Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero
Maria Felicita Luce racconta la storia orale tramandata dalla madre "Lisa" Elisabetta Sgrilletti (di Bonaventura e Cleonice Luce)
Come ti ho già scritto il tuo sito mi piace veramente tanto, perchè mi ha fornito informazioni che non conoscevo e perché parla con amore del nostro paese che secondo me è un paese speciale. Per quanto riguarda il brigantaggio immagino che tu ti sia avvalso di fonti ufficiali, ma io ho sentito parlare di questo mio antenato fin dalla nascita, da mia madre, che era una affabulatrice meravigliosa. Stavo ore ed ore ad ascoltarla. Mia madre aveva un suo modo speciale di raccontare le cose, facendo rivivere epoche e personaggi come in un film, con particolari precisi e con un modo lento di dipanare la storia che a chi ascoltava, non restava altro da fare che godersi il racconto come se lo vivesse in prima persona. Lei mi ha influenzato moltissimo, io adesso scrivo favole per bambini e spesso attingo a quell'archivio pieno di meraviglie che sono le storie che lei mi raccontava accanto al fuoco (Le Bastocchie).
Veniamo alla storia di Giuseppe Luce, famoso brigante. L'epoca è più o meno la seconda metà del 1800, dopo l'unità d'Italia.
Giuseppe Luce e suo fratello, anche lui brigante, facevano parte di una famiglia numerosa con una preponderanza di persone di sesso femminile. La loro era una famiglia agiata, possedevano terreni che coltivavano con profitto, greggi di pecore e presumibilmente anche mucche. Le donne tessevano la canapa ed il lino, che coltivavano nei loro campi e che "raffinavano" nel fiume Salto. Avevano cantine piene di formaggi, grano, granturco e vino. Se la passavano, insomma, abbastanza bene.
Siamo nel Regno di Napoli, i due giovani della famiglia, avevano già fatto due anni di servizio militare sotto i Borboni. Dopo l'unità d'Italia, il nuovo governo li richiamò alle armi. Come puoi immaginare non ne furono affatto felici. Loro erano fedeli ai Borboni per i quali avevano combattuto e non avevano nessuna intenzione di riconoscere il nuovo governo. Così, come molti altri nella loro situazione, si diedero alla macchia.
Per primo Giuseppe poi, suo fratello , del quale non conosco il nome (forse me lo puoi dire tu).
La storia del fratello è breve e tragica. Lo stesso giorno che si dette alla macchia morì. Si stava dirigendo verso Rosciolo insieme ad un gruppo di altri ragazzi come lui, passando per Malle Maiura (Valle Maggiore) che poi sarebbe la strada che dalla curva di Celesta sale verso la fonte Valoce. Verso mezzogiorno, assetati ed affamati (si era nel periodo estivo), videro una capanna di pastori e pensarono di fermarsi per rifocillarsi e riposarsi. Erano tranquilli, primo perchè si conoscevano tutti, secondo perchè era il primo giorno della loro latitanza e non pensavano di doversi preoccupare più di tanto, inoltre erano giovani e abbastanza incoscienti. Si avvicinarono, dunque, ridendo e scherzando, ma improvvisamente, dalla capanna uscirono dei gendarmi armati che senza profferire parola, puntarono loro addosso i fucili e fecero fuoco. I "Briganti" non ebbero neanche il tempo di reagire e, d'altronde, non avrebbero potuto perchè erano disarmati. Qualcuno morì, il mio antenato fu ferito gravemente. I soldati (mia madre diceva i carabinieri, però non sono sicura che lo fossero) lo presero e lo caricarono di traverso, come un sacco, sul dorso di un asino dopodichè, ripresero la via, diretti verso Santa Anatolia. Il brigante mancato e sfortunato, soffriva talmente tanto sul dorso di quell'asino che nonn potendone più disse ai gendarmi " O me cambiete posizione o m'accidete!". Uno dei gendarmi, senza pensarci un attimo, prese la mira e fece fuoco, mettendo fine alle sue sofferenze!
Per quanto riguarda Giuseppe, la sua storia la conosci, ma la storia di mia madre differisce dai documenti ufficiali nella parte che parla del rapimento di Alessandro Panei.
Nel gruppo dei Briganti, diciamo della banda di Cartore, ce n'era uno che si chiamava Baldassarre, parente de "Quissi de Mazzucchittu". Quando rapirono Alessandro Panei, lo portarono nel loro covo sulla Montagna della Duchessa. Un giorno Baldassarre dovette assentarsi per sbrigare vari affari. In sua assenza, Giuseppe Luce insieme agli altri, presi da timore e rimorso (forse anche perchè il prigioniero aveva promesso loro qualcosa) decise di liberare il prigioniero e lo stavano riaccompagnando giù, attraverso la strada di Fiui (val di Fua) quando, a metà strada, incontrarono Baldassarre che risaliva verso il loro covo.
Vedendo Don Alessandro Panei in mezzo ai briganti disse:
"Do ju portete quissu?!!"
Giuseppe ripose: "Eh, ju seme liberatu, è meglie!"
Baldassarre, allora, li guardò torvo e disse:" Camminate, reggiratevi e reportateju arrete. Quissu, appena arriva abballe, ci manna subbitu i carabbinieri e ci fannu fore tutti"
Così lo riportarono indietro e poi fu ucciso in quella maniera orribile.
Le ritorsioni per la famiglia di Giuseppe furono durissime. Tutti i loro beni furono confiscati. Si racconta anche che i carabinieri, o chi per loro, prendessero tutti i rotoli di tela tessuti dalle sorelle di Giuseppe e li sfettucciassero con le baionette, riducendoli a brandelli e facendoli rotolare lungo la strada insieme alle pezze di formaggio.
La madre di Giuseppe, la chiamavano la Brigantessa, si racconta che avesse lunghe trecce di capelli corvini. Una volta, per sfuggire alla cattura da parte dei carabinieri, si infilò nel letto insieme alle sue figlie e i carabinieri, pensando che fosse una delle ragazze, la lasciarono andare. Poi, però, fu presa ed imprigionata nell'Isola del Giglio.
Anche Giuseppe fu preso, processato e condannato. Dalla sua prigione, anche lui nell'isola del Giglio, scriveva lettere bellissime alla famiglia ridotta in povertà.
Dopo qualche anno, ci fu una amnistia per la nascita di una figlia del Re d'Italia o per qualche altro motivo. Giuseppe scrisse felice alla madre, contento perchè di lì a poco sarebbe tornato a casa.
Era allora sindaco uno di Santa Anatolia, si chiamava Luce Alfonso? non ne sono sicura, però faceva parte di quella famiglia. La moglie di costui, venne a conoscenza del fatto che con l'amnistia, Giuseppe Luce, sarebbe stato liberato e andò dalla famiglia Panei e disse loro: "Le sapete, mo liberanu Giuseppo (disse proprio Giuseppo, perchè non era originaria di Santa Anatolia) Luce!"
I Panei si dettero subito da fare, misero in moto tutte le loro conoscenze, con la scusa che dopo la liberazione Giuseppe si sarebbe vendicato, ed a Giuseppe fu negata la libertà. Il colpo fu talmente duro per il pover'uomo che si ammalò e di lì a breve morì di crepacuore.
Questa storia non mancava mai di commuovermi. Immaginavo il poveretto che dalla finestra della sua prigione guardava il mare con il viso solcato dalle lacrime e si disperava, agognando di rivedere il suo paese e la sua famiglia, e, piangevo anch'io, anche perchè la voce di mia madre, arrivata alla fine della triste storia, si faceva particolarmente accorata.
Si dice anche, che una volta un brigante fu ferito in un conflitto a fuoco. I suoi compagni scesero, allora, nottetempo dalla montagna e andarono a bussare alla porta del medico di Corvaro. Il medico apri la porta assonnato, sbadigliando e si trovò la bocca di uno schioppo puntata sulla faccia, il che gli fece passare immediatamente il sonno. I briganti lo bendarono, lo fecero salire sulla groppa di un cavallo e, facendogli fare dei giri tortuosi affinché perdesse il senso dell'orientamento, lo portarono nel loro covo per fargli curare il loro compagno. Il medico fece del suo meglio e, una volta finito il suo compito, i briganti lo portarono in una grotta piena di oro e cose preziose e gli dissero di prendere quello che voleva. Poi lo bendarono di nuovo e facendogli rifare i soliti giri tortuosi lo riportarono a Corvaro. E' da allora, che ad intervalli più o meno lunghi, qualcuno decide di scoprire il luogo dove si trova la favolosa grotta. Ma fin'ora ogni sforzo è risultato vano!
Questa e la storia del “terribile” brigante Giuseppe Luce dal cuore tenero.
Certo qualche particolare può non essere esatto, tipo il nome del sindaco, ma la storia è quella che si raccontava nella famiglia di mia madre che essendo una diretta discendente, doveva essere abbastanza plausibile. Peccato che di persone veramente anziane, ne siano rimaste poche. La storia e le storie di Santa Anatolia, rischiano di svanire nel nulla, sarebbe interessante, invece parlare con le poche persone che ancora possono ricordare cosa era la vita nel nostro paese nel secolo scorso o anche prima. Prima che l’oblio ricopra ogni cosa!
Maria Felicita Luce
15.01.2009
N.d.r.:
La famiglia di Gaetano Luce e Maria Peduzzi
Pasquale Luce | Ascenza D'Orazio | Beniamino Peduzzi 1790 |
Caterina Spera 1784 |
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Gaetano Luce 1811-1878 |
Maria Peduzzi 1814-1897 |
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