Le famiglie Spera e Luce

Gli Spera - I Bravi delle Ville - L'altare di San Giovanni - Spera Pietro fu Filippo fu Francescangelo fu Bonifacio - D'Ascenzo Maria e Piccinelli Pietrantonio - Preludio all'incontro - I Luce - Notizie Settecentesche - Dalla metà del '700 ai primi del '900 - Gli Spera e i Luce - Terremoto del 1915 e Prima guerra mondiale - Il Barone Masciarelli - Il Capitano e suo figlio Pietro - La cambiale avallatata - Fra il 1920 e il 1934 - Spera Domenico e la seconda guerra mondiale - I rifugiati stranieri e l'arrivo dei Tedeschi - La fine della Guerra

Roberto Tupone

Scritto tra il 1979 e il 1986 il testo è un mix di storie raccontate dalla nonna, dalla madre e dal padre dell'autore e da altri anziani di Sant'Anatolia. A corredo delle notizie orali, in alcuni casi, sono stati inseriti approfondimenti ricavati da libri o da fonti d'archivio, e, in altri casi, sono stati inseriti in una unica storia racconti pervenuti da più fonti orali riguardanti lo stesso argomento.

 

1. Gli Spera

Gli uomini della famiglia Spera erano da generazioni dediti alla vita contadina; essi vivevano di pastorizia, allevamento e agricoltura; per i viaggi usavano l’asino e per coltivare ed arare le terre usavano le mucche ed i buoi. Essi campavano con i prodotti della terra e con i prodotti animali. Per scaldarsi d’inverno e per cucinare avevano in casa come in tutti i paesi un caminetto e quasi giornalmente, partivano con l’asino ed andavano a far legna; per tagliarla usavano l’accetta e, ancor più, la Ronga .

Chi aveva almeno un gregge di pecore o di mucche le portava per tutta l’estate in montagna e ogni componente della famiglia, a turno, doveva andare in montagna per stare attento ad esse. Sulle montagne i pastori si costruivano delle capanne in pietra e dal tetto in lamiera. Non esisteva il cemento e non si usava la calce. Per ogni capanna c’era un caminetto (un semplice buco in cima al tetto nella parte dove si era deciso di fare il fuoco) che serviva per scaldarsi, per cuocere e per fare il formaggio.

D’inverno, specie sulle montagne, cade la neve e, per il troppo freddo, le bestie debbono scendere in paese; in inverno le pecore e gli altri animali da pastorizia debbono essere portate al pascolo giornalmente e il lavoro diventa ancor più faticoso. Poi, quando c’è il periodo della riproduzione, il gregge, con tutti gli agnelli, diventa molto numeroso ed il pastore è costretto a volte a rimanere anche dalla mattina alla sera a soccorrere quelle partorienti.

La vita dell’agricoltore invece è più faticosa ma meno impegnativa; tutte le stagioni sono occupate da qualche lavoro, c’è l’aratura, la semina e la raccolta; per il grano c’è la mietitura e la macina; per l’uva c’è la vendemmia e la fabbricazione del vino; non tutte le giornate però sono occupate ma quando c’è lavoro esso è spesso molto faticoso.

Le donne normalmente badavano all’educazione dei bambini, aiutavano l’uomo nei lavori della terra, col telaio tessevano i vestiti, li lavavano e preparavano i pasti alla famiglia. Gli Spera sono sempre stati molto bonaccioni . Fisicamente fra essi si elencano spesso uomini alti, biondi e dagli occhi azzurri e da ciò si può dedurre che siano gente venuta dal nord.

2. I Bravi delle Ville

Non vi sono molte notizie di data anteriore al 1800: un aneddoto tramandatoci oralmente riguardante la famiglia Spera, risalibile al 1650-1700, ci racconta:

"Qualche secolo fa’ in paese c’era una brutta usanza per la quale, quando due persone si sposavano, venivano da Villerose "i Bravi delle Ville" che per provocare scandalo alzavano la gonna delle spose. Si racconta che questi appartenessero tutti ad una famiglia ma forse non erano altro che una semplice banda di delinquentelli. Era il tempo in cui una ragazza "de quissi degli Spera" si doveva sposare. Qualche giorno prima il padre di questa andò a Villerose dai bravi e disse loro: "Faciatevi i fatti vostri" e li intimò a non venire in paese. Il giorno del matrimonio i bravi delle Ville vennero ugualmente. Senonchè, appena uno di essi si avvicinò alla sposa per alzargli la gonna, il padre di ella uscì dalla casa con un fucile a tromba in mano, lo caricò e con una schioppettata lo stese a terra morto. Gli altri bravi fuggirono. Da quel giorno la brutta usanza dei Bravi delle Ville sparì" (1).

3. L’Altare di San Giovanni

Nell’anno 1606 la famiglia Spera fece costruire, nella chiesa di San Nicola a Sant’Anatolia, un altare dedicato a San Giovanni Battista. In quel tempo era una usanza comune costruire altari nelle chiese a spese dei privati. Gli altari rimanevano intestati ed ereditati dai discendenti del primo fondatore e questa operazione veniva denominata Jus patronato . Di solito insieme all’altare il patrono dava in dote allo stesso delle terre di cui poi beneficiavano i sacerdoti per il mantenimento; i sacerdoti beneficiati venivano obbligati a ricambiare il servizio soddisfando delle messe in onore del fondatore.

L’altare di S. Giovanni Battista era quindi di jus patronato della famiglia Spera ed il sacerdote usufruitore delle terre ed addetto al mantenimento venne vincolato con il dovere di soddisfare dodici messe all’anno. Nel 1712 il beneficio era goduto dall’abate don Giacomo Silvy. Il 27 aprile 1828 l’altare, allora senza pietra sacra , era beneficio dell’abate don Pietro Placidi. Il 7 luglio 1835 l’altare era ancora di beneficio di don Pietro Placidi ed il valore della dote (beni immobili) veniva calcolato in 4 ducati annuali (?). L’altare veniva mantenuto dal cappellano; Il 22 maggio 1851 il beneficio veniva considerato dal Vesc. Carletti Cappellania manuale ; il 17 giugno del 1874 era goduto da don Franco Giorgi di Sante Marie della Diocesi de’ Marsi; nel 1881 morì don Franco Giorgi ed essendo il beneficio rimasto nullatenente nessuno ne’ fu più investito. Cosa era successo ? Il 22 agosto 1897 Ms. Quintarelli nelle memorie della visita nella sua diocesi scriveva: "Beneficio o cappellania di S. Giovanni Battista, eretto in altare omonimo nella parrocchiale, bollar.anno 1606 pag.42: è juspatronato della famiglia Spera. Questo diritto dagli Spera sembra sia andato in Giuseppe Scafati e sorella. Il patrono (o patroni) ha svincolato i beni (parte di questi furono venduti nel principio del secolo) per £.250; dunque i beni rimasti valevano perlomeno £.800; dopodiché li alienarono; e le messe 12 di cui era gravato il beneficio non sono state applicate dal 1881, epoca in cui morì l’ultimo investito, Sig. Francesco Giorgi extra diocesano." Nel 1897 nell’altare era dipinto un affresco (raffigurante sicuramente S. Giovanni Battista) quasi del tutto rovinato e per questo motivo al suo posto davanti era stata posta una tela con cornice dorata e molto grande raffigurante la SS. Immacolata, con S. Agnese vergine e martire ed alcune fanciulle (le figlie di Maria). In quel tempo nessuno pensava più a mantenerlo. L’ultima notizia che si ha di questo altare è del 26 agosto 1903 quando Ms. Quintarelli scriveva: "Legati a carico del beneficio di S. Giovanni Battista: La famiglia Spera deve far celebrare 12 messe annue pel detto beneficio. Dice il sig. Abate (Don Giambattista Panei) che queste messe non si celebrano più da molti anni e non vi è più speranza che si soddisfi più perché il patrone ha venduto i beni, e se ne è andato in America."

4. Spera Pietro fu Filippo fu Francescangelo fu Bonifacio

Il 27 agosto 1826 a S. Anatolia, dal padre Bonifacio e dalla madre Santa (2), nasceva Spera Francescangelo. Circa nel 1857 Francescangelo (3) (chiamato Franciscagnu), agricoltore e pastore, si sposava con Innocenzi Angelica; questa coppia molto serena ebbe tre bambini: nel 1858 nacque Filippo, nel 1863 circa nacque Santa (4) e nel 1869 nacque Erasmo. Filippo, verso il 1885, sposò Piccinelli Giovanna (5). Il 30 dicembre del 1886 ebbero il primo figlio a cui misero nome Pietro Antonio (a ricordo del padre di Giovannina). Egli aveva i capelli e occhi castani: "somigliava soprattutto alla madre."

5. D’Ascenzo Maria e Piccinelli Pietrantonio

D’Ascenzo o D’Ascensis Maria ebbe una discendenza un poco complessa dal fatto di aver avuto un amante e più mariti. Per questo motivo voglio narrare la storia della sua vita per chiarire una volta per tutte la divisione delle sue figliolanze.

Spulciando fra gli Archivi della chiesa parrocchiale di San Nicola di Bari in Sant’Anatolia di Borgorose (RI) trovai il suo nome come D’Ascensis Maria: ella nacque a Corvaro il 24 febbraio 1829 dal padre Franco e dalla madre Antonia. Verso il 1855 ella fu al servizio come cameriera tuttofare dell’abate-parroco (forse non lo era ancora abate) don Costantino Placidi, figlio dei più ricchi e potenti signori di Sant’Anatolia. Mariuccia sicuramente in quei tempi era molto attraente, giovane e forse ingenua, fatto sta che ebbe una tresca coll’abate e dalla relazione ne rimase incinta di un figlio maschio. La famiglia Placidi si impose sulla scena e per evitare lo scandalo obbligò Mariuccia a mantenere il segreto sulla paternità del bambino. Quest’ultimo fu dichiarato illegittimo e gli fu dato il nome di circostanza di Esposito Antonio (6). Ma in un paese tanto piccolo, dove la gente si conosce tutta, la notizia della vera paternità del bimbo è difficile da nascondere e difatti essa si sparse e volò veloce di bocca in bocca; poi, il fatto che Antonio già da bambino, veniva accolto dal vero padre molto affettuosamente e veniva invitato a giocare con i figli del sig. Placidi, era un motivo ancor più valido per far capire ai maligni la vera indentità paterna del figlio di Maria. Esposito Antonio sin da bambino venne così soprannominato dagli amici e dai nemici: "Antoniuccio de’ Costantino", nome col quale i vecchi di oggi si ricordano di lui.

Circa nel giugno del 1859 Mariuccia D’Ascenzo (allora ragazza-madre) di circa 30 anni, ebbe una relazione con Piccinelli Pietrantonio di Sant’Anatolia (7). Pietrantonio era il garzone di Costantino Placidi e probabilmente fu quest’ultimo a spingere per fare quel matrimonio.

C’è un ricordo sul padre di Pietrantonio Gabriele ora tramandato in forma di barzelletta che dice:

"Un giorno c’era stata una lite fra Gabriele ed un altro signore a me sconosciuto. A Sant’Anatolia c’era un’usanza che, quando venivano i missionari, essi, al termine del cerimoniale, chiamavano ad uno ad uno gli uomini del paese che avevano dei contrasti con altri e cercavano di portare la pace. Alla fine della messa, allora, il missionario cominciò a chiamare i litiganti. Per i paesi le notizie girano facilmente ed egli, sapendo della lite che era in corso fra Piccinelli Gabriele e l’altro, lo chiamò all’altare dicendo: Gabrielone, ti Chiama il Signore !!!. E Gabriele, che assolutamente non voleva far la pace con l’altro, rispose: Dingi che non ci stenghe !!! e uscì dalla chiesa fra le risa della gente."

Pietrantonio e Mariuccia si sposarono legalmente e il 26 marzo 1860 ebbero la prima figlia Anatolia. Quel periodo fu abbastanza sereno per Maria e prospero di figliolanza: il 27 agosto 1861 nacque loro il secondo figlio a cui fu posto il nome di Luca Antonio. Il 25 febbraio 1863 nacque finalmente Piccinelli Giovanna (la mia vecchia bisnonna). Giovanna fu battezzata il 27 di febbraio dal Reverendo Canonico J: Scafati e non da Costantino Placidi e ciò fa capire il rapporto strano che c’era fra l’abate e la famiglia Piccinelli. Madrina di Giovanna fu Angela Maria figlia di Antonio Colabianchi della terra di Rosciolo (8).

Nella notte fra il 7 e l’8 giugno 1863 una banda di circa trenta briganti "la banda di Cartore" bussò alla porta del palazzo di don Costantino Placidi chiedendo del pane; questi ordinò al garzone Pietrantonio Piccinelli di aprire il cancello e di dare il pane ai briganti. Era invece una trappola poiché i briganti, entrati, misero a sacco il palazzo e rubarono tutto quello che poterono. Dopo il sacco i briganti della "comitiva", che scorrazzavano sul monte di Cartora, presero la strada che conduceva a Rosciolo. Tenevano sequestrati il parroco Placidi ed i suoi garzoni Pietrantonio Piccinelli e Domenicantonio Luce. Dopo aver percorso circa un miglio di strada, i briganti rilasciarono il Placidi e il Piccinelli mentre il Luce, portato a spalla fin sul monte di Cartora un sacco contenente cacio, fu rilasciato la mattina dell’8 giugno. Costantino Placidi fu rilasciato a condizione che avesse sborsato entro 24 ore ducati 1.000 e che non avesse fatto denunzia del sacco sofferto.

Il Placidi si rifugiò a Luco e lì ricevette i biglietti che qui sotto riportiamo:

"Gendilissimo signiore D. Costantino, sono a precarvi amandare tutto ciò che avete promesso. Se volete riavere tutto ciò, che avemo presso di noi, vi preco di non mangare, appena ricevete il spetito. Se: non mi corrispontete subbite; quello che è stato fatto non è niente. Penngate per la venire -- adio"

Costantino Placidi ricevette questo primo biglietto scritto ad inchiostro per mezzo di Candido D’Ascenzo. Al D’Ascenzo il biglietto era stato dato da Pietrantonio Piccinelli, che l’aveva ricevuto da Gaetano di Cristoforo, porcaro. Dal biglietto si arguisce che i 1.000 ducati pretesi dai briganti all’atto del rilascio del parroco Placidi dovevano servire per riscattare la refurtiva.

Ma, era molto da dubitare sulla volontà di restituzione degli oggetti rubati, prontamente divisi fra i componenti della banda brigantesca.

"Stimatissimo amico, non appena o ricevuto il biglietto, mi sono carrmato il sague, perché mi era esposto a farvvi un grosso tispiacere. Basta che voi corispontete a tutto ciò che sie tette, agora si erano esposti per uccitere le quindici giumente che stavano lo vostro casino, ma jo non ho fatte tochare per ora e per sempre, atteso la vostra parola. Voi mi dite che vi dica il posto dove ci troviamo. Io non posso assicurare il posto preciso ma vi assicuro a una ora fatto giorno dovete mandare lo spetito abbocca di Teve, non trovantoci al tetto posto, si porrta al vostro casino, e là deve attentere, e sia una perrsono sicura che ve ne potete fitare. Non mangare, sia subbito per riavere li vostri ogetti."

Il bigliettino è scritto ad inchiostro della stessa mano che ha compilato il primo biglietto. Anche il biglietto in questione fu recapitato al parroco Placidi da Candido D’Ascenzo, che lo aveva avuto da Pietrantonio Piccinelli. Il biglietto in questione mostra che il prete Placidi aveva iniziato approcci con i briganti per ottenere la restituzione degli oggetti rubatigli.

E’ possibile che il Placidi avesse iniziato tali approcci semplicemente per acquistar tempo, e, così evitare danni alle proprietà.

"Il Capobricante Guivanni Colauti. Carissimo abate, la vostra parola è stasta mancante. Noi avemo aspettato da jo avanti per sapere la vostra risposta. Fanne asapere se è di si, o di no, come voi mandasti adire, senò pezeremo noi altri asari e riceverete altri asari, di dispaceri, noi siamo cotenti che avete messala forza al casino. Ciricortevi della promessa quando tirilascesimo".

ll bigliettino è stato scritto ad inchiostro da mano diversa da quella che ha compilato i primi due biglietti.

Il biglietto fu recapitato al parroco Placidi verso la fine del giugno 1863 da Pietrantonio Piccinelli, che l’aveva avuto da Carlo Giuseppe Luce. Questi aveva avuto il biglietto da Antonio Peduzi, cavallaro comunale di S. Anatolia. Il biglietto rappresenta la conferma che il parroco non inviò il denaro richiesto dai briganti per ottenere la restituzione della refurtiva. Così, solo in tal senso, bisogna accettare la noncuranza completa che il parroco asserì aver avuto nei confronti dei biglietti pervenutigli.

Le autorità giudiziarie guardavano alle cronache brigantesche come a storia delle malvagità che individui riuniti in banda armata, delinquendo contro le proprietà e le persone. commettevano in obbrobrio della legge !, e, con l’intento di isolarne il fenomeno, tendevano ad arrestare al semplice sospetto di connivenza o di favoreggiamento.

Pietrantonio Piccinelli il 27/06/1863, fu arrestato, con mandato di cattura spiccato dal giudice istruttore presso il tribunale del circondario di Aquila, sotto l’imputazione di associazione a banda armata, e grassazione. Il motivo in particolare dell’arresto fu che egli avrebbe aperto il cancello ai briganti per permettere loro di saccheggiare il palazzo Placidi. Il 04/07/1863, Mariuccia allora era incinta del quinto figlio, durante il viaggio di traduzione dal carcere di Fiamignano a quello di Cittaducale, Pietrantonio Piccinelli morì per apoplessia cerebrale nel "Casale Pallante". Nelle tasche della giacca gli fu rinvenuta la seguente lettera:

Stimatissimo signore D. Costantino, vi fo conoscere lottimo stato di mia buona salute come spero che si di voi
e di tutta la nostra famiglia. Vi fo conosciere che in carcere io ci soffrisco assai,
dunque lo prego di fare limposibele di aiutarmi. Signore, io per fare sempre la vostra volontà mi ratrovo
dentro a queste prigioni, dunque adesso è il tempo di spentere il denaro, perché colle denaro si fa tutto.
Voi ne imprestate tanto quasi senza custo, adesso, se ne spentete pochi perme, credo che ci sia un poco di custo;
e per la coscienza, se voi conziderate che io non ci sto per corba mia, ma bensì per corba vostra, che,
se voi non mi ordinavi di carcilo, io certe sie che non saria caduto in questa desgrazia.


Nella sua dichiarazione del 21 aprile del 1864 Costantino Placidi asseriva: "Simili precisioni non furono date ad arte nelle precedenti dichiarazioni pel solo riflesso di non inciampare io nei rigori della legge Pica; e mi misi di accordo col detto garzone Piccinelli, onde dichiarasse egli di aver da sé aperto il portone ai briganti, mentre con mio desiderio che si menasse il pane dalla finestra" (9)

Il 10/02/1864 dopo circa di sette mesi dalla morte di Pietrantonio Mariuccia partoriva il suo quinto figlio (quarto di Pietrantonio) a cui diede il nome di Ettore. Verso il 1865-8 Mariuccia risposò il fratello di Pietrantonio più giovane di lei, Domenico Antonio Piccinelli (n.3/9/1832). Da quest’ultimo ebbe due figli: Pietro e Raffaella (nati fra il 1865-’71).

Verso l’anno 1873 Maria D’Ascenzo, protagonista di questa storia, moriva fra i pianti dei suoi sette figli (uno dell’abate, 4 di Pietrantonio, 2 di Domenico). Più tardi, a complicare ancor più questo intrigo di figliolanze, intervenne una donna forse del Corvaro, Gentile Maria; ella si innamorò di Domenicantonio Piccinelli ed i due, alcuni anni dopo la morte di Maria, si risposarono (ca.1875). Fra gli anni 1875-’84 ebbero tre figli Vittoria, Cesira e Giovanni Piccinelli. Il 12/08/1885 con la nascita dell’ultima figlia Berardina si concludeva quella pazza strana storia.

Da Berardina, l’unica che ho conosciuta, con cui ho parlato nell’estate del 1981 quando aveva ben 96 anni, da mia nonna Luisa, da mia madre, dai parenti, dalle note del libro di Luciano Sarego "Reazione e brigantaggio nel Cicolano, e dalle testimonianze dell’archivio di S.Anatolia di Borgorose (RI), nella parrocchia di S. Nicola di Bari, ho saputo tutte le sopraddette notizie.

6. Preludio all'incontro

Nei primi mesi del 1897, Giovanna era incinta, Spera Filippo che si trovava in campagna ebbe una violenta lite con un uomo del paese, "uno de quissi De Micigliu" (De Amicis). La disputa riguardava i confini di un terreno presso le Piemaranu. Filippo che non era abituato a queste arrabbiature, si sentì male e tornò a casa: aveva avuto un attacco cardiaco. Filippo morì poco dopo all’età di 39 anni. Erasmo il fratello più giovane corse per vendicarlo ma l’altro era già fuggito. Pietrantonio aveva assistito all’età di dieci anni a questa tragedia. Il 9 maggio dell’anno 1897 Piccinelli Giovanna figlia di Mariuccia e di Pietrantonio partorì e diede alla luce un secondo figlio maschio a cui fu posto nome Filippo a ricordo del padre.

Giovanna aveva 37 anni. Erasmo era alto, biondo e dagli occhi azzurri. Veniva chiamato Rasimuccio. Egli risposò Giovanna, più grande di lui, e da lei ebbe un figlio che morì appena nato (c. 1900).

1936 - Eredità - 1917 - Eredità
Documenti della divisione dell'eredità:
1936: Eredità di Pietrantonio Piccinelli e Mariuccia D'Ascenzo > ai nipoti
1917: Eredità di Filippo Spera > alla moglie Giovanna Piccinelli ed ai figli

La casa della famiglia Spera si trovava nella piazza in cui si trova la chiesa nel paese di sopra (in via della fonte al n° civico 2, di piani 1 vani 2) ; vicina alla loro casa abitava la famiglia Luce composta dal padre Domenico (10) , dalla madre Peduzzi Vincenza (11) , e dalle figlie Luisa ed Angelina. Fra le due famiglie c’era un rapporto di reciproca amicizia.

7.  I Luce

Gli uomini della famiglia Luce erano da generazioni dediti alla vita contadina. Essi vivevano coi prodotti della terra ed allevavano alcune specie di animali. Il compito delle donne era normalmente quello di educare i bambini, aiutare l’uomo nei lavori della terra, tessere e lavare i vestiti, preparare i pasti alla famiglia, e, spesso, specie nelle famiglie di pastori in cui l’uomo doveva stare per mesi sulla montagna, la donna doveva dirigere anche la contabilità come le vendite di puledri, di formaggi, di latte, di grano, ecc...

La gente dei Luce è sempre stata molto bonaria, ma anche molto testarda (quando si impuntavano su qualcosa in cui credevano, era difficile smuoverli). Pare, ma da fonti non troppo certe, che essi provengano dalla vicina regione delle marche.

8. Notizie settecentesche

Non vi sono molte notizie in data anteriore al 1800; si sa solo che, da documenti esistenti presso la Diocesi di Rieti, i Luce vivevano a S.Anatolia per lo meno dai primi anni del ‘700: infatti, nell’anno 1712, ms. Guinigi vescovo di Rieti, elencando i sacerdoti della parrocchia di S. Anatolia, scriveva:
"... XVI) In detta parrocchia vi sono sei Sacerdoti con l’abbate e due chierici cioè: don Giovanni Antonini abbate; don Leonardo Placidi, e don Franco Antonio Luce canonici; don Alessio Innocenzi e don Tomasso Luce sacerdoti senza beneficio; e Bernardino Luce e Vincenzo Innocenzi chierici. Tutti vanno in abito e tonsura e servono alla medesima chiesa eccettuato don Tomasso Luce ch’è fuor di Diocesi ... Più avanti, elencando la situazione generale nel villaggio di S. Anatolia, soprattutto i problemi di natura ecclesiastica, scriveva: " ... XXIII) La mamma [= l’ostetrica] è stata esaminata et in caso di bisogno è prattica della forma del battesimo si chiama Margarita Fracassi e sono da otto anni che esercita. XXIIII) Amico Di Federico e Beatrice Luce solamente non si sono comunicati fin hora ... - Il 25 agosto 1783 ms. Marini, vescovo di Rieti, scriveva: " ... il curato o abbate è in oggi don Germano Amanzi. Li preti sono .... don Agapito Placidi d’anni 84 canonico .... Don Gennaro Luce d’anni 70 canonico come sopra .... Don Urbano Innocenzi d’an. 50 di poco buoni costumi, e ignoranza, e ..... Don Arcangelo Amanzi dedito al vino, ... anche i costumi sono cattivi. Luigi Placidi chierico di anni 18. Francesco Maria Luce e Carlo Scafati nuovissimi inabili ..."

Quindi di Luce nel 1712 ce n’erano abbastanza a S. Anatolia visto che ben tre di essi erano ecclesiastici, ma, la dicitura "fuor di diocesi" , che nel 1712 definiva don Tommaso Luce, ci potrebbe far supporre che fu in quel periodo che i Luce vi giunsero, venendo forse, come dice la tradizione, dalle marche.

9. Dalla metà del ‘700 ai primi del ‘900

A Sant’Anatolia circa nel 1750 nacque Luce Maurizio di cui i più vecchi ricordano solo il nome. Egli sposò Luce Vincenza ed ebbe due figli: il 13 aprile 1774 nacque Pietropaolo ed il 21 febbraio 1784 Antonio; essi sposarono due sorelle figlie di Luce Vincenzo e di Innocenzi Giovanna, e cioè Luce Michelina (nata il 30 aprile 1783) e Luce Giacinta (nata il 15 agosto 1786). Pietropaolo e Michelina fecero figli e figlie. Antonio e Giacinta, ebbero tre figli: il 15 febbraio 1816 nacque Raffaele, il 5 aprile 1823 nacque Maurizio e il 29 aprile 1825 nacque Francesco.

Raffaele sposò Rubeis Francesca e Maurizio sposò Federici Gemma (nata il 5 marzo 1823); i festeggiamenti per le nozze di quest'ultimi furono maestosi ed ancora oggi si ricordano. Infatti è stato tramandato il detto, usato soprattutto per intromettersi quando si sentono discutere delle persone animatamente ed a lungo: "che state parlando delle nozze di Maurizio ???" (12). Ambedue le coppie fecero figli e figlie.

Verso il 1855 Luce Francesco sposò Spera Giovannagata (13); essi ebbero cinque figli: il 27 febbraio 1856 nacque Antonio (14); il 5 dicembre 1857 Maria (15) ; il 29 settembre 1860 Caterina; circa nel 1861 Giacinta; e il 7 giugno 1863 Domenico.

Nella primavera del 1892 Luce Domenico sposò Peduzzi Vincenza figlia di Angelantonio e di Cimini Chiara (16). Essi andarono ad abitare (ereditando la casa) nella piazza in cui si trova la chiesa di S. Nicola di Bari (nel paese alto). Il 30 aprile del 1893 nacque loro la prima bambina a cui misero nome Luisa; sette anni dopo, nel 1900, nacque loro una seconda figlia, a cui misero nome Angela rallevando il padre di Peduzzi Vincenza. Vicina alla loro si trovava la casa della famiglia Spera, composta da Spera Erasmo (Rasimuccio), da Piccinelli Giovanna (la moglie) e dai figli Pietrantonio e Filippo. Circa nel 1910 Domenico assieme a Pietrantonio Spera, emigrarono in America per poter lavorare. Domenico vi rimase per sempre: per alcuni anni continuò a mandare denari alla famiglia, poi le sue notizie si fecero sempre più rare. Negli anni fra il 1910-13 in cui alla famiglia Luce mancava un uomo che le aiutasse nel mantenimento, le figlie di Vincenza ed anche lei stessa, si arrangiavano come potevano, e fra l’altro, vendevano delle calzette che loro stesse nelle lunghe notti solitarie facevano con i ferri.

10. Gli Spera & i Luce

Pietrantonio nel 1913 tornò a Sant’Anatolia; aveva fatta fortuna con molti sacrifici. Egli, nel febbraio del 1914 sposò la figlia più grande di Luce Domenico, Luisa, che aveva allora 20 anni. Le loro nozze furono molto rinomate: Luce Giovanni, cugino di Luisa, tornò persino dall’America per assistere al matrimonio, e, sempre lui per festeggiare, gettò, non come normalmente delle semplici manciate di confetti, ma sacchi e sacchi di questi dolci.

Con i soldi riportati dall’America, Pietrantonio si costruì una palazzina a tre piani, con scale esterne, stalle, fienile, molte camere e terrazzi. Il 30 dicembre 1914 nacque loro una figlia a cui misero nome Angela (rallevando Angelica ed il marito Francescangelo genitori di Filippo ed inoltre il padre di Vincenza, Peduzzi Angelantonio).

11. Terremoto del 1915 e prima guerra mondiale

Però la fortuna non era ancora dalla loro parte: Nel 1915 vi fu il famoso terremoto che distrusse tutta la zona circostante al lago Fucino e che fece circa 25.000 vittime. Chi conosce la zona sa che S.Anatolia si trova a soli 15 Km. dal Fucino. La palazzina di Pietrantonio era molto resistente ma non abbastanza per una simile scossa sismica. Tutte le scalinate ed i terrazzi caddero ma fortunatamente nella famiglia non vi furono morti. Questa palazzina, come molte altre, fu considerata pericolante e venne abbattuta da operai del comune. Da allora la famiglia, con anche Rasimuccio, Giovannina e Vincenza si rifugiò in baracche e tendaggi. Nel 1921-22 il comune fabbricò varie case antisismiche in cui loro poterono entrarvi solo nel 1924 occupandole abusivamente. A S.Anatolia a causa del terremoto vi furono circa 86 vittime.

Sempre nel 1915 scoppiò la prima guerra mondiale e Pietrantonio dovette arruolarsi. Egli partecipò alla guerra e fu nominato Cavaliere all’Ordine di Vittorio Veneto. In particolare Pietrantonio partecipò alla campagna Italo-Tedesca e A.O.I. (Africa Orientale Italiana) col grado di C.N.S.

1940 - Tessera Ass. Naz. Combattenti 1970 - Conferimento carica di Cavaliere a Spera Pietro 1919 - Lapide ai Caduti 1915-1918 di S. Anatolia

Nel 1918 tornò a S. Anatolia e l’11 maggio 1919 gli nacque il primo figlio maschio che chiamò Francesco a ricordo di Francescangelo e del padre di Luce Domenico Francesco.

Senza data - Francesco Spera Senza data - Francesco Spera

Francesco Spera di Pietrantonio e Luisa Luce

Nel 1919-20 giunse dall’America la notizia dell’infelice morte di Domenico che tolse alla moglie la speranza di rivederlo. L’anno dopo (1921) nacque il secondo figlio maschio a cui si volle dare il nome del padre di Luisa, Domenico.

12. Il Barone Masciarelli

Sebbene l’ignoranza presso i paesani era molto intensa, si citano dei fatti che ci fanno molto pensare: c’era gente che ad ogni costo, con modi spesso violenti ed organizzati, cercava di ribellarsi alla volontà dei Signori ed alle ingiustizie dei Governanti. Questi paesani venivano sempre messi da parte nei problemi della Provincia e venivano ricordati solo quando c’era da andare in guerra o c’era da pagare le tasse. Durante gli anni del dopoguerra circa 1919-20 la fame in quei paesi era molto intensa e non c’era abbastanza fieno per sfamare il bestiame. I paesani allora, per risolvere questi problemi, mandavano le mucche (tutte quelle del paese assieme) in terreni più fertili anche se non di loro proprietà. Il più grande proprietario, in quei dintorni, era il Barone Masciarelli. Egli possedeva, da Magliano de’ Marsi fin presso Torano (lungo il corso del fiume Salto), quasi tutti i terreni più fertili della zona. La sua fattoria stava a S. Biagio vicino alla valle della Maddalena. Un giorno le mucche di S. Anatolia, pascolando, giunsero nelle sue terre. Era una mandria molto numerosa ed il barone, con la scusa che si trovava nelle sue terre, la portò nelle sue stalle a Magliano.

Quella mandria era la primaria fonte di sostentamento per il paese: dalle vacche si ricava il latte, dal latte il formaggio, il burro, la ricotta; senza vacche l’aratro è inservibile e inoltre la carne dei vitelli e buoi è molto nutriente. Quando seppero del furto i paesani, molti dei quali erano appena tornati dalla guerra, si organizzarono: presero bastoni, forconi, ed armi simili, si misero in sella ad asini e cavalli, e partirono verso S. Biagio decisi a riprendersi il bestiame.

Rasimuccio era fra i capi di questa banda: "...Era alto, biondo e aveva un bastone in mano".

A S. Biagio tutti per paura si erano nascosti. Quando i paesani videro che nelle stalle non c’erano bestie si misero a cercare il barone gridando minacce: lo cercarono in casa, persino sotto il letto, nelle stalle, ecc. ma non c’era. Le guardie del barone, impaurite, dissero subito loro dove si trovavano le vacche e questo per evitare che si facesse del male a Masciarelli. Tutti i paesani lasciarono S. Biagio ed andarono verso Magliano de’ Marsi. Lì la notizia dell’imminente arrivo di quella banda si era già propagata e fra i maglianesi si sentivano delle urla impaurite come: "... Currate, arrivano quissi de’ Sant’Anatoglia !!!".

Riprese le bestie, i paesani tornarono verso il paese fieri di ciò che avevano fatto; a metà strada però, contandole, si accorsero che mancava un asino e tutti, tranne alcuni che rimasero di guardia alla mandria, tornarono di nuovo a Magliano per prendere l’unica bestia rimasta. Tutti insieme per aiutare uno solo di loro (Fra i tanti che parteciparono a questa scorribanda vi furono: Rubeis Vincenzo, Spera Pietrantonio, Spera Filippo, etc.)

13. Il Capitano e suo figlio Pietro

Una sera il sindaco di S. Anatolia, Giuseppe Panei, invitò Rasimuccio in casa sua. Gli aveva preparata una piccola sorpresa; il Sindaco, ricordandogli delle sue piccole imprese, lo nominò, (scherzando) fra la gioia dei paesani, "Comandante di Sant’Anatolia" . Rasimuccio già veniva chiamato Il Capitano e da allora questo appellativo si rinforzò e gli fu dato per tutta la vita.

Il 1 gennaio del 1921 Pietrantonio Spera si iscrisse alla Associazione Nazionale Combattenti, lo stesso anno il fascismo andava al potere. Nel 1940 (anno fascista XVIII°) Pietrantonio rinnovava il tesserino e questo col n.323184 ancora oggi si possiede. Il rinnovo avvenne ancora nel 1946 (tessera n.378724) nel 1961 (tessera n.869426 Associazione Nazionale Combattenti e Reduci). Nel 1959, il 18 marzo, Pietrantonio si iscrisse o rinnovò l’iscrizione all'Associazione Nazionale Famiglie, Caduti e Dispersi in Guerra' nella qualità di Padre del caduto Spera Domenico (di cui parlerò oltre) con tessera n.332802 che ancora si possiede. Nel 1969 sempre Pietrantonio si iscrisse alla Comunità di Lavoro con tessera n.31398.

14. La Cambiale avallata

Verso l’anno 1925 successe un fatto molto sfortunato per la famiglia: Maddalena (17), cugina di Pietrantonio, si sposò con un certo Amedeo Fortuna. Essi volevano emigrare in America, ma non avevano abbastanza soldi per il viaggio. Allora chiesero un prestito al fratello di Amedeo che volle però in garanzia una cambiale avallata (l’avallo è una garanzia per il pagamento della cambiale; se la cambiale non viene pagata dal debitore, l’avallante dovrà pagare per esso).

Essi andarono allora da Pietrantonio e chiesero a lui di fare da avallante. Pietrantonio non ne voleva saper nulla di metter la firma sulla cambiale, ma con varie scuse ed insistenze, ed ignaro di ciò che poteva succedere, accettò in buona fede con la cugina. Appena firmata la cambiale, Giuseppe, il fratello di Amedeo, disse (con aria ironica): "...Eh’ Pietruccio mio, se non paga Amedeo, pagherai tu !!!". A queste parole Pietrantonio capì di essere stato ingannato, e lo picchiò, ma ormai il danno era stato fatto.

1925 - Scrittura privataC’è un documento che io conservo datato 12/10/1925 che sembra avere qualche relazione col fatto accaduto e qui di seguito lo riporto anche se non se ne capisce bene il significato:

Lanno 1925 il giorno 12 Ottobre in S. Anatolia. Il Sottoscritto Ameteo Fortuna fu Francesco Riceve la scrittura fatta e firmata da tutti tre i sù convenuti copagni cioè Spera Pietro e Rubeis Francesco atutte loro la richietono il Fortuna la deve presendare a i copagni. Fortuna Amedeo, Spera Pietro, Francesco Rubeis, Antonio Luce testimonio.

Maddalena ed Amedeo emigrarono ma lì non ebbero fortuna. Pietrantonio non ricevette mai quei soldi e dovette vendersi le bestie ed alcuni terreni per pagare. Quel periodo fu molto triste. Egli dovette far molti debiti. Piccinelli Luca, per ripagarsi del male che aveva fatto la figlia, diede a Pietrantonio alcuni terreni che per eredità dovevano toccare a Maddalena, non bastanti però ad estinguere il debito. Infine Pietrantonio riuscì a sdebitarsi e la sua famiglia a poco a poco si riprese.

15. Fra il 1920 e il 1934

Nel 1920-’24 il fratello di Pietrantonio, Filippo si sposò con la sorella di Luisa, Angelina; essi ebbero cinque figli. Il 10 ottobre del 1924 nacque a Pietrantonio e Luisa la seconda figlia che, per devozione verso la santa del paese, fu chiamata Anatolia. Intanto Angela, la primogenita, aveva smesso di andare a scuola e già aiutava la mamma nei lavori di casa. Francesco invece aveva iniziato le elementari che avrebbe smesso dopo pochi anni. In quel tempo, poter andare a scuola, era un lusso solo per i ricchi ed era già molto se un contadino mandasse i propri figli alle elementari. Per questo motivo l’ignoranza era trionfante.

Il 14 novembre 1926 nacque la terza figlia che per metter un po’ d’allegria alla casa fu chiamata Gioconda. Il 17 gennaio 1929 nacque il terzo figlio maschio che rallevò Rasimuccio col nome Erasmo (chiamato Remo). Il 24 luglio 1932 nacque la quarta figlia che rallevò la madre di Luisa col nome Vincenza. Il 13 novembre 1934 nacque la quinta figlia (mia madre) che rallevò la madre di Piccinelli Giovannina col nome di Maria. In tutto, Pietrantonio e Luisa, ebbero otto figli. Cinque femmine e tre maschi. Nel 1934 Angela, la maggiore, si sposò con Rubeis Vincenzo, e l’anno dopo ebbe il primo figlio a cui mise nome Piero. Verso il 1926 Peduzzi Vincenza (la madre di Luisa) ebbe una paralisi che poi guarì; 8 anni dopo, nel 1934 morì di morte naturale (aveva 75 anni).

1937 - Pietro Antonio Spera

1937 Carta d'identità di Pietrantonio Spera

Nel febbraio del 1939 alla vigilia della guerra Pietrantonio e Luisa festeggiavano le loro nozze d’argento dopo 25 anni di matrimonio, in cui si erano alternati momenti di felicità e di dolore, ma il peggio doveva purtroppo ancora venire.

16. Spera Domenico e la seconda guerra mondiale

Nel 1939 anno scoppiò la II° guerra mondiale (1939-1945). Spera Domenico figlio di Pietrantonio si arruolò, aveva appena 18 anni. Egli era un soldato semplice e fu mandato a svolgere il suo servizio nei confini fra l’Italia e la Iugoslavia.

1943 circa - Battaglione Carabinieri - Domenico Spera 1943 circa - Battaglione Carabinieri - Domenico Spera

Battaglione Carabinieri - Domenico Spera

Nell’intervallo di tempo fra il 1939-1945, Domenico scrisse molte lettere a cui la famiglia rispondeva. Di queste lettere ne sono rimaste cinque che recitano così:

1943 - I lettera di Domenico Spera1) - Fiume lì 12-1-’43. Miei carissimi.
Sono veramente felice riguardo i Nostri scritti, ma un po’ di timore provo per la situazione che ora ci troviamo, specialmente per Voi cari. Solo Iddio, oh! miei familiari, ci potrà aiutare, di resto tutto si spera in lui. Come ripeto mi congrado con grande piacere alla vostra salute, che mi fate noto nella lettera, altrettanto vi faccio nota del mio stato che si trova in perfetta salute grazie a Dio. Carissimi mi fate sapere qualche cosa di nuovo ? Almeno sottinteso ? Qui si sta tranquilli, meglio di qualche altro posto fin’ora. Non ho cose da dirvi, solo mi auguro una buona salute acciocché un giorno felice ci possiamo rabbracciarsi, sarà quel giorno ? Lo spero.
Saluti a tutti i parenti.

1943 - II lettera di Domenico Spera2) - Fiume 6-3-’43 XXI°. Carissimi
Son già parecchi giorni che aspettavo le Vostre amate notizie, per dirvi più di tutto qualche novità molto interessante: Sentite cari, come sapete, che da molto tempo la mia idea si dirigeva al suo avvenire, per soddisfarsi quanto pensava. Quinti ora posso comunicarvi, che io sto raggiungento le mie famose idee, cioè quello di (studiare) ora ne sono al corrente, spero che tutto mi vada bene. Voglio dirvi però miei cari, che me se ne vanno parecchi soldi e non so se potrò tirare avanti con i miei, io spero che se ne ho bisogno, mi aiutate anche voi cari. Sappiate pure, che solo per comperare i libri c’è voluto 300 lire ora potete immaginarvi quanto sto a fare al meglio possibile, per altro soldi non ne sciupo, non faccio altro, che andare di servizio e studiare, voglio dirvi tutto, il maestro che mi fa scuola mi viene a costare 200 lire al mese, quanto di più e quanto di meno a secondo le volte che vado; la mia paga normalmente è di £. 370 al mese. Così dicendovi tutto vi regolate anche voi, la vita che faccio io. Altro non ci ho da dirvi, per il fatto di Gina mi ha scritto ancora 5 cartoline ed una lettera ma io non ci ho risposto a nessuna. Voglio esser tranquillo per il momento. Spero solo che il buon Dio ci aiuti e ci mantenca la salute bene conservata a sé. Vi saluto affettuosamente chi vi vuole bene vostro figlio aff.mo Domenico (Rispondete subito) (Non date tanto la voce di questo che vi ho detto)

1944 - III lettera di Domenico Spera3) - Fiume lì 9-2-’44. Carissimi.
Giorni fà ho scritta un’altra lettera nella quale vi ho fatto nota dell’attesa dei vostri scritti, finalmente ora con massima gioia ho fra le mie mani una graditissima lettera da voi scritta, giorno 7-1-44. Solo in sostanza questa lettera è un po’ disaggiata, in quanto mi fate nota del vostro forte pensiero, ed inoltre, quel che impietosisce della notizia di Isaia, ma poi in verità l’avevo già immaginato, quel che poteva esser successo di lui, poiché tante volte ho scritto ai suoi di casa e non mi facevano risposta, appunto perché dovevano darmi cattiva notizia. Pazienza ! - Tutto ciò è quel che Dio vuole. Quinti io in complesso sono immensamente felice e tranquillo di aver ricevute le vostre notizie, speriamo che Iddio ci le conservi e mai ci faccia restare privi di esse. Quanto mi riscrivete mi fate sapere se fin’ora c’è stato nessuno che vi ha disturbati nel nostro paesello, se ci sono le mosche ingiro io spero di no; so bene però che ad Avezzano spesso spesso li risvegliamo ... Ora voglio assicurarvi la mia salute che è sempre in buono stato grazie al buon Dio, che tanto mi protegge, me e voi cari. Mi compiaccio poi all’amore del nostro fratello Francesco con la sig.na Quinta <<contentissimo>>. I vecchi come vanno ? Mi danno molto pensiero, a causa, se dovesse succede quel che non ce lo auguriamo; invio a loro i particolari saluti, e l’agurio che si mantengano forti. Saluti e baci a tutti in famiglia, saluti ancora a tutti i nostri più stretti parenti e compari, bacetti a tutti i piccoli. Particolarmente poi saluti a Francesco e sua amata, di nuovo bacioni a tutti il Vostro figlio Domenico. Buone cose auguri.....

1944 - IV lettera di Domenico Spera4)- Fiume lì 2-3-44. Carissimi
Grazie al buon Dio, mi trovo felicissimo d’aver ricevuti vostri nuovi scritti, dai quali ho trovato una sostanza dilettevole. La sostanza dilettevole, soprattutto è quello di sentire il vostro ottimo stato di salute, e poi, anche molto mi fa piacere, sentire che la commare si è fatta persuasa di ciò che non poteva accadere. Riguardo poi la formalità dell’uomo mi è indifferente, anzi le farete i miei migliori auguri. Per quanto riguarda quel che mi avete spiegato per Francesco io me ne congrato; però non vorrei che succedesse un avvenimento tale senza la mia presenza, perché me ne risentirei fortemente in quanto già due ne sono andate a male, e cioè quelle di Angela e quelle della baldanzosa Nicolina; ciò però, non sia per offesa ! Speriamo per il tempo che avete prestabilito che tutto sia in pace, ed io fra voi cari. Io sto benissimo grazie a Dio altrettanto mi auguro per voi tutti. Saluti a tutti, vi bacio a tutti in famiglia sono il vostro Domenico. Saluti particolari a Nicolina e al suo marito Angelino, la ringrazio dello scritto aggiunto alla vostra lettera. Una raccomandazione interessante. Cercherete il modo possibile di farvi rilasciare dalla signorina Agnesina, un altro nuovo mio certificato di studio, perché quello, che avevo è stato inoltrato con la domanda, per essere ammesso nei carabinieri, quindi non è più il caso di riaverlo. Ora, datosi che mi necessita molto, prego voi e quanto più la g. signorina, di assistermi alle mie richieste. Infiniti ringraziamenti a lei e voi tutti. Saluti Domenico

1944 - V lettera di Domenico Spera5) - Fiume lì 6-5-’44. Miei cari
Ho ben compreso la vostra buona volontà; ma pur troppo, di ciò che vi hanno informato, al nostro Comune, per il rilascio della carta di identità è impossibile in quanto bisogna risultare iscritti in questo Monicipio (di Fiume), Ed allora, datosi che io non posso iscrivermi, perché sono un militare, e per giunta non effettivo, mi è assolutamente escluso questo favore. Ebbene, ora vi rinvio di nuovo le fotografie, così voi vedrete, con preghiera e santa pazienza, di farvela rilasciare in un foglio provvisorio, del quale gl’impiegati sanno bene. Se vedete che è proprio impossibile, non state a prendervi pena, poiché se Iddio vuole saremo ben guardati. Io sto benissimo, attento i famosi documenti che vi ho chiesti, e torno di nuovo a pregarvi, che mi siano mandati al più presto. Sono molto contento delle Vostre notizie, grazie a Dio, specialmente sentento i vari nomi dei nostri cari parenti compari ecc. Non ci auguriamo altro, che un presto ritorno gioioso, per il momento vi giungano a voi tutti in famiglia e a tutti i parenti e compari, piccoli, e grandi i più distinti saluti e affettuosi bacioni. Il Vostro Domenico. Scrivete spesso non aspettate le mie lettere perché possono ritardare. saluti ciao Domenico. Caso mai le fotografie potete tenerle Voi.

Domenico Spera 1946 - Domenico Spera irreperibile

Nel 1945 i genitori chiesero notizie del figlio e con la lettera del 21 marzo 1946 il Comitato Cittadino della Croce Rossa lo dichiarava irreperibile: "Comitato Cittadino della Croce Rossa - FIUME - Fiume, 21 marzo 1946 - n. di prot. 358 - Al Signor SPIRO PIETRO - Sta ANATALIA (Chieti). Alla Vostra richiesta notizie sul Carabiniere Spiro Domenico di Pietro nato a Chieti il 1924 ci pregiamo informarVi che le fonti a cui ci siamo rivolti, lo danno purtroppo irreperibile. Spiacenti di doverVi comunicare un tanto distintamente Vi salutiamo. IL SEGRETARIO: L. Enouter"

1945 - Lettera di Anna StambulichDomenico, come scriveva in alcune lettere, ci teneva molto ad essere istruito. Durante la guerra si iscrisse ad una scuola a pagamento e sostenne alcuni esami. Egli era ospite presso una famiglia che lo teneva molto in considerazione: da questi e veniva chiamato il principino.

La signora che lo ospitava doveva essere una certa Stambulich Anna all'indirizzo della quale i miei nonni in seguito si rivolsero per avere notizie di Domenico.

Nel 1945, quando giunsero a Fiume i partigiani, Domenico si vestì in borghese e si avviò, assieme ad un amico che poi ha raccontato questa storia, verso S. Anatolia.

L’altro aveva gettato via tutti i documenti mentre Domenico, che ci teneva molto ai suoi diplomi, li tenne con sé. A Fiume i partigiani, al comando del maresciallo Jugoslavo Tito, lo fermarono. Il suo amico fu rilasciato ma Domenico, che con i suoi documenti si identificava come carabiniere, venne passato per le armi. Fiume in seguito divenne città Jugoslava.

17. I rifugiati stranieri e l’arrivo dei Tedeschi

A S. Anatolia in principio la guerra non fu molto sentita. L’unico pensiero che intristiva la gente era il fatto che molti ragazzi, parenti ed amici, si trovavano al fronte. Verso il 1942 alcuni stranieri, inglesi e polacchi, sfuggiti ai tedeschi, si rifugiarono, come in molti altri paesi e città d’Italia, a S. Anatolia. Pietrantonio e Luisa ne ospitarono tre. Questi dormivano nei pagliai, mangiavano in casa e si facevano capire a versi. Essi si affezionarono molto e divennero come altri membri della famiglia. Era inverno e la sera quando tutti si mettevano in circolo intorno al caminetto i tre raccontavano le loro storie e Maria, la figlia minore, spesso intonava delle canzonette allora molto conosciute; erano spesso canzoni contro l’Inghilterra e da lei cantate ingenuamente; a sentirla gli stranieri e tutta la famiglia ridevano. Passarono i mesi ed a S. Anatolia giunsero i Tedeschi.

Nei primi mesi del 1943 i rifugiati stranieri di S. Anatolia dovettero fuggire. Pietrantonio e Luisa diedero ai tre dei vestiti, del cibo ed altre cose che potevano occorrere loro ed infine li salutarono. Fu un addio commovente. Ormai tutti nella famiglia si erano affezionati a loro ed essi si erano affezionati alla famiglia: Lanciotti Quinta, fidanzata con Francesco Spera, scambiò con loro gli indirizzi. Poi la notte partirono e di loro non si ebbe più notizia.

Dopo alcune settimane dalla partenza degli stranieri, i tedeschi entrarono in S.Anatolia. Nel paese di sopra ed esattamente nella casa dove abita il parroco, vi fecero un piccolo comando, con pronto soccorso ed ospedale. Nel giugno del 1943 giunse la notizia che in quelle colline e per altre parti d’Abruzzo, vi sarebbe stata la guerra e già i tedeschi scavavano trincee, ergevano barricate in pietra e piazzavano i fili spinati. In quel tempo quasi tutti i paesani fuggirono in montagna e fra essi anche la famiglia Spera. Essi si rifugiarono in alcune grotte molto profonde che potevano proteggere oltre che dalle bombe, anche dalla pioggia e dai venti.

18. La fine della guerra

Con l’arrivo degli americani i tedeschi si diedero alla fuga e in paese la guerra non apportò più distruzioni. Ormai in Italia era la fine della II° Guerra Mondiale, la fine della Monarchia e del Fascismo, e nel 1946 la nascita della Repubblica.

S.Anatolia - Lapide dedicata ai Caduti nella II Guerra MondialeNel 1944 Francesco Spera (il secondogenito) si era sposato con Lanciotti Quinta e due anni dopo nel 1946, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altra, morivano, dopo una vita molto serena, prima Spera Erasmo (Rasimuccio) a 77 anni, poi Piccinelli Giovanna la moglie all’età di 86 anni. Dal 1946 la vita per la famiglia cominciò ad essere più tranquilla. Ormai i figli si cominciavano a sposare e, uno dopo l’altro, lasciavano la casa paterna. Domenico era morto, Francesco ed Angela si erano sposati, e nella famiglia erano rimasti 5 figli ancora da sistemare. La guerra aveva apportato molto malessere, ma a loro, che vivevano coi prodotti della natura, non molto era cambiato al confronto dell’anteguerra, e con le leggi della nuova Repubblica, per essi la vita in parte migliorò. La fine della guerra aveva resi felici i bambini come Maria, allora 11 enne, o Vincenza, già signorina a 13 anni, ma per Remo 16 enne, ed i più grandi, aveva portato la tristezza per il ricordo dei parenti morti (Vincenza, Domenico, Giovannina e soprattutto Rasimuccio). Angela e Filippo rispettivamente sorella e fratello di Luisa e Pietrantonio ebbero cinque figli: Nicolina, Giovanna, Vincenzo, Giacomo e Mario. Nicolina nel 1945 ebbe il primo figlio dal marito Giampietri Angelo. Al figlio fu posto il nome Gino. Il 30 dicembre del 1946 Pietrantonio ancora triste per la morte dei genitori, festeggiava il suo 60° anno di età. Luisa ne aveva compiuti 53 il 30 di aprile.

 

1946 - Gruppo cugini Spera 1946 - Gruppo fratelli Spera 1950 - Gruppo S.Anatolia a Roma 1960 circa - Pietro Spera e Luisa Luce

 

Note

  1. Il fatto mi è stato raccontato da Domenico Spera fu Antonio (fu Lino < -- fratello di Francescangelo): era cugino in seconda di nonno Pietrantonio - Domenico Spera è morto nel 1981.
  2. Bonifacio Spera era nato a S.Anatolia il 14 maggio 1782 e Santa il 1 novembre 1790.
  3. Francescangelo ebbe tre fratelli Nicola, Lino e Angelantonio; 1) Nicola fu padre di Lino che sposò Paola ed ebbe tre figli: Rosa, Nicola (marito di Sgrilletti Eufelia e padre di Luigina, Paolo e Lino) e Luigi (morto in guerra); 2) Lino nato il 17/2/1822 sposò dapprima Piccinelli Gio: Paola nata il 26/01/1824 poi alla morte di questa risposò D'Agostino Grazia nata il 26/10/1829: da Piccinelli Gio:Paola ebbe 4 figli: Antonio (marito di Zuccaretti Nicoletta e padre di Domenico, Mariagrazia, Giuseppe e Maddalena), Nicola (nato il 25/7/1855), Luigi (n. 4/11/1856) e Berardo (n. 16/3/1860 - marito di Maria e padre di Antonio e Vincenzo); 3) Angelantonio nato il 1/5/1820 sposò Luce Gaetana ed ebbe tre figli: Marta Felice (n.15/3/1852), Bonifacio (n.8/1/1855) e Maria Vittoria (n.21/11/1859)
  4. Santa sposò Luigi Rosati
  5. Giovanna, nata a S.Anatolia il 25/02/1863, era figlia di Pietrantonio Piccinelli e di Maria D'Ascenzo di Corvaro.
  6. Esposito è un cognome napoletano che si dava ai figli illegittimi. Esposito = esposto, esposto al pericolo.
  7. Pietrantonio Piccinelli, nato a S.Anatolia il 7/12/1826, era figlio di Gabriele "Gabrielone", n. a Grotti 6 nov. 1785, e di Vittoria Di Pietrantonio, n. 25 set. 1798; il padre di Vittoria, Luca Di Pietrantonio, era nato il 16 ottobre 1775.
  8. Atto di battesimo in: parrocchia di S.Nicola di Bari a Sant'Anatolia - Borgorose (RI): "Anno Domini millesimo octincentesimo sexagesimo tertio die vigesima septima februarii R. Can. J. Scafati de mea licentia baptizavit infantem nudius tertius post solis ortum ex coniugibus Petro Antonio Piccinelli hujus pavecie et Maria D'Ascensis terre Corbarii natam cui nomen posuit Joanna, matrina fuit Angela Maria filia Antonii Colabianchi terre Roscoli. In quorum fidem. C. Placidi ab. cu.".
  9. Alcune notizie sono tratte dal libro di Luciano Sarego: Reazione e Brigantaggio nel Cicolano (1860-67).
  10. Da ricordare che Domenico era figlio di Francesco Luce e Giovannagata Spera (padre di Giovannagata fu Giovanni Spera) .
  11. Vincenza Peduzzi fu figlia di Angelantonio e di Chiara Cimini.
  12. Da un Racconto di Luisa Luce
  13. Giovannagata Spera, nata il 20 novembre 1831, era figlia di Giovanni e di Luisa Fracassi. Giovanni era nato il 19 febbraio del 1800 e Luisa il 21 giugno 1803 o 6; Giovanni era figlio di Gio: Pietro Spera, nato il 29 giugno 1760, e di Giovannagata Amanzi; Luisa era figlia di Croce Fracassi, nato il 3 maggio 1772 e di Pasqua, di cui non si sa il cognome, nata il 13 marzo 1773.
  14. Antonio Luce sposò Caterina Peduzzi e dei loro 5 figli, Giovanni sposò Rita Tupone mia zia.
  15. Angela Maria Nicola Luce sposò Domenicantonio Passalacqua ed ebbe una figlia Vittoria.
  16. Chiara Cimini, nativa di Castelmenardo, era sorella di Pasquarosa moglie di Giuseppe Spera. Angelantonio Peduzzi, il marito, era nato il 20 maggio 1820 ed era figlio di Francesco e di Berardina Fracassi. Francesco era nato il 4 ottobre 1794 mentre Berardina il 6 dicembre 1793. Francesco Peduzzi era figlio di Pasquale, nato il 17 maggio 1770, e di Vincenza Di Gasbarro, sorella di un certo Giovannantonio. Berardina Fracassi invece, sorella di Luisa (vedi sopra nota n. 12), era figlia di Croce Fracassi, nato il 3 maggio 1772 e di una certa Pasqua di cui non si sa il cognome, nata il 13 marzo 1773. Vincenza Peduzzi, moglie di Domenico Luce e figlia di Angelantonio e di  Chiara Cimini, era nata il 27 dicembre 1861.
  17. Maddalena Piccinelli era figlia di Luca un fratello di Giovanna.