Capitolo I - Voci nel Tempo

La Sposa del Sangue

Pio XII, parlando agli uomini di Azione Cattolica adunati a Roma il 7 novembre 1947, raggruppò in cinque punti l'esercizio della nostra attività; e cioè:

  1. Cultura religiosa, contrapposta all'anemia della vita religiosa, dovuta alla quasi ignoranza in cose religiose.
  2. Santificazione delle feste a gloria di Dio in lieto ritrovo nella famiglia.
  3. Salvezza della famiglia cristiana rivendicando all'Italia il vanto di una primaria forza, la madre italiana.
  4. Giustizia sociale per raggiungere una più giusta distribuzione di ricchezze.
  5. Lealtà e veracità nella convivenza umana, con rinnovamento del sentimento e dello spirito di una responsabilità individuale.

AnatoliaIl Pontefice proseguiva così: "la Chiesa è sempre giovane e tale rimarrà. è la sposa del sangue (Exod. 4,23) e nel sangue sono i suoi figli calunniati, imprigionati, uccisi. Vuol ritrovare l'immagine del suo Sposo divino per soffrire, per combattere, per trionfare con Lui. Maria Goretti e Contardo Ferrini, con l'intercessione della madre di Dio e dei Santi, vinceremo la Causa Santa !"

Oltre un anno passato e, tornando a parlare ai giovani romani di Azione Cattolica celebranti il 35 anniversario della Federazione diocesana di Roma, Pio XII, il Papa della gioventù (com'egli stesso si era definito), ancorò i problemi dell'ora in tre capisaldi:

  1. Chiari principi
  2. Coraggio personale
  3. Unione indissolubile tra religione e vita.

La connessione evidente fra tali capisaldi e i cinque punti indicati agli uomini di Azione Cattolica, non rientra tra i fini di questo scritto dove invece preme di sottolineare il 2 caposaldo del Santo Padre così sviluppato:

"Non vi meravigliate, diletti figli, se parlando del coraggio noi vogliamo sottolineare la parola personale unitiva di un blocco formato a doverosa e leale difesa dei più alti e sacri ideali e senza dubbio eccellenti. Gli uni sostengono gli altri mutuamente, fraternamente e in tal modo l'ardimento diviene più facile. Ma questo coraggio deve mostrarsi anche se voi, in qualche luogo, in un determinato momento veniste a trovarvi per particolari circostanze in minoranza, in pochi, forse anche soli di fronte ad avversari più numerosi e audaci. Siete voi capaci a resistere, ma fino all'ultimo, contro di tutti nell'affermazione della legge di Dio, nella difesa della Fede e della Chiesa, dobbiamo anzi oggi di aggiungere, nella tutela dell'ordine del progresso e della pace sociale, ogni qual volta il bene comune richiedesse la vostra collaborazione? Guardate il protomartire Santo Stefano: uno contro tutti fino alla fine. Egli superava anche in intelligenza e in sapienza i suoi crudeli avversari, che non sapevano rispondere ai suoi argomenti e alle sue prove (Atti, VI, 10).Ecco gli uomini di cui ha bisogno la Chiesa e la società. Non si uccide il Cristianesimo senza sopprimere con lo stesso colpo il cittadino e l'onesto uomo ..."

Non è mai lungo nè tedioso il discorso del Padre comune e ancor meno, la riproduzione delle sue toccanti parole, vuol significare un rimprovero per chi, volendo essere da lui guidato, l'avesse dimenticate oppure avesse svanita l'eco nel suo cuore. Invece potrebbe servire a stabilire, se ve ne fosse bisogno, la continuità e uniformità della dottrina insegnata da Pio XII ai nostri giorni e quella di San Fabiano (240=250) che governò la Chiesa quando, per la fede, patì il martirio la vergine Anatolia e di quella persecuzione fu tra le prime vittime.

Una è la Fede, com'è unico il Battesimo e l'Eucarestia per tutti, e unico è l'Ovile ma vario con i suoi martiri, con i buoni e mediocri cristiani, con i soliti apostati e traditori. Il primo martire del cristianesimo, Santo Stefano, fu ucciso per la sua intelligenza e sapienza e per i servigi prestati in qualità di diacono ai poveri, alle vedove e ai derelitti della Chiesa. A lui succede una catena ininterrotta di martiri, testimoni della Fede, e anche una schiera di paurosi, di tiepidi traditori e anche di buoni cristiani che hanno assicurato la sopravvivenza della Chiesa. In questo vario succedersi di generazioni cristiane il nome di Maria Goretti, l'umile contadina marchigiana uccisa nei primi anni di questo secolo per aver difeso la propria verginità, è degnamente vicino a quello di Anatolia, dimostratasi zelante catechista e assunta a simbolo della verginità.

I loro nomi assumono aspetti particolari, nella Sposa del sangue, dove trovano posto quei buoni che scoprono nel Cristianesimo la palestra idonea per santificarsi, come Contardo Ferrini, maestro del diritto ed esempio in ogni tempo per gli infelici che non sono riusciti ad imitarlo o ad emularlo. Dei cattivi e dei traditori se ne sono occupati fin troppo gli altri perchè possano trovar posto in questo profilo e del resto la carità suggerisce di mantenerli in silenzio

Quasi Aurora rutilante

I primi echi di un evento glorioso, che aveva scosso profondamente l'animo dei Cristiani del III secolo, prendono forme artistiche e insieme solennemente religiose. Tra lo sfolgorio degli ori e tra i vivaci colori dei mosaici dell'arco trionfale di Sant'Apollinare Nuovo, la basilica bizantina di Ravenna costruita nel VI secolo, è riprodotta una teoria di Vergini per rendere completo il corteo del Salvatore, il Pantocratore. Sant'Anatolia e Santa Vittoria, così strettamente unite nella leggenda, si ritrovano insieme nel trionfo di Gesù Cristo.

S.Apollinare Nuovo - Anatolia e VittoriaAncora oggi in Oriente, a indicare il corrispondente punto cardinale, si usa Anatolì ed è stato pensato che quel nome sia stato attribuito ad una fanciulla, forse plebea e straniera, se non di origine servile, così umile di fronte a quello squillante e romano di Vittoria. L'arte figurativa si era impadronita della sua immagine ed in seguito il calendario popolare, in base a precedenti scritti purtroppo perduti, ne aveva fissata la festa al 9 di luglio: "Nella città di Tyro il martirio dei santi Anatolia e Audace sotto l'imperatore Decio". Non fu difficile il passaggio del suo nome alla letteratura. Pietro Adelmo nel IX secolo impernierà su di lei l'Elogio della Verginità e, prima e dopo di lui, il nome di Anatolia passerà sulle bocche di Adone, Flodoardo, Vittricio, San Beda il Venerabile, Flodoardo, Notkero e Usuardo. Le gesta di questa Martire si propagheranno quindi in Italia e, al di là delle Alpi, soprattutto in Francia ed in Inghilterra. Ma da noi la fama di Anatolia rimase perennemente impressa soprattutto per merito dei monaci benedettini e specialmente di quelli delle Badie di Farfa e di Subiaco.

Giunti per tempo in possesso della città di Tyro o Tora, i primi affidarono la memoria della loro venerazione per la Martire alle chiese dedicate a Sant'Anatolia in territorio Reatino: in Busiano, in territorio Sabino, in Tore in curtis Vallantis, in S. Maria di Loriano, in Turano, in Cliviano, in Antisiano e Pacciniano, in Usiano ovvero in Italiano. La ricordarono con una corte detta Taziano, con un campo, con un altro in Massa Capitanea e un terzo che si trovava juxta gualdus (bosco) delimitato dalla strada romana via publica e da un altro lato dal lago, in lacu. Al di fuori di quest'area, facilmente definibile quale territorio dei Reatini, Sabini, Marsi ed Equicoli, i monaci di Farfa propagarono il culto nelle Marche ed a Tivoli, dov'è rimasto fermo ad un modesto altare condiviso con Santa Vittoria nella Basilica di Santa Maria Maggiore da loro ufficiata fin verso l'anno 1250.

Da qui, com'è verosimile, la devozione fu trapiantata, prima del 936, nella Valle Giovenzana, dove le proprietà della Chiesa si mescolavano con quelle del Vescovo di Tivoli, ordinario di quell'area fin verso il XVI secolo. La chiesa di Sant'Anatolia sorgeva in una curtis domnica, vale a dire in un centro agricolo con magazzini, ospizi e negozi cui patite ingiurie avevano portato rovina e costretto gli abitanti ad arrampicarsi per le coste dei monti dentro le più sicure mura di Cerreto e Gerano.

In questa chiesa ormai campestre, nominata in molti privilegi pontifici, il 10 luglio di ogni anno, con un giorno di ritardo sul calendario ufficiale, si commemora il martirio di Sant'Anatolia. E' molto probabile che da essa abbia preso spunto Leone abate di Subiaco quando, non appena giunto in possesso (attraverso carte purtroppo perdute) di beni in Tora, si mise alla ricerca delle reliquie della martire Cicolana, ancor più faustamente conclusa con il ritrovamento anche di quelle di Sant'Audace, suo socio nel martirio, in passione socius. Rinvenute quelle spoglie, Leone il sanctissimus abbas, audacemente le riportò nei Monasteri di Subiaco riponendo quelle di Sant'Audace nella chiesa di Santa Scolastica, mentre quelle di Sant'Anatolia custodì nello Speco dove San Benedetto in rigorosissima austerità si era preparato alla promulgazione della Regola. E non è privo di significato che in quello Speco da secoli, il monaco che si accinge a legarsi in perpetuo al suo ordine, promette e giura, chiamando a testimonio Sant'Anatolia "di cui il corpo riposa in questa Chiesa" e colpisce inoltre trovare in quel luogo, dove fu meditata la Regola dei Monaci alla quale tutti gli ordini religiosi fanno riferimento, il nome di una Vergine anzi di quella presa quasi come modello di umana Verginità.

Ai Benedettini infine spetta il vanto di aver saputo, con le scarse notizie sparse qua e là, costruire una biografia di Sant'Anatolia. La Badia di Montecassino fu il cantiere e architetto Giovanni Cassinese, prima di dedicarsi agli affari della Curia Pontificia e prima ancora di essere assunto al pontificato ove regnò col nome di Gelasio II (1119). All'organica disposizione dei materiali attesero nel XVII secolo i benemeriti Padri Bollandisti che lo pubblicarono nella loro collezione intitolata Acta Sanctorum.

In quelli riguardanti la nostra Martire qualche punto non va ma non per le ragioni addotte dai critici sempre scontenti e onestamente a suo luogo se ne terrà conto senza qui attardarsi. Vanno ricordati piuttosto gli autori che hanno appositamente trattato alcuni lati della vita di Sant'Anatolia che, disposti in ordine di tempo, sono: Iacobilli "Vite dei Santi e Beati dell'Umbria" (opera stampata nel 1656 a Foligno, tomo 3, volume II, pag. 14=19); mons. Marini, vescovo di Rieti, nelle "Memorie di Santa Barbara" (Fuligno 1796); mons. Caponi di Subiaco "Notizie storiche di S. Anatolia Vergine e Martire e di S. Audace martire" (Roma 1852); mons. Paschini, rettore dell'Ateneo Lateranense, "La passio delle Martiri Sabine Vittoria e Anatolia" (Roma 1919); chi scrive nell'ultima parte del suo studio intorno a "Leone il Gagliardo e gl'inizi della potenza del Sublacense" pubblicato negli Atti della Soc. Tiburtina di Storia Patria, 1937 e 1938 (da pag. 44 a pag. 67 della 2 puntata); e Carosi, benedettino della Badia di Subiaco, "Sant'Anatolia Vergine e Martire" (tipografia dei monasteri di Subiaco, senza data).

Quanto è stato detto non è rivolto a dare una rassegna di opere e ancora meno a recensirle o a criticarle, per quanto, in sede di autocritica, è implicito il riconoscimento delle imperfezioni del precedente lavoro spiegabili in un raggio nel quale le notizie su Sant'Anatolia altro non erano che frangia. Resta inteso che quelle imperfezioni ed eventuali errori topografici (che ho cercato nel frattempo di correggere per amore di quella probità che ogni pubblicazione dovrebbe informare) saranno emendati del tutto in questa così impegnativa pubblicazione che ha per argomento unico Sant'Anatolia.

Lo scopo prefisso da questa parte introduttiva è un altro: riflettendo su ciò che abbiamo scritto fin'ora spontaneamente veniamo spinti a porci due domande: per quale arcano disegno l'umile o plebea Anatolia è stata tratta dalle zolle della terra di Tora e, come candelabro risplendente, sovrapposta a quello Speco, sacro per le sofferenze e meditazioni di Benedetto da Norcia ? Fu un gesto inconscio o responsabile quello dei monaci di Subiaco che vollero illuminata per se e per altri da quell'Aurora la via tribolata di sacrifici, al servizio di Gesù, corona dei Vergini e insieme assiepato da cori di Vergini ?