Capitolo II - L'Era dei Martiri

La Chiesa del Silenzio

Dal giorno in cui il diacono Stefano fu lapidato a Gerusalemme da una folla aizzata dal giovane Saulo (che sulla via di Damasco rimarrà colpito dalla divina Grazia e trasformato in Paolo dottore delle genti) il Maligno ha continuato con i suoi infami attacchi contro la Chiesa, Sposa di Cristo. Con gli aguzzi suoi denti l'ha morsa, sia pure ad intervalli, ma nell'ostinato tentativo di sterminare il nome cristiano.

Statua di S.AnatoliaGià al tempo dei Romani promosse la persecuzione dei fedeli, sia di carattere generale per tutto l'Impero e sia ristretta ad alcuni luoghi, mietendo sempre vittime umane. Il numero di esse non sarà calcolabile da mente umana e siccome l'olocausto era avvenuto in difesa della Fede, tutti i caduti furono chiamati martiri, ossia testimoni.

Il lungo periodo, durato circa tre secoli, nel quale la strage di vittime umane, nel nome di Cristo, fu più intensa, fu detta Era dei Martiri. Per comodità, quella prolissa tragedia che ha per sfondo sangue cristiano, è stata scomposta in dieci episodi, quante furono le persecuzioni più violente, e ciascuno di essi è stato unito al nome dell'Imperatore maggiormente responsabile degli eccidi. Così da Nerone si denomina la prima, da Domiziano la II, la III da Traiano, la IV da Marc'Aurelio, la V da Settimio Severo, la VI da Massimino, la VII da Decio, l'VIII da Valeriano, la IX da Aureliano e la X da Diocleziano.

Le persecuzioni cessarono con la promulgazione dell'Editto di Costantino (313), ma anche in seguito, cambiati i motivi ed i paesi in cui le persecuzioni si svolsero, invariato rimase lo scopo degli eccidi di Cristiani. A volta emulando e talora superando l'efferatezza dei Romani, i ministri del maligno si chiamarono Vandali, iconoclasti, riformati specialmente d'Inghilterra, Giapponesi, Francesi della rivoluzione (con strascichi in Germania della Kulturkampf o in Italia e in Spagna).

Russi e Messicani e i seguaci del bolscevismo operanti in Ungheria e in Yugoslavia. Caddero e cadono ancora oggi martiri e confessori della fede e i caduti di null'altro erano e sono rei che della pretesa al rispetto della propria coscienza, del proprio pensiero, della propria fede religiosa. In un certo modo, l'oppressione fanatica e micidiale, trova una sua spiegazione nell'insegnamento del Divino Maestro che avvertiva i suoi seguaci a non credere ad una vita comoda e facile, ma ad una vita di lotta continua per raggiungere l'affrancamento dell'uomo dalla morsa degli istinti, attraverso i rimedi della vita soprannaturale, per balzare alla vera vita che non è di questo mondo.

La Persecuzione di Decio

Statua di S.AnatoliaLa settima persecuzione contro la chiesa, com'è stato detto, fu dovuta all'imperatore Decio. Questi era peraltro un buon generale. La persecuzione durò un paio d'anni e finì solo con la morte in combattimento di chi l'aveva ordita e scatenata. Nonostante sia stata la più breve di tutte, fu la più cruenta e micidiale. Era giunta inaspettata e si abbattè sui cristiani come un vento impetuoso, sradicando e sparpagliando le comunità di fedeli. Condotta inoltre con astuzia e rigore inconsueti, mietè una gloriosa e abbondante messe di martiri.

Ignoto rimane l'editto di promulgazione ma tristemente nota l'applicazione che ne seguì. Decio aveva imposto a tutti i cittadini una specie di censimento controllato da speciali commissioni. Ciascuno era tenuto a compiere pubblicamente un atto di culto idolatrico attraverso sacrifici rituali, libagioni e incensamenti degli altari pagani e consumazione, insieme con altri, delle carni sacrificate egli idoli. Chi non si fosse presentato per adempiere le prescrizioni imposte, doveva essere ricercato d'ufficio dai magistrati. Chi vi si fosse sottratto doveva essere sottoposto a processo criminale. Gli si doveva estorcere con tortura l'apostasia dalla fede e non bastando i tormenti il cristiano doveva venire condannato all'esilio o alla morte violenta con la confisca dei beni.

I ministri attuali del maligno trovano, magari con più raffinata perfidia, applicabili quelle norme e quei criteri immutati per lo sterminio della chiesa. Ma torniamo ai tempi di Decio. Tra i gloriosi martiri della persecuzione scoccata qualche tempo dopo nell'Africa Proconsolare, corrispondente all'attuale Tunisia, San Cipriano, vescovo di Cartagine, celebre per la forza dei suoi scritti e molto più per l'eroico contegno conservato nel processo e nel supplizio al quale fu condannato. è pervenuto fino a noi il processo verbale del martirio e qui si riferisce soltanto per quel poco che può far comprendere la sorte toccata ad Anatolia i cui atti del martirio disgraziatamente sono andati smarriti.

Nel settembre dell'anno 257 due scherani del proconsole andarono a catturare il vescovo in mezzo al suo gregge che, seguito da gran folla di cristiani, fu affidato in custodia ad un centurione. L'indomani Cipriano fu condotto davanti al proconsole e, espletate rapidamente le formalità, succintamente il magistrato gli contestò l'accusa, cui fu risposto senza tergiversazioni o esitazioni. Fu pronunziata la sentenza di condanna all'estremo supplizio, accolta da Cipriano con uno squillante Deo Gratias ! Venne subito condotto nel campo adiacente alla casa dove si era svolto il giudizio e, senza pronunciare parola, il vescovo si svestì degli indumenti esteriori e per brevi istanti si prostrò in preghiera. All'arrivo del carnefice, ingiunse ai suoi amici di corrispondere a costui un compenso di 25 aurei, si bendò gli occhi da sè e attese per poco il colpo. Dal tronco decapitato del Martire calò per terra sangue vermiglio nel quale il popolo astante inzuppò i lini. Il cadavere fu lasciato lì fino al tramonto e a notte inoltrata, al lume di torce, dai fedeli fu trasportato al cimiero.

Fragilità umane

Non avendo mai sperimentato una prova così dura e improvvisa, la chiesa fu colta impreparata. Non tutti i fedeli la sostennero con spirito cristiano. Moltissimi apostatarono in più modi ma tutti convergenti nel ripudio della religione professata. Alcuni si limitarono a bruciare granelli d'incenso (in latino "Thus") sulle are idolatriche e furono detti i thurificati, mentre altri compirono pienamente i riti pagani e venero chiamati <>sacrificati. Con mendicata attestazione di falsa adesione alla volontà dell'imperatore, talaltri si procurarono dalle commissioni di vigilanza (anche a quei tempi si vede non insensibili alla cupidigia del denaro) i certificati, libelli, del sacrificio compiuto contro ogni verità, e si dissero libellatici.

Anatolia e AudaceIn generale i fedeli, la sancta christiana plebe, quasi mossa da un fenomeno di psicosi collettiva, era rimasta schiacciata e aveva perduto tutti i benefici della vita comunitativa e soprattutto quelli della vita soprannaturale. Con lo stesso impeto versatile i caduti, lapsi, si misero a ricercare le vie per essere riammessi nella chiesa. Non era facile, data la rigorosa disciplina vigente nel III secolo, ma, per meglio appoggiare il proprio dolore ed ottenere misericordia dal Clero, ricorsero ad un espediente. Ciascuno si faceva rilasciare da coloro che avevano confessato o tuttavia confessavano in prigione la fede cristiana, un'attestazione, libellum. Il rilascio di questi certificati si era generalizzato ed essi avevano bozza così impegnativa per il clero da spingere qualche confessore a elargire in nome di altri confessori la pace per tutti gli sciagurati.

Tutte queste notizie andrebbero pacatamente vagliate al lume degli avvenimenti recenti e recentissimi, che mostrano l'uomo facile preda degli istinti, meno dignitosi e monotono ripetitore d'infelici atteggiamenti. Lo spazio manca e, per quanto con rammarico, si deve ritornare a completare lo sfondo degli avvenimenti impresi a narrare in queste pagine. Più fortunati di tutti, molti cristiani riuscirono ad abbandonare le città, civitates, e a rifugiarsi nelle solitudini delle campagne meno sorvegliate, vagando per i boschi in compagnia delle fiere, meno pericolose per essi degli uomini.

In mezzo alla massa grigia e informe, risaltano, impavidi testimoni della fede, i martiri. Primo tra i primi, il vescovo stesso di Roma, San Fabiano papa, morto il 20 gennaio 250. Era a capo di una fiorentissima comunità, come traspare da documenti appartenenti al periodo immediatamente successivo, i quali possono ritenersi il bilancio della persecuzione di Decio. Era composta da una massa incalcolabile di poveri e da più che millecinquecento tra vedove e orfani che, per grazia di Dio e carità di ricchi numerosi e ben provvisti, era interamente sostenuta e mantenuta. Oltre al vescovo attendevano al pascolo del gregge 46 sacerdoti (presbyteri), 7 diaconi, 7 suddiaconi, 42 accoliti, 52 esorcisti, lettori e ostiari. La violenza che la squassò dovette esser tale da impedire per circa sei mesi l'elezione del successore di San Fabiano. A Roma, in Italia e altrove, i martiri caddero nel proprio sangue per spada, per fuoco, per belve, per unghioni di ferro, per aculei, tormenti, patiboli e strumenti i più svariati che solo la perfidia umana riesce a inventare e a manovrare. Tra le vittime di quell'orribile persecuzione caddero appunto Anatolia e Vittoria, vergini, e Audace che della prima sarebbe stato il boia senza il prodigioso intervento di lei che egli volle intensamente imitare nei patimenti.