si seppelliscono nella chiesa di S. Anatoglia dove sono sei sepolchri, e distano dagli altari quattro palmi circa le più vicine, e l'altre distano di più. Sono tutte comunali [...]. Vi sono sepolcri per i due sessi, e per i fanciulli ma non per gli ecclesiastici - e sempre il parroco scriveva che - Anticamente la chiesa parroc-chiale era S. Anatoglia, ma ora è S. Nicola. La chiesa di S. Anatoglia è consagrata e non si sa ne l'epoca ne il vescovo. Solo si celebra l'anniversario il dì 28 aprile per tradizione. Quella di S. Nicola non è consagrata» (25).

All'interno della chiesa c'erano diversi altari con cappelline decorate con affreschi o statue. Ad ogni altare corrispondeva di solito un benefattore che in passato aveva lasciato in eredità alla chiesa dei beni con i quali aveva chiesto nel testamento di creare o di mantenere un altare. In cambio del lascito il benefattore richiedeva solitamente ai parroci di recitare alcune messe in suo favore: pro redemptione animae suae.

Nel 1712 i beni della parrocchia consistevano: in terreni et un anno e l'altro se ne percepisce da salme undici di grano in circa et un scudo di prata e venti inventicinque carlini incirca d'incerti e trentacinque carlini di vigna (26).

Negli anni che vanno dal il 1541 al 1874 la chiesa di S. Anatolia aveva sette altari principali e quattro eretti per devozione. Durante quei secoli ci sono vari mutamenti interni ma più o meno la chiesa mantiene la sua architettura originaria. Intorno agli anni 1870-1877 iniziano i lavori di ingrandimento e rimangono in piedi solamente l'altare di S. Anatolia e l'altare maggiore, ma quest'ultimo cambia completamente sembianze.

Altare Maggiore o Capo Altare

Nel 1561 il vescovo Osio ci fa sapere che l'altare maggiore è dedicato a S. Anatolia. Nella descrizione del 1570 il vescovo Amulio aggiunge che sull'altare «vi è una immagine della gloriosissima Vergine in una eminente scultura e sopra un piccolo crocifisso». Nel 1581 il vescovo Bargellini: «La base dell'altare maggiore è più ampia di quanto si prevedeva». Nel 1627 il vescovo Giovambattista Toschi ci fa sapere che l'altare non è più dedicato alla Vergine Anatolia ma al «Natale di Nostro Signore», abbreviando la dicitura latina «Natale Domini Nostri» con la siglia «N.D.N.». Nella visita del 1712 il vescovo Guinigi relaziona: «L'Altare Maggiore, sotto l'invocazione della Santissima Natività del Signore Nostro Gesu Cristo, è ben provvisto e ornato e non vi era nessun onere nè reddito». Nel 1721 lo stesso vescovo conferma che «l'Altare Maggiore è sotto l'invocazione della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo» e «ordina di fornire l'altare del baldacchino, di dipingere la croce nello stipite, di fornirlo di un crocifisso scolpito e di rimuoverne la raffigurazione». Nel 1828 il vescovo Ferretti lo descrive: «L'altare maggiore ha una pittura a fresco, che rappresenta la nascita di nostro Signore con alcuni angeli che tengono in mano gli emblemi della Passione, l'Annunciazione di Maria S.ma da un lato, dall'altro l'adorazione dei Magi. Questa pittura è stata recentemente ritoccata, e solennemente deturpata».

Probabilmente, dopo che il vescovo Guinigi chiese di rimuovere la raffigurazione nella Natività, da questa vennero staccati due Angeli e ricollocati all'interno della cappella di S. Anatolia che nel 1727 venne completata (extaurata 1727). In seguito, durante i lavori del 1870-80 l'altare maggiore dedicato alla «Natività di N.S.G.C.» venne sostituito con l'altare di Sant'Anatolia e con la grande struttura contenente la statua in gesso della santa realizzata da Carl Albert Saff nel 1894.

Edicola votiva di S.Anatolia - Angeli e putti al lato destro di Sant'Anatolia - Affresco recentemente scoperto all'interno dell'edicola - Fotografia di Roberto Tupone - 2004 Edicola votiva di S.Anatolia - Angeli e putti al lato sinistro di Sant'Anatolia - Affresco recentemente scoperto all'interno dell'edicola - Fotografia di Roberto Tupone - 2004

L'affresco con gli angeli che tenevano in mano gli emblemi della passione descritti per l'Altare Maggiore
furono probabilmente staccati e posti all'interno della Cappellina di S. Anatolia


Altare e Cappella di San Sebastiano

Si trovava in fondo alla navata, a sinistra di chi entra in chiesa. Nel 1561 il rettore è don Novello. Vi è istituita la Compagnia di San Sebastiano che fa celebrare ogni prima domenica del mese. Il sacerdote riceve un contributo da parte del confratelli. Nel 1570 l'altare si trova nella cappella «alla mano sinistra dell'altare maggiore». La cappella è chiusa con un cancello di legno. Sopra l'altare c'è la statua di San Sebastiano decorata con varie pitture. Nel 1581 l'altare viene trovato ben decorato. Nel 1587 il vescovo Malvaglia conferma che la «Cappella di S.Bastiano» è retta da «li confrati» (27). Nel 1712 l'altare risulta possedere alcuni beni immobili, che vengono amministrati da un procuratore. Nel 1721 si confermano i beni posseduti e «di anno in anno il reverendo signor abbate nomina un procuratore ad amministrare i suoi frutti, e ad amministrare i suoi redditi, per conto del signor abbate». Nel 1828 viene così descritto: «Si trova a cornu evangelii. E' dedicata a S. Sebastiano di cui c'è una statua di legno. La comune in passato celebrava la festa di questo Santo e dava il conveniente stipendio all'abate, ed ai canonici, poi non più. Nell'altare c'è un ciborietto inservibile e, dentro il recinto della cappella, due sepolture. L'altare aveva un monte frumentario di circa dieci salme di grano, che si è disperso, e possedeva alcune rendite particolari». Della statua e delle decorazioni della Cappella di San Sebastiano oggi non c'è traccia.


Altare di Santa Maria

Nel 1561 il rettore è don Giovanni Angeli. L'altare ha alcuni beni e raramente vi si celebra. Il Vescovo trasla il titolo di Santa Maria sull'altare e cappella di Santa Anatolia. Nel 1577 è dotato di un reddito annuo di circa una salma di frumento e di cui è beneficiario il clerico Difonzio di Battista, uno dei canonici della chiesa. Nel 1581 si trova in mezzo alla chiesa, al lato destro. Nel 1613 il vescovo ordina di demolire l'altare di Santa Maria specificando che è quella al lato destro.


Altare e Cappella della Beata Maria Vergine poi Madonna Santissima di Loreto

Si trovava sulla parete sinistra piuttosto centralmente. Nel 1561 il rettore è don Novello. Raramente vi si celebra. Nel 1570 l'altare è sotto l'invocazione di Santa Maria Vergine ed «è situato al lato sinistro dell'altare maggiore». Il rettore è sempre don Novello Domenico. Nel 1581: «al lato sinistro si trova l'altare di Santa Maria il cui rettore è don Domenico Ricci». Nel 1587 la denominazione è «Cappella di S. Maria» ed è vacante. Nel 1673: «nell'altare della Beata Maria di Loreto vi è una beneficio semplice vacante per la morte di Carlo Mestrello. Ha una rendita annua di ducati 1,50». Nel 1686: «In esso c'è un beneficio semplice posseduto da don Pietro Luce, che ha una rendita di 1:50 ducati». Nel 1712: «Altare della Beata Maria Vergine di Loreto. E' ottimamente provvisto ed decorato ma bisogna dotarlo di baldacchino. In esso c'è un beneficio semplice, chiamato canonicato, di jus patronato dell'eccellentissimo signor contestabile Colonna, in possesso di don Leonardo Placidi, con un reddito annuale di carlini nuovi 15  che è annesso e unito al canonicato da esso già in possesso nella chiesa parrocchiale». Nel 1721: «C'è un beneficio, chiamato canonicato, di jus patronato dell'eccellentissima famiglia contestabile e il possessore è il Reverendo don Leonardo dei Placidi». Nel 1828 il vescovo Ferretti lo descrive così: «Nella navata a cornu evangelii trovasi un altro altare dedicato alla Madonna SS.ma di Loreto. E' senza pietra sagra, e senza ornati; e perciò è interdetto. In quest'altare è fondato un beneficio semplice di Jus-Patrono della casa Colonna, che presentemente si possiede dal Sig. d. Angelo Falcioni. E' stato decretato, che il beneficiante dentro tre mesi lo ristauri, lo provvegga di pietra sagra, e di ornati». Della Cappella della Madonna di Loreto oggi non c'è traccia.


Altare e Cappella di Sant'Anatolia

E' la Cappellina di Sant'Anatolia tutt'ora esistente. Nel 1561 risulta unita all'abbazia. Nel 1570 viene descritta come «un saccello, recintato da una cancellata di legno, unita all'Abbadia». Nel 1577 «vi viene traslata l'immagine di Santa Lucia» della cui cappella è rettore e beneficiario il reverendo abbate Innocenzi. La cappella di S. Anatolia «ha un reddito annuo di ducati 3 in frumento». Don Vincenzo abbate asserisce che nell'altare «celebra tutti i giorni festivi» e che «è una cappella piena di devozione, fornitissima, decoratissima e decentissima». Nel 1581 l'altare «ha una immagine molto bella e antica, un cancello di legno chiuso e paramenti ben decorati». Nel 1712 «l'altare di Sant'Anatolia è circondato da una cancellata chiusa, ottimo, di forma decente e ben ornato. In esso vi è una confraternita omonima composta di uomini e mogli, che possiede dei beni stabili e un reddito annuale, come da nota esibita dagli amministratori, attraverso il procuratore eletto e assegnato dall'Abbate». Nel 1721: «L'Altare di S. Anatolia ha un cancellato situato in mezzo alla chiesa, che fu trovato ottimamente adornato. C'è una Compagnia che non indossa il Sacco, e che ha vari beni stabili, con i frutti dei quali si provvede all'Olio, e all'altro necessario, tanto per il detto altare, quanto per il corpo della chiesa, la cui immagine è di grande devozione, e molti concorrono all'elemosina, e per questa ragione il procuratore eletto dal reverendo signor abbate deve rendere conto, esibendo il libro, e la prova e motivazione dei pagamenti fatti, al reverendo signor abbate». Nel 1828 Ferretti la descrive così: «Nell'arco medio tra la navata grande, e la navata a cornu epistole (navata di destra), esiste una cappellina, con 4 colonne di stucco, recinta da un bel cancello di ferro inverniciato, entro la quale esiste un altare dedicato a S. Anatoglia con pittura a fresco rappresentante la Santa. Nella volta della Cappella è dipinto il Redentore, e ha quattro lati, i 4 Evangelisti. Questa pittura è stata di fresco ritoccata, e deturpata. Vicina alla immagine della Santa leggesi in caratteri gotici Anatolia».

Per quanto riguarda la Cappella di Sant'Anatolia il vescovo Ferretti, oltre all'immagine di S.Anatolia, descrisse un affresco del «Redentore» situato nella volta e i «Quattro Evangelisti» situati ai quattro angoli della Cappellina. Dell'immagine del «Redentore» non vi è traccia, a meno che non si trovi sotto lo strato di stucco nella volta della cappellina. Gli affreschi dei «Quattro Evangelisti» si trovano all'esterno della Cappellina, negli angoli in alto. Dei quattro affreschi, tre sono ancora visibili, mentre il quarto è completamente dissolto.

Primo evangelista - Cappellina di S.Anatolia - Fotografia di Roberto Tupone - 12/7/2009 Terzo evangelista - Cappellina di S.Anatolia - Fotografia di Roberto Tupone - 12/7/2009

Secondo evangelista - Cappellina di S.Anatolia - Fotografia di Roberto Tupone - 12/7/2009 Quarto evangelista - Dipinto completamente dissolto - Cappellina di S.Anatolia - Fotografia di Roberto Tupone - 12/7/2009

i Quattro Evangelisti. Il 4° è dissolto.


Altare e Cappella di Santa Lucia

Nel 1541 viene data in beneficio a don Vincenzo Innocenzi, abate parroco di Sant'Anatolia che sarà rettore fino alla sua morte nel 1589. Nel 1561 il vescovo rileva che raramente si celebra messa nell'altare. L'altare ha alcuni beni. Il Vescovo ordina di traslare l'altare di Santa Lucia nella cappella di Santa Maria di Loreto. Nel 1570 l'altare viene trasferito. Nel 1577 l'immagine di Santa Lucia viene traslata nell'altare di S. Anatolia. Nel 1589 il vescovo Segni nomina Innocenzo Innocenzi di Sant'Anatolia curatore della cappella di Santa Lucia, nella chiesa di Sant'Anatolia. La nomina avviene per morte di don Vincenzo. Il nuovo canonico viene presentato al vescovo dal barone Vincenzo Valignani. Dopo il 1589, nei documenti finora visionati, la cappella di S. Lucia non viene più menzionata.

Nella Cappella di S.Anatolia si trovano vari affreschi, non descritti dal vescovo Ferretti. Uno è posto nella parete retrostante la Cappellina in basso a destra e al di sotto dell'affresco della Deposizione di Gesù. L'affresco rappresenta una santa, con la palma del martirio in una mano e la bibbia nell'altra, ed è proprio per questi attributi che inizialmente si è ipotizzato che esso ritraesse la vergine Anatolia. A far luce sulla questione c'è la descrizione del vescovo Bargellini dove, nel 1577, il vescovo raccontò che l'immagine di S. Lucia era stata traslata nella cappellina di S. Anatolia «La cappella di Santa Anatolia, dove era stata traslata l'immagine di Santa Lucia» (28).

Edicola votiva di S.Anatolia - Affresco recentemente scoperto sulla parete esterna - Fotografia di Roberto Tupone - 2004

Affresco di S. Lucia

L'affresco fino a pochi anni or sono era ricoperto da intonaco e solamente nel 2004 è stato scoperto e restaurato. Una particolarità che lo riguarda è che i pellegrini in visita al santuario avevano preso la brutta abitudine di incidere le loro firme sull'intonaco probabilmente ignorando il tesoro che nascondeva. Tra le firme vi si trova anche la data del 1822 incisa da un certo Eusepio di Giovanbattista, il nome  Fracassi Peppino, Luce Vittorio, Pietro, ecc. 

Tra il 1574 e il 1577 l'affresco di Santa Lucia venne quindi strappato dalla parete in cui si trovava e ricollocato nella parete posteriore, in basso a destra, della cappella di S. Anatolia. Nell'immagine a seguire, a sinistra c'è l'affresco di S. Lucia a S. Anatolia, comparato con quello a destra, quasi identico, che si trova nella chiesa di Santa Lucia ad Azzano di Spoleto in provincia di Perugia. In quest'ultimo caso il pittore viene individuato in Piermatteo Gigli, 1581. All'interno della chiesetta di Azzano si legge la seguente iscrizione che ben identifica la data di costruzione della chiesa e di creazione degli affreschi: «QUESTA CAPPELLA LA FECE FARE BARTOLOMEA / PER LASSITO DE SUO MARITO FIORAVANTE. A.NO D. / MDLXXXI A DI XVI DE MAGGIO».

Confronto tra affreschi di S. Lucia


Altare e Cappella di Sant'Andrea

Nel 1561 rettore della cappella è don Giovanni Bartolomitti. Raramente vi si celebra. L'altare possiede delle terre. Il Vescovo trasla l'altare di Sant'Andrea nella cappella della Compagnia del Corpo di Cristo. Nel 1570 viene trasferito nell'altare maggiore. E' rettore don Berardino Mario. Ha alcune proprietà e beni. Nel 1577 risulta situato presso l'altare maggiore sulla parte destra. E' dotato e, come dice il reverendo abbate, è unito al canonicato di don Bernardino ed ha, come relaziona don Bernardino, un reddito di una salma di grano. E' largo e angusto. Nel 1581 è ancora rettore don Bernardino Mario.

Anche l'affresco di Sant'Andrea, come quello di Santa Lucia, venne strappato dalla parete in cui si trovava e spostato sulla parete posteriore, in alto a sinistra, della cappellina di S. Anatolia. Nell'immagine a seguire, a sinistra c'è l'affresco del tutto consunto di S. Andrea a S. Anatolia, mentre a destra c'è una immagine del santo presa da internet, con la croce del martirio.

Confronto tra immagini di S.Andrea


Altri altari

Nel 1561 ci sono ulteriori quattro altari eretti per devozione. Il vescovo Osio non è al corrente della loro intitolazione. In altre visite pastorali si rileva che l'altare di S. Salvatore nel 1570 si trova al lato destro. Viene trasferito al centro della Cappella di San Sebastiano. Il rettore è don Berardino Ciatto. Altri due altari rilevati sono: l'altare della Consacrazione della Chiesa e l'altare di Santa Maria. Altro altare è poi quello della Santissima Pietà ma di cui si parla solo dal 1673.


Altare della Santissima Pietà

Si trovava in fondo alla navata, a destra di chi entra in chiesa. Nel 1673 l'altare della Santissima Pietà è di proprietà della famiglia di Fabio Domizi. C'è una confraternita con il suo nome, nominata con privilegio, che possiede diversi beni donati dal defunto Fabio Domizi con una rendita annua di ducati 10 e con l'onere della celebrazione di una messa ogni settimana il giorno di mercoledì. Nel 1686 l'altare ha diversi beni donati dal defunto Fabio Domizi e sua moglie per una rendita annua di 10 ducati e con l'onere di una messa alla settimana da celebrare il giorno di mercoledì. Nel 1712 risulta ben provvisto e decorato. «Tuttavia viene interdetto fino a quando non vengano rimosse le sepolture esistenti in entrambi i lati dell'altare». Ferretti nel 1828 così lo descrive: «In fondo alla navata a destra di chi entra in chiesa, vi è una cappella con altare dedicato alla S.ma Pietà. E' umilissima, recinta da una balaustra di legno; e vi sono due sepolture. Il quadro rappresenta Gesù già deposto dalla Croce. Aveva quest'altare un monte frumentario, che a tempo di Mons. Camanda ascendeva a 80 salme di grano. Ora è dissipato. Possiede però alcuni beni stabili; e deve far celebrare una messa in ogni mercoledì pel G. Fabio Di Domenico. Queste messe si celebrano dall'abate per due porzioni, per la terza porzione da' canonici». Anche nel 1712 c'era un obbligo di una messa ogni mercoledì all'altare della Pietà: «La compagnia della Pietà p. legato di Fabio Di Domizio fà celebrare ogni mercoledì una messa, e due messe l'anno. P. legato di d. Antonio Placidi il sanc.mo messe quattro l'anno il medesimo ed una messa per l'anno di Francesco Gentile ed i priori ne passano il loro [...] bilanci».

Anche l'affresco descritto dal vescovo Ferretti, che rappresentava «Gesù già deposto dalla Croce», venne distaccato e ricollocato nel muro esterno della Cappellina di S.Anatolia in alto a destra ove si trova tutt'ora. L'affresco potrebbe essere stato realizzato dalla stessa mano che ha dipinto l'affresco di San Rocco di cui si parlerà in seguito. Non avendo altri dati si ipotizza quindi che possa risalire al sec. XV° o XVI°.


Altri dipinti

Sulla parete esterna della cappella di S. Anatolia sono posti altri due affreschi quasi completamente dissolti. Uno si trova sotto a quello di S. Andrea, e vi si intravede la sagoma di un vescovo mitrato. L'altro si trova al centro della parete, a destra di quest'ultimo, e perpendicolare all'affresco principale di Anatolia. Si trovavava sotto uno strato di intonaco ed è stato riscoperto nel 2004. L'affresco rappresenta un'altra santa. Purtroppo di questa raffigurazione non rimane che una parte dei capelli biondi, dell'aureola e della spalla sinistra e uno spezzone della cornice. L'affresco ci fornisce però un indizio, una data 1460 di cui non sappiamo il numero finale (vedi sopra).

Edicola votiva di S.Anatolia - Residuo di affresco recentemente scoperto a fianco dell'affresco di Sant'Anatolia - in alto nell'affresco è riportata la data 1460 - Fotografia di Roberto Tupone - 2004 Alle spalle dell'edicola votiva di S.Anatolia: Affresco raffigurante un monaco benedettino o un vescovo - sec. XIII° ca. - Fotografia di Roberto Tupone - Estate 2002

Affreschi sulla parete posteriore della cappellina
A sinistra: residuo di affresco di una santa con data 1460 impressa sulla cornice. A destra: abate mitrato.

Madonna del Latte

Sempre all'interno della cappellina di S.Anatolia, oltre alle altre decorazioni meno importanti, vi è il l'affresco raffigurante la "Madonna del Latte". Fu scoperto nel 2004 sotto il contro-soffitto della cappella. Il contro-soffitto era a forma di volta e non sembrava potesse essere vuoto all'interno e soprattutto nessuno avrebbe potuto immaginare che potesse nascondere una tesoro così bello.

In effetti la scoperta è avvenuta del tutto casualmente. Il giorno della scoperta mi trovavo sul posto quando chiesi all'archeologo che stava lavorando sulla cappellina, di provare a togliere l'intonaco alla volta per vedere se sotto vi era l'affresco del "Redentore" descritto dal Ferretti nel 1828 (vedere paragrafo: "Altare o Cappella di S.Anatolia").

Il caso volle che, provando a togliere l'intonaco, l'archeologo per errore fece un foro alla volta e scoprì in quel modo che tra essa e il soffitto c'era del vuoto. A quel punto l'archeologo incuriosito guardò con una lampada attraverso la fessura e intravide dei colori. A quel punto decise di allargare la fessura e venne alla luce l'affresco della Madonna del Latte.

A proposito della Cappella di S.Anatolia nel 1897 il Vescovo Quintarelli la descriveva così: «A circa 6 metri dall'ingresso, a destra di chi entra, v'è nella navata centrale un'edicola o tempietto isolato; a largo e lungo poco oltre 3 metri, ed alto 2 1/2; è coperto a volta: nel lato che guarda il presbiterio v'è il muro, al quale è addossato un'altarino, negli altri tre lati una cancellata di ferro battuto; ai quattro angoli quattro colonnette in materiale simetriche, che sostengono la piccola volta. Nell'altarino un antico affresco rappresentante S. Anatolia, difeso da cristallo in cornice di legno. Nella volticella le immagini pure a fresco, in seguito ritoccate anzi deturpate, della SS. Vergine a perpendicolo della mensa, e dei quattro evangelisti verso gli angoli. Questa edicola vanta una relativa antichità, ed è tenuta dai terrazzani e forastieri in molta venerazione». Venne quindi nominato un affresco della SS.Vergine posto nella volticella a perpendicolo della mensa. E' possibile quindi che nel 1897 l'affresco della madonna del latte fosse ancora visibile.

Per inquadrare la datazione dell'affresco della Madonna del Latte abbiamo individuato i seguenti tre affreschi nelle zone di Ancona (Marche), L'Aquila (Abruzzo) e Foligno (Umbria). Il primo è stato dipinto da autore ignoto e datato dagli storici alla seconda metà del secolo XV. Si trova nella Provincia di Ancona presso la chiesa di Santa Maria in Portuno. Per il secondo viene suggerito l'autore in Andrea de Litio, nato a Lecce nei Marsi nel 1410/1420, morto ad Atri o Chieti circa nel 1488. La datazione è sempre il XV secolo. Si trova a L'Aquila, nella Chiesa di Sant'Amico.Il terzo è stato dipinto da discepoli della scuola Mesastris e datato al sec. XV. Quest'ultimo affresco si trova a Foligno nell'Hotel Italia. Rispetto ai tanti dipinti della Madonna del Latte che si trovano nelle chiese italiane, abbiamo preso in considerazione solamente questi tre affreschi, scegliendoli tra quelli che più ci sembravano somiglianti al nostro. Abbiamo rilevato infatti le seguenti similitudini:

  • In tutti e tre i dipinti, il colore di sfondo è rosso e nella parte superiore vi è la tenda con i tre angoli a raggiera.
  • Nel primo e nel terzo dipinto il bambin Gesù è quasi identico al nostro e con il vestito color arancione.
  • Nel secondo e nel terzo dipinto la madonna è avvolta da un mantello di colore azzurro.
  • Nel primo e nel terzo dipinto la madonna ha un vestito di colore rosso.
  • Nel terzo dipinto il bambino è raffigurato con un nastrino bianco in mano.

C'è un'unica differenza evidente tra i tre affreschi presi in considerazione e quello di S.Anatolia, cioè la postura della Madonna. Nei primi tre la Madonna è seduta sopra una panca di legno, mentre nel nostro la figura è in piedi. Questa differenza è dovuta probabilmente all'area dove fu dipinto l'affresco.

Madonna del Latte sec. XV
Da sinistra: Chiesa di Santa Maria in Portuno (Prov. di Ancona) - Chiesa di Sant'Amico (L'Aquila) - Hotel Italia (Foligno)

A Sant'Anatolia il pittore avrebbe dovuto dipingere su uno spazio rettangolare lungo in altezza e stretto ai lati. In questa situazione egli avrebbe avuto difficoltà a dipingere la Madonna seduta in quanto avrebbe avuto bisogno di più spazio ai lati. Era più naturale dipingerla in piedi, come venne fatto d'altra parte anche per l'immagine di Anatolia posta sottostante e anch'essa dipinta in piedi.

A questo punto, essendo tutti e tre gli affreschi datati al secolo XV non abbiamo altra alternativa che datare allo stesso secolo anche l'affresco della Madonna del Latte situato nella Cappellina di S.Anatolia. L'autore è ignoto ma, volendo azzardare un'ipotesi, potrebbe essere lo stesso Andrea de Litio, autore del secondo affresco preso in considerazione, essendo egli nativo della Marsica ed operando soprattutto nell'aquilano.

San Biagio e Sant'Antonio Abate.

In fondo alla chiesa, nella sacrestia, vi è un affresco raffigurante San Biagio e S. Antonio abate con una scritta in basso oggi indecifrabile. Nel 1828 Ferretti lo descrisse così: "Nella parete a cornu epistole si vede dipinto un Santo Vescovo, e S. Antonio Abate; sotto le quali figure leggesi: Le redi de Marchittu lasciò ducati dui per lascite de lu patre es".

S. Biagio e S. Antonio e scritta nella parte inferiore

Questo affresco è probabilmente il più antico della chiesa e ci riporta a due considerazioni:

  1. Sant'Antonio abate è colui che dalla Chiesa Cattolica viene considerato il fondatore del monachesimo quindi, escludendo i riferimenti riportati nei documenti, esso potrebbe rappresentare l'unico indizio fisico e reale della presenza del monastero.
  2. San Biagio di Sebaste, nella lingua paesana Santu Biasu, è stato un Santo molto importante nel nostro territorio. Infatti, a circa un chilometro da Sant'Anatolia, posto sopra un'altura di fronte a Marano, a circa metà strada andando, attraverso i colli, verso Rosciolo, vi era una «villa» denominata Poggio Santo Biagio, nei documenti Podium Sancti Blasii. Rientrava nel territorio dell'antico castello di Carce che faceva capo alle cosiddette «ville» di Magliano, Rosciolo, Sant'Anatolia, Poggio San Biagio e Cartore. Sul poggio vi era una chiesa intitolata al Santo, di cui oggi restano solo dei ruderi. L'individuazione del Santo, nell'affresco in Sacrestia, ci offre la possibilità di recuperare un'identità storica quasi del tutto perduta (29).

San Rocco e Sant'Antonio.

Sempre in fondo alla chiesa sulla destra, perpendicolarmente alla parete di cui sopra, vi è un altro affresco. In esso è raffigurato sulla destra San Rocco, e ciò si deduce sia la cane che si intravede ai suoi piedi, che dalle vesti e dal bastone. A sinistra si intravede un uomo vestito da frate. A partire dal basso si vede parte della gamba, il gomito e una palma. La figura potrebbe essere quella di S.Antonio da Padova. San Rocco, vissuto tra il 1348 e il 1379, venne invocato santo nel 1414 ma fu canonizzato ufficialmente nel 1584. Questo affresco si potrebbe quindi collocare tra il XV° e il XVI° secolo.

 

Sant'Antonio e San Rocco con ricostruzione delle due figure

Paradiso, inferno e purgatorio.

Nel 1828, nella parete di sinistra (a cornu Evangelii) vi era un affresco ora inesistente che rappresentava il Paradiso, l'Inferno e il Purgatorio. Attualmente la parte riguardante il Paradiso si trova nella parete della navata centrale, molto in alto e al di sopra dell'ingresso centrale della chiesa. Non si capisce come questo affresco possa trovarsi in un punto così diverso da quello descritto da Monsignor Ferretti. La prima ipotesi è che il Ferretti intendesse dire che il quadro si trovasse nella parete opposta all'Altare Maggiore. Se fosse valida questa ipotesi, la parte raffigurante il Purgatorio e l'Inferno si troverebbe oggi sotto l'intonaco al di sotto dell'affresco del Paradiso dove attualmente vi è un muro molto grande intonacato. Altra ipotesi è che esso sia stato distaccato dalla parete di sinistra e riposto dov'è ora, oppure ancora che esso sia stato copiato da qualche pittore dopo la ricostruzione. La parte raffigurante il Purgatorio e l'Inferno non è più visibile.

Il Paradiso

Il Ferretti lo descrive così:

«A cornu Evangelii è rappresentato il Paradiso, il Purgatorio e l'Inferno. Nell'alto è il Paradiso, nel quale vedesi Gesù nostro signore cinto da vergini, angeli, arcangeli alcuni dei quali nuotanti fra le nuvole suonano cetre, timpani. Il Purgatorio è a sinistra. E' diviso come in due piani. Nel più basso vedesi un grande stagno, ove stanno immerse le anime purganti, alcune delle quali co' piedi in sù. Nel più alto scorgesi come un forte cinto di mura, dalle quali sono accerchiate alcune anime di cui due sono già uscite, e vi sono incamminate verso il Paradiso, avendo a tergo un angelo, che è in atto di pregare con una palma. Mirasi la porta del Purgatorio in mezzo ad un'alta torre; ed innanzi ad essa un sacerdote colle chiavi in atto di aprirla; e presso al sacerdote una turba di fedeli, che genuflessi stanno pregando. A destra è l'Inferno diviso parimente in due piani. Nel piano inferiore vedesi il principe de' demoni Satanasso, che a destra, e a sinistra ha i capitani de' peccati capitali. A destra Rubiconte capit. dell'accidia, Farfarelli cap. dell'invidia, Anciacciu cap. della lussuria; a sinistra Boccarotta capit. de' lira, Gammarotta cap. del usuria; Calcabricu capit. della gola. Nella parte inferiore mirasi molti dannati tormentati in varie guise. Sulla porta leggesi: "Lassate onne speranza o voi che intrate", e più sotto "Ecco il vecchiu Caronte, intu alla riva". Vicino alla porta dell'inferno la barca di Caronte. Fra l'inferno e il Purgatorio l'arcangelo S. Michele, che co' piedi calpesta il drago infernale; e colla destra regge una bilancia, in cui pesa le anime. A lui dappresso vedesi una persona sospesa in aria, che afferra l'anima posta nel disco più vicino all'inferno».

Affresco di Sant'Anatolia

L'affresco che principalmente viene venerato nel paese di Sant'Anatolia è posto centralmente e in primo piano all'interno della Cappellina. In esso è raffigurata la vergine Anatolia che nella mano sinistra regge la Palma del martirio, nell'altra la Sacra Bibbia. La figura è intera. Fino al 2004 la parte sottostante era nascosta dalla tovaglia di un altare posto al centro dell'affresco.

La parte superiore, cioè il busto, era invece incorniciata con un riquadro di legno e coperta da un vetro. In testa, fissata sul vetro, era stata posta una corona dorata. Con i restauri del 2004 l'affresco è stato riportato all'originale. Una scritta in caratteri gotici rende incontrovertibile l'identità della santa ivi raffigurata: ANATOLIA. L'epoca in cui fu creata quest'opera non è facilmente definibile. La maggior parte delle persone la reputa "antichissima". Nessuno storico, tra quelli fin'ora consultati, ha dato una datazione certa. I pochi che hanno inquadrato storicamente l'affresco, chi al XIII° chi al XIV° secolo, lo hanno fatto per approssimazione ma senza darne giustificazione documentata.

Non avendo trovato un affresco che possa essere comparato con quello di S.Anatolia, abbiamo ipotizzato che esso sia coevo e dipinto dalla stessa mano che dipinse il quadro a lui soprastante, quello della Madonna del Latte. Guardando attentamente i tratti del viso e della cornice dei due affreschi e la cornice dello spezzone di affresco a perpendicolo (visibile dal retro della cappellina), sembra illogico pensare che essi siano stati dipinti da autori diversi.

Se coevi quindi al quadro della Madonna del Latte, anche l'affresco di Anatolia e quello retrostante dovrebbero essere inquadrati storicamente al secolo XV°. Se poi si guarda allo spezzone di affresco visibile dal retro con incisa la data 1460(9), è difficile non credere che essa sia stata impressa dall'autore stesso. Concludendo, è molto probabile che i tre affreschi siano stati creati contemporaneamente, nel decennio 1460/1469 e che l'autore possa essere Andrea de Litio vissuto tra il 1410 ed il 1488, e nativo della Marsica, lo stesso territorio di cui fino agli inizi del 1800 faceva parte anche il villaggio di S.Anatolia.

5. La cappellina di S.Anatolia

Nel primo paragrafo ho riportato tutti i documenti che fino ad oggi sono riuscito a raccogliere riguardanti la chiesa ed il monastero di S.Anatolia. Nel secondo ho riportato le epigrafi romane che circa un secolo or sono erano collocate al suo interno. Nel terzo paragrafo ho riportato tutte le date che attualmente vi si trovano impresse. Nel quarto ho analizzato la struttura della chiesa nel periodo tra il 1700 ed il 1870, cioè prima della ricostruzione, scomponendola nelle varie cappelline o altari ivi presenti, e infine, nel quinto paragrafo, ho analizzato tutti gli affreschi precedenti alla ricostruzione avvenuta nel decennio 1870/1880 cercando ove possibile di dar loro un inquadramento storico.

Ora, dopo aver scomposto e analizzato il santuario da tutti i punti di vista che ad oggi sono riuscito ad individuare, in questo paragrafo mi pongo un ulteriore arduo traguardo: tentare di individuare i modi e i tempi delle varie ricostruzioni della chiesa/monastero e in particolare della Cappellina di Sant'Anatolia basandomi su tutto il materiale di cui ho parlato nei paragrafi precedenti, sulle poche notizia tramandateci oralmente e su ulteriori indizi architettonici.

Secondo la tradizione la cappellina di S.Anatolia un tempo si trovava isolata e all'aperto. Poi venne incorporata alla chiesa costruitagli attorno.

Adiacente alla chiesa o alla cappellina vi fu costruito un antico monastero benedettino ora inesistente. Nel 1712 il parroco Giovanni Antonini di Torano relazionava al Vescovo Guinigi che «detta chiesa ave bisogno di qualche riparazione et il popolo al quale spetta sta in procinto di ripararlo». 15 anni dopo i lavori di restauro venivano completati e nella cornice superiore della cappellina veniva incisa la data di questo evento "Extaurata 1727".

Esattamente un secolo e mezzo dopo la chiesa era di nuovo in decadenza. Nel 1874 il vescovo Mauri scriveva: «Coll'andar del tempo questa chiesa era quasi ruinata. Da qualche anno si è incominciata a restaurare colle elemosine dei fedeli. Ma non sono ancora ultimati i restauri».

Tra il 1870 ed il 1874 quindi iniziarono i lavori di restauro che poi si trasformarono in una vera e propria riedificazione. Della chiesa antica, già molto capiente, il vescovo Quintarelli nel 1898 ricorda che vennero mantenute solamente le pareti laterali. Nella Cappellina di S.Anatolia non vennero fatte grandi modifiche. Vennero solamente riaffrescate le pareti laterali, la cornice superiore e la volta con decorazioni di fantasia.

Dopo di allora non risultano essere state eseguite altre modifiche consistenti, tranne il rifacimento completo del pavimento avvenuto circa 30 anni or sono e altri lavori meno evidenti. Riguardo al terremoto del 1915 non sappiamo se la chiesa riportò gravi danni alla struttura. A quanto mi risulta, a differenza della chiesa parrocchiale di S.Nicola alla quale cadde il tetto, la chiesa di S.Anatolia non ebbe danni consistenti.

Nel 2004 durante i lavori di restauro della cappellina, oltre alla scoperta della scritta che ricorda la restaurazione del 1727, sono emersi due nuovi elementi che mi hanno fornito nuovi indizi riguardo all'indagine che mi sono riproposto di fare. Sia la prima che la seconda scoperta è stata fatta casualmente e davanti ai miei occhi.

Dal primo elemento, cioè l'affresco della Madonna del Latte che si trovava nascosta al di sopra della volticella della Cappellina, emergono due informazioni:

  1. Attraverso la compara-zione dell'affresco con altri affreschi raffiguranti la Madonna del Latte, si è potuto ipotizzare sia il periodo in cui venne dipinto l'affresco, cioè il XV secolo che l'autore Andrea de Litio.
  2. Tramite la posizione arcata dell'affresco, arco che punta molto più in alto rispetto alla volticella dell'attuale cappellina, si è dedotto che l'affresco venne dipinto sulla parete interna di un arcata e che quest'ultima era la parte residua di un edificio più antico.

Il secondo elemento è l'affresco scoperto alle spalle di quello di S.Anatolia, dietro al muro della cappellina. Per puro caso, in mia presenza, la persona che si occupava del restauro, stava facendo cadere le parti dell'intonaco già in fase di disgregamento e, nel toglierle, fece emergere un altro affresco di una santa.

Nonostante sia tronco di almeno due terzi rispetto all'originale, da questo affresco sono emerse altre due importanti informazioni:

  1. La prima informazione non ha bisogno di commenti poiché è semplicemente una data impressa sulla cornice: 146 ovvero 1460 o 1469. L'ultimo numero non è visibile. La data presumibilmente è stata scritta direttamente dall'autore dei tre affreschi ed è la conferma della datazione dell'affresco della Madonna del Latte che nella precedente comparazione avevamo individuato nel XV° secolo.
  2. La seconda informazione ci viene dalla sua dimensione e dalla posizione perpendicolare rispetto all'affresco di S.Anatolia. Poiché l'affresco è ridotto della metà in larghezza rispetto all'originale, si capisce che, quando esso era intero, anche il muro su cui era dipinto era spesso il doppio rispetto all'attuale. La posizione perpendicolare rispetto all'affresco di S.Anatolia, ci conferma infine che i due affreschi furono dipinti sui due lati su una colonna.

Madonna del Latte - Santa con data 1460 - S.Anatolia

Concludendo, da tutti gli elementi emersi, si deduce con chiarezza che, tra il 1460 e il 1469 i tre affreschi furono dipinti su di una colonna ad arco di un edificio preesistente. Nelle 3 figure sottostanti abbiamo ipotizzato le fasi che hanno portato la cappellina allo stato attuale.

6. La statua di gesso

Lacrima di S. Anatolia

Nel 2012, la presunta lacrimazione della grande statua di gesso raffigurante la martire Anatolia, posta sull'altare principale del Santuario, avvenuta durante la cerimonia di un matrimonio tra persone non residenti nel paese, ha suscitato un grande clamore. Per alcuni mesi alcune importanti testate giornalistiche del capoluogo reatino, alcune televisioni locali e in alcuni casi anche la TV nazionale, hanno raccontato di questo evento (30). Ma pochi sanno la storia di questa Statua e chi ne è l'autore. I più attenti conoscono il nome dello scultore poichè esso è impresso alla base della statua: «FECIT A. SAFF 1894».

Iscrizione ai piedi della statua di S. Anatolia

Ma chi era questo Saff, da dove veniva e cosa ci faceva a Sant'Anatolia ? In questo paragrafo cercherò di rispondere a queste domande basandomi sulle scarse informazioni iniziali e su un unico documento in cui sono incappato nell'archivio parrocchiale, premettendo che questa è una ricerca che lascia molto spazio ad un futuro approfondimento.

La prima volta che lessi il nome SAFF fu nel 1979 quando acquistai il libro di Vincenzo Saletta «S.Anatolia». Egli scriveva:

«Una grande statua in gesso della Santa trovasi sull'altare maggiore del medesimo tempio. La statua, opera dello scultore ungherese Carlo Alberto Saff, misura mt. 2,50 di altezza ed è stata realizzata per iniziativa della famiglia Placidi, di cui questi era ospite (nota: la casa della famiglia Placidi è attigua al tempio), ma a spese del santuario, dove si conservano gli atti di spesa (nota: la nota spese, redatta dal parroco del tempo, trovasi presso l'archivio della parrocchia di S.Nicola nel comune di S.Anatolia)» (31).

Alcuni anni dopo seppi da un vecchio del paese che a casa dei signori Placidi vi era una quadro, raffigurante il nostro paese, dipinto dallo stesso artista che aveva scolpito la statua (32). Nel 2002 mi decisi a chiedere al sig. Antonio Placidi se questa informazione era vera e lui gentilmente mi invitò nella sua casa, dove vidi il quadro dello SAFF che, con mio grande piacere, si rivelò essere una fotografia e non un quadro, una delle poche fotografie che raffigurano il paese di Sant'Anatolia prima del terremoto del 1915.

Quel giorno io ero euforico e Antonio Placidi molto paziente. Dapprima fotografai la cornice ed il retro, poi non contento, tolsi i chiodi che univano la cornice in legno al vetro, presi con delicatezza la foto e la fotografai sia sul davanti che sul retro.

Sul foglio di cartone, posto sul retro del quadro a protezione della fotografia, è scritto: «Panorama di S. Anatolia, prima del terremoto del 13-1-1915. Fotografia di Albert Schaff, scultore, di Brno in Czeco-Slovacchia. Nel 1914». Sul retro della fotografia: «Ricordo di Sant'Anatolia 1894 - SAFF - Wien, 18/2 - Gericalentralc 144».

Quadro-Fotografia di Sant'Anatolia di Albert Schaff, scultore

A questo punto sappiamo quindi che A. SAFF o CARLO ALBERTO SAFF o ALBERT SCHAFF era di nazionalità UNGHERESE o anche di BRNO in CECOSLOVACCHIA. In quel tempo, prima del 1920, Ungheria e Cecoslovacchia erano un unico stato. Da Wikipedia «L'Enciclopedia libera»:

«Il 4 giugno 1920, l'Ungheria perde più di due terzi del suo territorio mediante il trattato di pace firmato nel Grand Palais de Trianon. 231 448 km quadrati vengono annessi ai paesi circostanti, soprattutto alla Romania, alla Slovacchia e alla Jugoslavia. Milioni di persone di identità ungherese restano all'interno degli stati eredi in qualità di minoranza».

Facendo una ricerca su internet con le informazioni fin'ora apprese non si riusciva ancora a scoprire nulla. Chi era questo SAFF ? Parecchi anni fa chiesi al parroco di S.Anatolia di poter fare delle ricerche nell'archivio della parrocchia di S.Nicola. Ero interessato alla genealogia della mia famiglia. In seguito, volendo fare un lavoro più ampio, in accordo con il parroco, prelevai l'intero archivio, un registro alla volta, che fotocopiai e riconsegnai. A casa ho quindi le fotocopie dei registri degli stati di famiglia, battesimi, matrimoni e morti dal 1820 al 1930 ed è da quegli atti, ma non solo, che ho ricavato i dati grazie ai quali oggi sono in grado di spedire alberi genealogici a tutti coloro che sono originari di Sant'Anatolia.

Atto di nascita di Benedetto Alberto Saff

Nel Registro degli Atti di Battesimo della Parrocchia di San Nicola in Sant'Anatolia - 1871-1895 - si rileva la seguente informazione:

«N.614 Benedetto Alberto Saff (Sciaf) Boemo | Nell'anno del Signore mille ottocento novanta cinque, il giorno dieciotto del mese di giugno, io sottoscritto Parroco di Sant'Anatolia ho battezzato il bambino nato il giorno dieci dello stesso mese dai coniugi Adalberto Eduardo Saff, figlio di Adalberto di Policka e Maria Haiele di Boemia, e Friderica, figlia di Martino Schott e Genoveffa Martres di Heidelberg, al quale è stato imposto il nome di Benedetto Alberto. Padrino fu Benes (Benedetto) Knupfer (Knipfer) anch'egli Boemo. In fede io Giovanni Battista Panei, Abbate Parroco».

Finalmente cominciarono ad affiorare dettagli più precisi, nomi e cognomi, una famiglia, un bambino, un padrino.

Con gli ulteriori dati acquisiti feci una nuova una ricerca su internet e, per farla breve, dopo molteplici tentativi ecco finalmente una prima biografia e una sua immagine in bronzo su pietra:

«Adalberto Eduardo Saff, conosciuto nella Repubblica Ceca come Vojtěch Eduard Šaff (alias Adalbert Eduard Šaff - Vojtěch Ed. Šaff - Adalbert Eduard Schaff - Vojtěch Eduard Schaff), fu scultore e modellatore ceco. Nacque a Policka il 17.06.1865 e morì a Brno il 26.12.1923 in Boemia, oggi Repubblica Ceca. E' noto per essere autore di una serie di statue allegoriche, monumenti e sculture di importanti politici e scrittori. Ha frequentato la Scuola di Arti Applicate di Vienna e ha studiato presso l'Accademia di Vienna (Prof. E . K. Hellmer e Kudmann). Per la maggior parte della sua vita ha vissuto e lavorato a Vienna e Brno, dove ha creato la maggior parte delle sue opere. A vissuto in Italia tra il 1893 e il 1895 soprattutto a Roma. Ha frequentato lo studio di Auguste Rodin a Parigi».

Nel frattempo, mentre tentavo di trovare SAFF, provai a digitare il nome del padrino di suo figlio, BENES. Una quantità incredibile di pitture stupende sono apparse davanti ai miei occhi stupefatti.

Leggendo su internet, sembra che egli sia stato un pittore importante e famoso. Nacque a Frýdštejn in Boemia nel 1848 e, curiosamente, morì in Italia, nei pressi di Ancona, nel 1910. Enciclop. Treccani: «Knüpfer Beneš. Pittore (Sychrov, Boemia, 1848 - presso Ancona 1910). Allievo di Piloty a Monaco, fu in Italia (1879); dipinse esclusivamente marine, popolate di figure mitologiche».

Ulteriori ricerche effettuate negli anni successivi hanno svelato che Benedetto Alberto Šaff, nato casualmente a Sant'Anatolia il 10 giugno del 1895, morì all'età di vent'anni, nella I guerra mondiale, il 15 agosto del 1915, era tenente dell'esercito dell'impero austro-ungherese, assurdamente contrapposto al suo regno di nascita. Dopo la sua morte il padre scolpì un rilievo con la sua immagine. Dal 2016 la biografia di Vojtěch Eduard Šaff si trova anche su Wikipedia (33).

Nelle due foto a sinistra e al centro: Knüpfer Beneš - Nella foto a destra: Adalberto Eduardo Saff

La casa dove nacque Adalberto Eduardo Saff - foto estratta da http://www.vanderkrogt.net

7. Conclusioni

Nel 251 d.C., al tempo dell'imperatore Decio, la giovane Anatolia e il marso Audace, accusati di esser cristiani, vengono uccisi presso la città di Thora. Non ci sono prove certe riguardanti la collocazione esatta del luogo del martirio, cioè della città di Thora, ma la tradizione orale vuole che la Cappellina di S.Anatolia sia il luogo dove inizialmente vennero sepolte le loro spoglie. Altre versioni dicono invece che le spoglie furono sepolte in altri luoghi, in particolare nella chiesa di S.Anatolia nei pressi di Castel di Tora, e da circa tre secoli si protrae un dibattito molto sentito fra assertori dell'una o dell'altra versione. Probabilmente l'unica strada che metterà definitivamente in chiaro la questione sarà lo scavo archeologico che si spera che prima o poi si effettui nei pressi dell'una o dell'altra chiesa (34).

La frazione S.Anatolia ricade nel comune di Borgorose, nel territorio denominato Cicolano. Il nome Cicolano (Aequicolanus) ci ricorda gli antichi abitatori del suo territorio, cioè gli Equicoli. Nel 304 a.C. i romani impiantano la colonia di Alba Fucense, per tenere sotto controllo sia il popolo degli Equi/Equicoli che quello dei Marsi.

Il territorio della nuova città è molto esteso e Roma, per occuparlo, vi invia seimila coloni. Si può intuire che ognuno di loro portasse con se famiglia e schiavi per una stima al ribasso, calcolando cinque persone a colono, di circa trentamila individui. La costituzione della colonia di Alba Fucens cambia la geografia dei luoghi. La città viene fondata nel territorio degli Equicoli al confine con la Marsica ma, dal momento in cui 30.000 coloni vi si insediano, vengono modificati tutti i rapporti sociali preesistenti e le antiche denominazioni. Alba non si trova più quindi nella Marsica o nel Cicolano, ma nel proprio territorio: l'ager Albense. Alba mantiene la sua egemonia per tutta la durata dell'impero e fin nell'alto medioevo, ma quando nei secoli a seguire, dopo la caduta dell'impero, Alba torna ad essere un paese minore, essa si ritrova di nuovo a far parte di qualcosa di più importante di lei e viene considerata a tutti gli effetti parte della Marsica (35).

Il territorio di S.Anatolia, essendo al confine tra Cicolano e Marsica, viene inglobato da Alba Fucense. Fino a circa un secolo fà infatti, in una lapide posta nella chiesa di S.Maria del Colle, tra S.Anatolia e Torano, viene ricordato questo confine: ALBENS FINES. Altre epigrafi si trovano nella stessa chiesa e in quella di S.Anatolia e, aggiunte al muro poligonale posto sotto la chiesa e all'altro detto «ara della turchetta», ci danno la conferma che il luogo è abitato fin dall'epoca romana.

Un documento del 1293 ci fa sapere che la Contea di Alba estende la propria giurisdizione al territorio di Torano e quindi per deduzione anche a quello di S.Anatolia e, nei secoli successivi, continuano tali conferme fino al 1418 quando viene documentata finalmente l'appartenenza del Castello di S.Anatolia alla Contea.

Solamente sul finire dell'800 con l'abolizione dei feudi in epoca Napoleonica si mette fine a questa contea. S.Anatolia con l'unione d'Italia viene a far parte del Comune di Borgocollefegato (poi Borgorose) e ritorna nel territorio Cicolano, mentre Albe (Alba Fucens) diviene frazione di Massa d'Albe e rimane parte del territorio Marsicano (36).

Tornando ad Anatolia e Audace, all'epoca del martirio, nel 251 d.C., Alba era stata fondata da quasi 600 anni e probabilmente, come lo è tutt'ora, il suo territorio era associabile molto più alla marsica che al cicolano. Quindi, tenendo sempre in piedi l'ipotesi che la nostra chiesa coincidesse con il luogo del martirio o della prima sepoltura, una ipotesi alternativa, molto azzardata, potrebbe essere quella per la quale Audace, che era un marso, fosse nativo del territorio di Alba Fucense e che, proprio per questo, nel medioevo su quel territorio veisse impiantata una chiesa in onore di Anatolia sua compagna di martirio. 

Quello che sappiamo di certo è che intorno all'anno 706 l'ecclesia Sanctae Anatholiae de Turano era già stata edificata e che nelle nostre contrade il culto per la martire era già diffuso. L'appellativo «de Turano», che indica che il villaggio di Sant'Anatolia, fa supporre che il paese ancora non esistesse o che aveva perso di importanza e che il territorio, su cui sorgeva la chiesa, dipendesse da Torano, paese che oggi si trova a circa tre chilometri di distanza. Il villaggio di Torano, in molti documenti cartografici antichi e nel dialetto locale, viene chiamato appunto Turano. Nel documento del 706 d.C. si evince che la chiesa era stata donata dal longobardo Foroaldo II duca di Spoleto ai monaci di Farfa e che gli stessi monaci in seguito l'avessero ceduta ad un certo «Soldone» scambiandola con un'altra chiesa di nome «Sancta Maria de Loriano» sita nei pressi di Amiterno. Su questo personaggio «Soldone» e sul perchè decise di fare lo scambio non sappiamo nient'altro, probabilmente l'abbazia di Farfa aveva forti interessi a stanziarsi nel territorio amiternino.

Intorno al 932 le spoglie di Anatolia e Audace vennero dissepolte e trasportate nel monastero di S.Scolastica a Subiaco. Nel 1095 le ceneri vennero spostate all'interno dell'altare maggiore del Sacro Speco sempre a Subiaco. Ora, ovunque fossero le spoglie inizialmente, è certo che in quei 150 anni il culto per la santa venne molto rilanciato. Tutte le chiese dedicate alla santa compresa la nostra acquisirono importanza. E' probabile che in quel periodo i benedettini decisero di impiantare nei pressi della nostra chiesa un monastero, per tenere sotto controllo la chiesa e il suo territorio. Nel V° secolo era già stata istituita la Diocesi di Rieti di cui non sappiamo i confini iniziali, ma di certo nel 1115 il territorio della chiesa di S.Anatolia ne faceva già parte e il confine con la Diocesi Marsicana passava per la «Buccam de Teba» (Bocca di Teva) e per le «Vulpen Mortuam» (Volpi Morte) zone dove ancora oggi passa lo stesso confine. Nel 1143, con la conquista dei Normanni, il nostro territorio passava sotto la giurisdizione del neonato Regno di Sicilia ma questo cambiamento non pregiudicava i confini religiosi tra Diocesi.

Nel 1153 facevano parte della Diocesi di Rieti le Plebem Sancti Laurentii et Sancti Leopardi in Cartoro. Il termine Plebem corrisponde a pieve o parrocchia e ci fa intuire che, avendo più chiese, il villaggio di Cartore in quell'epoca doveva aver acquisito una certa importanza quale punto di passaggio sulla via che da Rieti conduceva ad Alba. Nel 1182 anche il monastero di S.Anatoliae in Vilano rientrava tra nelle competenze della Diocesi di Rieti. Vilano doveva essere il nome del territorio su cui sorgeva la nostra chiesa ma questo termine non riapparirà mai in nessun documento posteriore.

Nel 1048 era già presente dall'altra parte del confine della diocesi, in giurisdizione marsicana, il monasterium S. Mariae in valle Porclanesi e nei suoi paraggi era già stato edificato il castello di Rosciolum (Rosciolo). Il monastero di S.Maria in Valle era retto dai monaci benedettini dell'abbazia di Montecassino. Nel 1113 viene documentata anche l'esistenza del castello di Torano. Nel 1153 appare il nome di Colle Fegati e di Sancti Stephani in Clavano (oggi S.Stefano di Corvaro). Il paese di Corvaro viene documentato fin dal 706 (37). Nel 1182 era già sorto il monastero di S.Anatolia retto certamente da abati benedettini ma non sappiamo esattamente agli ordini di quale abbazia principale i monaci dovessero ubbidire: a Farfa, a Subiaco o a Montecassino? Sembrerebbe che Farfa avendo ceduto la chiesa a tale «Soldone» non ne avesse ormai più giurisdizione.

Nel 1218 troveremo che il monastero di Sanctum Leonardum supra in Cartore si trovava sotto la giurisdizione dei monaci di San Paolo di Roma e veniva considerato appartenente alla Marsica (in marsi). A questo punto potrebbe essere l'abbazia di San Paolo fuori le mura a averne la giurisdizione? (38). Forse un chiarimento lo troviamo tramite Ludovico Antonio Antinori che rileva che «nel 1250 in un registro delle rendite della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta, il Preposto di quella chiesa esiggeva da' preposti, e Rettori delle chiese di S. Lorenzo, di S. Anatolia, di S. Maria di Magliano, e di S. Luca, nei giorni festivi di quei Santi, pranzi in quelle chiese a sè, e a' suoi Chierici». Quindi le chiese di S. Anatolia e di S. Lorenzo in Cartore erano passate sotto la giurisdizione di S. Maria in Valle Porclaneta, che a sua volta era di pertinenza dell'abbazia di Montecassino, e questo è confermato da un documento del 1252 dove risulta convalidata tale dipendenza. Nello stesso documento risulta però che la chiesa di S. Anatolia era in parte sotto l'influenza dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, ubicata nel Cicolano, e forse, quando nel documento venne scritto «mediam procurationem», si intendeva che dipendeva da S. Salvatore solamente la parte relativa ai resti dell'antico monastero («S. Anatholia mediam procurationem, respondet monasterio S. Salvatoris in quibusdam») (39).

Certamente, la sudditanza alla chiesa di S. Maria in Valle, era segno che la nostra e quella di Cartore in quel periodo non dovessero godere di una grande importanza, ma il fatto che i monaci "pretendessero quei pranzi" era segno di una certa critica da parte dei nostri in quanto, se c'era stato bisogno di una richiesta scritta, significava che i nostri non la soddisfacevano senza ribellarsi (40).

Solamente 18 anni dopo, nel 1268, avvenne la famosa battaglia di Tagliacozzo tra Carlo d'Angiò e Corradino di Svevia che pose fine alla dinastia Sveva. Durante la battaglia la contea di Alba si era schierata a favore di Corradino e, dopo la sua sconfitta, essa dovette subire l'ira vendicativa di Carlo. Molti storici concordano che in seguito alla vittoria, Carlo fece saccheggiare Alba Fucense e distruggere i Monasteri di Petracquaria e di S.Maria in Valle Porclaneta. In quei secoli la contesa tra il potere del papa e quello dei monaci era stata molto forte. La stessa abbazia di Farfa, nelle dispute tra papato e impero, preferiva schierarsi con l'impero, tanto da essere considerata «abbazia imperiale». Carlo quindi, chiamato dal papa a fermare gli Svevi, durante il saccheggio dovette avere una certa cura nel distinguere tra edifici dei monaci e luoghi di culto.

Le tradizioni orali del nostro paese ricordano che dopo quella battaglia venne distrutta la «Città di Tora», intendendosi per Tora la zona di S.Anatolia, di Torano e di Cartore. E' possibile quindi che anche i monasteri di S.Anatolia e di S.Leonardo in Cartore venissero messi a ferro e fuoco mentre, come avvenne anche per S.Maria in Valle Porclaneta, Carlo risparmiò le chiese. E' probabile che, se anche la chiesa di S.Anatolia fosse stata precedentemente di pertinenza dell'abbazia di Montecassino, dopo il 1268 e la disfatta degli Svevi, tutti i confini vennero ridefiniti (41). Nei 130 anni a seguire, nei documenti non vi è traccia della chiesa di S.Anatolia.

Nel 1337 il notaio Barnabas Pascalis scrisse in una pergamena l'Inventario dei beni del castello di Turano e, tra le sue terre, ne cita una al confine con Sant'Anatolia e questo significa che Sant'Anatolia esisteva. Nel 1349 un forte terremoto colpì duramente l'aquilano e anche la nostra zona nè dovette risentire.

Nel 1394 re Ladislao chiese a molte terre e castelli del regno di non rompere la tregua e di rimanere a lui fedeli e, tra le terre che aderirono, vi furono anche Magliano, Rosciolo e Sant'Anatolia (42).

Nel 1418 la Regina Giovanna II d'Angiò, per ingraziarsi il papa Martino V°, nominava suo fratello Lorenzo Colonna Conte di Alba e, in quel documento d'investitura, viene finalmente documentato anche il Castris S.Anatolia quale parte del Comitatum Albae (43).

Finalmente il territorio di S.Anatolia era divenuto, non più parte di un qualcosa di più importante, ma borgo a se stante, munito di porte e castello e fu in questo periodo che esso ebbe un nuovo impulso. La popolazione era sicuramente aumentata e si era spostata sul colle in posizione maggiormente difendibile.

Per soddisfare il crescente numero di abitanti e relativi animali d'allevamento, venne costruito il grande fontanile in pietra nella valle Cantu Riu, che è stato dai più datato al secolo quindicesimo, ma del quale è forte il dubbio che sia d'epoca romana. Il villaggio di Cartore, che nell'alto medioevo sembra avesse influenza maggiore data la quantità di chiese e monasteri, stava lentamente perdendo d'importanta, assorbito nel territorio di S.Anatolia.

Nel 1461 Ferdinando I° d'Aragona investì Roberto e Napoleone Orsini della Contea di Alba e Tagliacozzo e si deve probabilmente a questi il restauro della chiesa, forse intaccata dal terremoto di cinque anni prima (44). Fu infatti nel decennio 1460-1469 che venne assunto un pittore, forse Andrea de Litio nativo di Lecce nei Marsi, per dipingere le colonne e le volte dell'antica chiesa. Fu lui a dipingere l'affresco di S.Anatolia, quello della Madonna del Latte e altri affreschi in seguito perduti.

Dopo una lunga lotta tra le famiglie Orsini e Colonna, nel 1497 la Contea di Alba divenne definitivamente possesso di questi ultimi. Pochi anni anni dopo, nel 1502 e nel 1506 la zona dell'aquilano venne di nuovo colpita da due forti scosse di terremoto.

Sappiamo che molti danni vennero fatti nella zona di Avezzano e possiamo intuire che anche nella nostra zona i danni si fecero sentire. Probabilmente è a quei terremoti che dobbiamo attribuire la quasi definitiva distruzione dell'antica chiesa di S.Anatolia già divenuta instabile per i terremoti precedenti. E' molto probabile che dopo quegli eventi sui resti della vecchia chiesa venne edificata la cappellina di S.Anatolia. L'arcata era crollata ma miracolosamente la colonna con l'immagine di Anatolia era rimasta intatta. I paesani decisero di salvare l'affresco costruendogli un'edicola quadrata attorno con materiali recuperati dalla chiesa. Ai lati della colonna e dell'arco residuo venne quindi costruito un muro e, per sostenere il tetto, vennero poste agli angoli quattro piccole colonne. Appoggiata colonne venne posta una piccola volta a botte quadrata, ma essendo la volta più bassa rispetto all'arco precedente, arco affrescato con la «Madonna del Latte», venne deciso di lasciare quest'ultimo sotto la volta.

Forse i fedeli ritenevano questo affresco poco decoroso a causa del seno in mostra della Madonna e non si fecero scrupoli nel farlo sparire. Per rendere più gradevole la parte posteriore della Cappellina, venne ridotto della metà lo spessore dell'antica colonna, troppo grande e sproporzionato rispetto al resto. All'interno della cappellina, il muro appena costruito, venne affrescato con due Angeli e quattro putti rivolti in preghiera verso Anatolia e sulla volta venne dipinto «il Redentore». Infine, ai quattro angoli esterni sopra le colonnine, vennero dipinti «i Quattro Evangelisti». Per un breve periodo la cappellina si trovò isolata e all'aperto e questo ricordo rimase impresso nelle tradizioni orali. Non passarono molti anni prima che i fedeli decidessero di ricostruire la chiesa attorno alla cappellina. La fama di Anatolia rendeva necessaria la costruzione di una chiesa in grado di accogliere i tanti pellegrini che accorrevano a visitare l'immagine ivi venerata. La nuova chiesa venne edificata utilizzando alcune pareti ancora in piedi del vecchio monastero e il 28 aprile di un anno incerto la chiesa venne consacrata.

Nel 1561, ad appena sessant'anni dal terremoto, la chiesa era stata ricostruita ed era detta «abbazia ed era amministrata da un rettore e tre canonici». In quell'anno il vescovo Osio fece la visita pastorale alla chiesa. L'altare maggiore, intitolato a S. Anatolia, era un po' trascurato soprattutto nelle suppellettili. Vi era la cappellina con l'affresco di Anatolia. Il secondo altare era intitolato a San Sebastiano ed era retto da don Novello. Vi era una confraternita intitolata a San Sebastiano che raccoglieva le offerte per la celebrazione di messe e per la cura dell'altare. Il terzo altare era dedicato a Santa Maria ed il rettore era don Giovanni Angelo. All'altare erano intestati alcuni appezzamenti di terreno che servivano per mantenerlo. Il quarto altare era dedicato alla Beata Maria Vergine e vi era eretta una cappella. Di esso era rettore don Novello e raramente vi si celebrava. Il quinto altare era dedicato a Santa Lucia. Vi era eretta una cappella di cui era rettore l'abbate Vincenzo Innocenzi. Raramente vi si celebrava. Aveva alcuni beni. Il sesto altare era intitolato a S. Maria di Loreto e in esso in quell'anno venne stato traslato quello di S. Lucia. Il settimo altare era intitolato a Sant'Andrea e vi era una cappella di cui era rettore don Giovanni Bartolomitti. Raramente vi si celebrava. Possedeva alcune proprietà.

Dal 1561 fino al 1870 la chiesa mantenne la sua struttura più o meno invariata tranne per la costruzione all'interno di due altari:

  • Nel 1648, in pieno periodo di peste, venne costituita, da alcuni fedeli di S.Anatolia, la «Confraternita della Santissima Pietà» che, seguendo i dettami della «Compagnia della buona morte» di Roma, si dette il grave compito di accompagnare i malati terminali alla «buona morte» e di occuparsi della loro sepoltura e di quella delle tante persone trovate già morte. In quel frangente, nella navata di destra della chiesa, venne costruita e consacrata la nuova «Cappella della SS. Pietà».
  • Nel 1697 venne fondata, con atto testamentario di Antonio e Camilla Placidi, la cappella della Madonna del Carmine.
  • Nel 1703 un forte terremoto scosse di nuovo le nostre contrade e nel 1712 il parroco Giovanni Antonini di Torano relazionò al Vescovo Guinigi che la chiesa aveva bisogno di riparazioni. Quindici anni dopo i lavori di restauro vennero completati e nella cornice superiore della cappellina venne incisa la data di questo evento «Extaurata 1727».

Due anni prima, nel 1725, Pietro Placidi aveva fatto costruire adiacente al muro sinistro della chiesa, un edificio che in seguito al terremoto del 1915 divenne la casa dei suoi eredi. Nel 1813 l'abate Pietro Placidi (non lo stesso del 1725) fece prelevare la campana ormai caduta della chiesa di S.Lorenzo in Cartore e la diede a Vincentius De Angelis dell'Aquila per fonderla e rifarne una nuova per la chiesa di S.Anatolia che ne era sprovvista.

Nel 1822 un pellegrino di nome Eusepio Di Giovanbattista lasciava la sua memoria imprimendo il proprio nome sulla parete esterna della Cappellina, probabilmente ignaro di rovinane il secondo affresco di Anatolia situato sotto un leggero strato di stucco.

Nei primi anni del 1870 la popolazione, guidata dalla famiglia Placidi, decise che era giunto il momento per risistemare la chiesa. Si sentiva fortemente l'esigenza di renderla più capiente ed in grado di accogliere la sempre più grande moltitudine di pellegrini che ogni anno, durante la festa del 9 e 10 luglio, proveniva da paesi vicini e lontani. Nel 1874 il vescovo Mauri relazionò: «Coll'andar del tempo questa chiesa era quasi ruinata. Da qualche anno si è incominciata a restaurare colle elemosine dei fedeli. Ma non sono ancora ultimati i restauri [...] Vi si continua a seppellire. Si spera però che si renda sepolcrale l'altra chiesa fuori del paese dell'Addolorata» (45).

Nel 1884 nella chiesa, ormai non più sepolcrale, venne eccezionalmente sepolto Antonio Placidi, colui che tanto aveva speso per la sua riedificazione. Per seppellire i defunti venne utilizzata la chiesa della Madonna Addolorata che da pochi anni era stata edificata ma i cui lavori non furono mai terminati. Nel 1894 un artista di Boemia, Albert Saff, pose sull'Altare Maggiore la grande statua di gesso di S.Anatolia. Quest'atto segna il completamento della riedificazione.

Nel 1897 il Vescovo Quintarelli ricordava che «della chiesa antica non furono utilizzate che le pareti laterali, ma solo in parte, rafforzandole ed innalzandole» e che fu lasciata in piedi la cappellina di S.Anatolia. «Il disegno dell'attuale chiesa è dovuto al P. Luigi Ferrante, gesuita, zio materno dei sig. Placidi Giuseppe e fratelli» (46). Alcuni affreschi della chiesa antica vennero efficientemente staccati dalle pareti e ricollocati dietro la cappellina di S.Anatolia, altri andarono perduti. Della chiesa antica oggi se ne riescono ad intuire solamente alcune tracce. I lavori durarono circa 10 anni durante i quali la popolazione partecipò attivamente alla ricostruzione. E' ancora vivo, soprattutto tra i più anziani, il ricordo, tramandato dai propri genitori o nonni, della grande fatica nel trasportare le pietre con ceste o carriole, dalla «cava de' mastri» situata nei confini con Rosciolo fino alla chiesa in costruzione.

Dal 1894 non vennero più effettuati grandi lavori tranne la pavimentazione rifatta circa 30 anni or sono. Nel 2004 sono stati finalmente eseguiti i primi lavori di restauro e sono venuti alla luce gli affreschi di cui abbiamo già notevolmente parlato e che hanno dato un formidabile aiuto a ricomporre il puzzle di questa storia.


Note

  1. Una lista di terremoti per data di avvenimento si può ricavare dal sito: http://emidius.mi.ingv.it. Un terremoto avvenuto nel 1742 è descritto da Gattinara Giuseppe - Storia di Tagliacozzo - 1894 - pag. 95
  2. Vedi il Capitolo II, paragrafo II, I Saraceni e la formazione dei castelli.
  3. Vedi il Capitolo II, paragrafo IV, Corradino di Svevia e Carlo D'Angiò
  4. Regesto Farfense di Gregorio di Catino, Tomo V, pag.290, fol. MCCXV, doc. 1303 e Chronicon Farfense di Gregorio di Catino, Tomo II, pag.205 n.8
  5. Sito di S. Anatolia - Appendice V - La martire Anatolia - Il ritrovamento delle reliquie
  6. Sito di S. Anatolia - Appendice IV - Cronologia - Anno 1115 e 1182 - Nel 1115 vengono documentati i confini della diocesi marsicana. Nel 1182 gli stessi luoghi di confine, questa volta documentati dal punto di vista della diocesi reatina, venivano chiamati: Tabulam (Bocca di Teva), Cartonis (Cartore) e Vulpem Mortuam (Volpi Morte).
  7. Chronicon Cassinense a cura di Leone Ostiense
  8. 1153: Bolla di Anastasio IV a favore della Diocesi Reatina in Michaeli Michele "Memorie Storiche della Città di Rieti" Vol. II pag.265-272 - Documento originale presso Archivio Vescovile di Rieti. 1182: Bolla di Lucio III a favore della Diocesi Reatina in Michaeli Michele "Memorie Storiche della Città di Rieti" Vol. II pag.265-272. il documento integrale (forse una trascrizione dell'originale) si trova nella biblioteca nazionale di Parigi. 1218: Bolla di Onorio III a favore del monastero di S. Paolo di Roma in Trifone Basilio "Le carte del monastero di San Paolo di Roma dal secolo XI al XV " (Arch. R. Soc. Romana di Storia Patria 1908) vol. 31 pag. 294 doc. XVI
  9. Antinori Ludovico Antonio, Annali degli Abruzzi, mss. sec. XVIII in Biblioteca Provinciale dell'Aquila, Vol. XI f. 71 (Pag.63)
  10. Nella Biblioteca Nazionale di Parigi è conservato questo registro dove sono elencate tutte le chiese della Diocesi di Rieti in quell'anno. Il titolo, scritto a mano nella prima pagina del registro, è: "Statuta Synodalia fr. Blaxii Episcopi Reatini edita an. 1303 et 1315 sequuntur census ejusdem Ecclesia cum quibusdam bullis ad eam spectantibus". La data 1252 è stata fissata in uno studio dagli storici Tersilio Leggio e Vincenzo Di Flavio. Si può notare infatti che all'inizio del documento è citato il vescovo di Rieti Tommaso il quale resse la diocesi dal 07/02/1252 al 1255 circa. Leggio titola il documento in  questa maniera: «Summa omnium ecclesiarum tam civitatis quam dyocesis Reatine et censualium et illarum que respondent ecclesie Reatine». Nel documento sono registrate le chiese di Rocca Randisi e Alzano, Poggio S. Giovanni, Castelmenardo, Grotti, Corvaro e S. Stefano, Cartore e S. Anatolia, Spedino, Torano, Latusco, Collefegato, Ville e Poggiovalle e tante altre. .
  11. Vedi il Capitolo II, paragrafo IV, Corradino di Svevia e Carlo D'Angiò
  12. Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.04,025 - Numero Catena: 1524 - Regesto De Cupis
  13. Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.09,041 - Numero Catena: 219 - Regesto Pressutti
  14. Estratto dal libro di Vincenzo Di Flavio "Il Registro delle chiese della Diocesi di Rieti del 1398" pag. 78-81 - Questo elenco di chiese è stato estratto a sua volta da: "Memorie del Vescovo Saverio Marini" (1779-1813) in Archivio Vescovile di Rieti
  15. Camillo Minieri Riccio "Studi Storici su fascicoli Angioini" - pag.51 - Estratto da Archivio di Napoli - "Fascicoli Angioini" pag. 476 fol. 58 Fasc. 74
  16. Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 50 - numero 20
  17. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.14b-15
  18. Theodor MOMMSEN, Corpus Inscriptionum Latinarum, n. 4117 - V. SALETTA, S.Anatolia, pag. 52
  19. T. MOMMSEN, Corpus Inscriptionum Latinarum, n. 3979 - V. SALETTA, S. Anatolia, p.50, nota 12
  20. T. MOMMSEN, Corpus Inscriptionum Latinarum, n. 4017 - D. LUGINI, Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano, p.108 - V. SALETTA, S.Anatolia, p.50
  21. Raffaele Garrucci, Bullettino Archeologico Napoletano, p.181 - T. MOMMSEN, Corpus Inscriptionum Latinarum, n.394 - D. LUGINI, Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano, p.108 - V. SALETTA, S.Anatolia, p.51
  22. Il primo testo che nomina la martire Anatolia è il De Laude Sanctorum di Vittricio, vescovo francese di Rouen, scritto nel 396. Il documento venne redatto a circa 150 anni dalla morte di Anatolia avvenuta nel 251. Il culto per la santa era così diffuso da oltrepassare i confini dell'italia.
  23. Archivio Vescovile di Rieti, cartella n. 66, Visita Ferretti Anno 1828.
  24. Una canna nel Regno di Napoli corrispondeva a metri 2,64550 mentre nello Stato Pontificio corrispondeva a metri 2,234. Quindi se il Ferretti si basò sull'unità di misura dello stato di appartenenza della chiesa, cioè il Regno di Napoli, allora essa doveva essere lunga metri 29,10 e larga 13,20. Mentre se il Ferretti si basò sull'unità di misura dello Stato Pontificio, del quale Rieti faceva parte, allora la chiesa doveva essere lunga metri 24,50 per 11,10 di larghezza. Riguardo alle misure della chiesa, dopo la ricostruzione avvenuta tra il 1870/1890, nel 1898 il vescovo Quintarelli scriveva: «La chiesa è a tre navate: sono lunghe un 17 metri (escluso il presbiterio per quella di mezzo); larghe la centrale 6 in 7 metri, le laterali 4 per ciascuna, senza calcolare lo spazio occupato dai pilastri e corrispondente agli archi soprapposti, che dividono esse navate [...] Il presbiterio o cappella, ove è collocato l'alt. maggiore, ed unico finora, non è che la continuazione della navata centrale; e si alza su questa di due gradini in pietra, a semicerchio, che corrono tutta la larghezza di essa navata e del presbiterio: questo è profondo metri 3 1/2 o 4, largo 6 in 7: l'altare è staccato dalla parete retrostante di circa un metro» Archivio della Diocesi di Rieti - Visita di mons. Bonaventura Quintarelli nell'anno 1897-1900
  25. Archivio della Diocesi di Rieti - Visita Carletti - Anno 1851
  26. Archivio della Diocesi di Rieti - Visita Guinigi - Anno 1712 - «Visita Vicariato Suburby Collis Fegati» Risposte dei parroci - Arch. Vescovile di Rieti - Cartella 17 - Volume V, pag. 29-30. Vedi anche Appendice IV - Cronologia - 1712. Nel 1712, durante la visita pastorale di monsignor Guinigi, il parroco di allora, Giovanni Antonini di Torano, descriveva così la chiesa: «Nella Chiesa Parrocchiale vi sono cinque altari cioè il capo altare con il titolo della Natività N.S.G.C. La Cappella della Pietà a latere destro e a latere sinistro la Cappella di San Sebastiano e nell'ingresso della chiesa la Cappella di Santa Anatolia. E Dall'altro lato l'altare della S.V. M. di Loreto e non vi à l'obligo di detta chiesa che ogni mercondì una messa all'altare della Pietà e si mantengono detti altari alle spese delle compagnie».
  27. Nota delle chiese sottoposte al Vescovato di Riete estratta dalla visita di Ms. Malvaglia visitat. ... aplico dell'Umbria nell'anno 1587 esist. nel Vaticano Archivio Diploma. - Estratto da: A.V.R. Cart.50 Visita Marini Anno: 1783-1788, Visita città Montereale, Scai & Cicolano" (pag.112-114).
  28. Archivio della Diocesi di Rieti - Visita di mons. Bargellini nell'anno 1577
  29. L'individuazione del Santo è merito del dottor Alberto Crielesi, studioso di Storia dell'Arte. Egli mi ha fatto notare che il personaggio a sinistra di chi guarda l'affresco, che io avevo ipotizzato fosse San Nicola di Bari, vescovo di Mira, raffigura invece il vescovo armeno San Biagio di Sebaste. Il vescovo stringe un libro nella sua mano destra ed ha un oggetto sulla spalla sinistra. Io l'avevo scambiato per un secondo libro ma il dottor Crielesi si è reso conto che è un pettine per cardare la lana ,che è un attributo del Santo. Questi infatti, nel racconto del martirio, venne torturato «strappandogli la pelle», proprio con quel pettine con le punte di ferro.
  30. Sito di S. Anatolia - Rassegna stampa - Lacrime di Sant'Anatolia
  31. V. Saletta, S. Anatolia, cap. V, p. 69 - Saletta, nacque a Palmi il 21 aprile del 1916 e fu un importante storico calabrese. Nella sua città natale, la lunga via che porta verso Marina di Palmi, è intitolata a lui. Sarebbe giusto che anche da noi egli avesse almeno una via intitolata, dato il grande lavoro di ricerca che ha gettato le basi per la storia del nostro paese.
  32. L'informazione la ebbi da Adolfo Luce, nato a Sant'Anatolia il 22 marzo 1911, figlio di Antonio Luce (1886) e Anatolia Scafati (1885-1931)
  33. Le informazioni sulla morte di Benedikt sono tratta dalla Biografia del padre: Denní zprávy, Národní listy, 1915, č. 233, s. 3. La scultura che lo rappresenta, scovata su internet nel gennaio 2019 da Emanuele Sgrilletti di S.Anatolia, è tratta dal sito http://www.cbmpolicka.cz - Link - Una biografia di Vojtěch Eduard Šaff in lingua Ceca si trova su questo sito: http://www.wikiwand.com/ - Dal 2016  la biografia del grande artista Vojtěch Eduard Šaff si può leggere anche su wikipedia.
  34. Capitolo I - L'epoca romana - Tiora Matiene
  35. Capitolo I - L'epoca romana - Alba Fucense
  36. Capitolo II - Medioevo - Il Castello di S. Anatolia tra la fine del '300 e l'inizio del '400
  37. Capitolo II - Medioevo - I Saraceni e la formazione dei Castelli
  38. Appendice IV - Cronologia - anno 1048 - 1113 - 1153 - 1182 e 1218
  39. 1252-1253: Registro delle chiese della Diocesi di Rieti - Elenco inviatomi da Tersilio Leggio che l'ha tratto da un manoscritto «Summa omnium ecclesiarum tam civitatis quam dyocesis Reatine et censualium et illarum que respondent ecclesie Reatine» ritrovato nella «Paris Bibliothèque nationale» - Estratto delle cartelle 22v-23r-25v
  40. Appendice IV - Cronologia - anno 1250
  41. Capitolo II - Medioevo - 1268: Corradino di Svevia e Carlo D'Angiò
  42. Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.09,041 - Numero Catena: 219 - Regesto Pressutti - Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.09,040 - Numero Catena: 1633 - Regesto Pressutti
  43. Archivio di Napoli Fascicoli Angioini pag.476 fol.58 Fasc.74 - D. LUGINI, Memorie, p. 192-193 e pag.243
  44. Il 5 dicembre 1456 un immane terremoto sconvolse la Campania e le regioni circostanti, con epicentro nella zona del Sannio. Ebbe una magnitudo di circa 7.1 con ripetute scosse secondarie nella zona dell'Irpinia e del Molise. Migliaia le vittime (oltre 30.000), probabilmente si tratta del terremoto più forte che si è avuto sulla terra ferma in Italia nell'ultimo millennio, ad eccezione dei terremoti del 1908 e 1693 in Sicilia - Wikipedia Italia -Voce «1456».
  45. Archivio della Diocesi di Rieti - Visita di mons. Egidio Mauri nell'anno 1874
  46. Archivio della Diocesi di Rieti - Visita di mons. Bonaventura Quintarelli nell'anno 1897-1900