Anno 1943 - La spontanea resistenza in Abruzzo
Le "bande partigiane" si formeranno e opereranno quasi tutte sull'arco alpino, anche se le prime formazioni, piccolissimi gruppi, si erano già formate in Abruzzo subito dopo l'8 settembre: a Chieti e nei dintorni già nella notte fra il 9 e il 10. Anche perchè si sapeva che gli americani erano al di là delle colline chietine e quindi speravano in un tempestivo appoggio. Ma chi avrebbe immaginato che se pur dalla Calabria al Sangro Montgomery aveva impiegato pochi giorni per arrivarci, dopo, lui che voleva arrivare a Pescara al massimo a Novembre e a Roma per Natale, la sua armata rimase inchiodata sul Sangro nonostante la tremenda e drammatica battaglia ad Ortona e dintorni. Kesserling gli aveva fatto trovare un "muro", fino al punto che Churchill gli ultimi giorni dell'anno andò di persona a vedere la situazione che gli fece decidere di portarsi via Montgomery. Sostituito il comandante della VIII Armata con Leese, questi rimase lì a Orsogna per sei mesi , con i tedeschi di fronte a nemmeno mille metri, a fare melina.
Non così in Abruzzo, sconvolto dalle rappresaglie tedesche.
Su questo territorio -con grave perdite e mostruosi eccidi di civili - le azioni di guerriglia partigiana iniziarono subito all'indomani del 9 settembre e termineranno il 9 giugno 1944, quando i reparti della "Nembo" entrarono per primi a Chieti, poi a Pescara, il 13 a Sulmona, il 18 a Teramo.
Pochi storici parleranno di questi episodi della resistenza abruzzese contro i tedeschi.
Non ne parlano perchè questa, sorse spontanea, e perchè dentro non c'erano solo antifascisti, ma anche fascisti. Non era quindi in linea con la (in certi casi demagogica e monopolizzata) Resistenza partigiana di sinistra; nè del resto gli avversari (i fascisti) conveniva loro riferirla (perché era disonorevole parlare di defezioni dai ranghi).
Ma ci basta citare le parole del generale Mc. Greery Comandante dell'8a armata Britannica rivolgendosi alla fine della guerra al gruppo "Patrioti della Majella":
"Voi siete stati i pionieri di quel movimento partigiano italiano che tanto ha contribuito al successo della campagna d'Italia e grazie al quale potrà essere ricostruita la nuova Italia. Ora che tornate alle vostre case mantenete vivo quello spirito e quella purezza di intenti che avete dimostrato in guerra, nell'opera di ricostruzione del vostro Paese, di questo vostro Paese che ha tanto sofferto per le rovine e i lutti causatigli dal fascismo prima e dalla guerra poi. E' questo lo spirito che farà dell'Italia ancora una volta un paese libero e democratico e le ridarà il posto che le spetta per la sua antica civiltà, nel quadro di quella nuova Europa per la quale tutti abbiamo combattuto e che tutti auspichiamo".
Ricordiamo qui che il gruppo della "Majella" (circa 1000 audaci uomini) sempre alle dipendenze dell'8a Armata, in cooperazione tattica inseguì i tedeschi a Sulmona, poi all'Aquila, proseguì lungo le Marche, partecipò alla liberazione di Pesaro, a marce forzate raggiunsero la Romagna e liberarono diversi paesi, poi entrarono a Bologna accolti da deliranti manifestazioni di simpatia, e senza concedersi un adeguato riposo, con altre marce forzate il 1° maggio raggiunsero il Vicentino, salirono l'Altopiano ed entrarono ad Asiago, abbracciati fraternamente dal gruppo partigiani "7 Comuni", che li accolsero con queste parole: "...Siete stati tenaci nel combattimento e forti come la roccia dei nostri e dei vostri monti".
Simili gesta si possono rintracciare solo in pubblicazioni locali. Col tempo quasi scomparse dalla circolazione.
L'autore che scrive allora fanciullo viveva a Chieti presso suo zio che stampava il giornale locale, Il Teatino.
Ad ogni eccidio, ad ogni rastrellamento, il comando tedesco (che era addirittura dentro nel nostro stesso palazzo (Palazzo Mezzanotte) ci comunicava di darne (con i caratteri, con gli occhielli, o con i manifesti da affiggere sui muri) ampio risalto sulla stampa, per sgomentare i ribelli ma anche per terrorizzare i civili che offrivano loro rifugio. (Da notare che fino a notte tarda con la scusa di fare i tanti manifesti, i comunicati, i fogli unici di giornale ecc, stampavamo con tanto rischio anche i fogli clandestini, in silenzio, con un vecchio torchio a mano Bollito, normalmente usato per fare le poche copie dei cosiddetti "manifesti da morto" ).
L'ABRUZZO a partire dal 10 settembre scrive una delle pagine più gloriose della sua storia.
Ma anche della storia (sconosciuta) d'Italia. Del resto il nome Italia viene dall' Abruzzo, da Corfinio, che esisteva prima della conquista dei Romani. Il vero orgoglio del suolo italico partì proprio da lì, a pochi chilometri dalla mitica Corfinium).
Tutto inizia a Teramo a Bosco Matese, dove si forma uno dei primi nuclei di partigiani con numerosi sbandati dell'esercito. Ad Avezzano un gruppo formato da solo 8 partigiani in un'azione coraggiosa perfino quasi disperata, riuscì a liberare da un campo di concentramento tedesco oltre 2000 prigionieri americani, inglesi e di altre nazionalità. Il 24 settembre i tedeschi reagirono e inviarono sul posto un battaglione che seminò il terrore, ne catturarono sette e nei pressi del Mulino li fucilarono subito, ma i partigiani di Bosco Matese con una altrettanta impresa disperata, diedero l'assalto e riuscirono a catturare addirittura il comandante del battaglione tedesco, Hartmann. Fu quasi una beffa; ma da questo momento nella regione iniziò l'apocalisse, anche perchè i partigiani fucilarono lo stesso Hartmann.
A prendere in mano le redini di questo gruppo di partigiani c'è però un esperto di vera guerriglia, uno slavo, il maggiore serbo Mattiasevic, che inizia a dare consigli preziosi a queste formazioni: "non concentrarsi, ma formare piccole bande". Era la diabolica tecnica che era stata riservata a Hitler in Iugoslavia: "ogni uomo deve essere soldato, comandante e stratega di se stesso".
Di queste bande se ne formarono nei dintorni di Chieti, 48, con circa 3500 uomini.
Ne ricordiamo alcune: Ammazzalorso, Pizzoferrato, Arischia, La Duchessa, Valviano, Gran Sasso, Campo Imperatore, i già accennati Patrioti della Maiella, e tante altre.
Queste rivolte sorsero spontanee... (fra questi uomini c'era anche il futuro presidente della Repubblica Ciampi. Che in una recente visita proprio a Sulmona ha così sintetizzato le motivazioni primarie di queste bande non ancora ideologizzate: "fu un impulso istintivo a ribellarci".
Ora dato che erano istintive e non seguivano una razionalità educativa, ognuno seguì la propria coscienza, ma alcuni agirono con i riflessi incondizionati di quell'educazione ricevuta (piuttosto pressante). Non dobbiamo quindi condannare chi scelse un'altra barricata dove combattere. Fino a poche ore prima gli oppositori al regime erano traditori, banditi, antifascisti: questo era l'imprinting che tanti avevano ricevuto dai loro "maestri". Mica potevano girarsi da soli l'interruttore della propria coscienza.
Inoltre visto che i loro superiori agivano così (sia da una parte che dall'altra) loro cosa potevano fare di più? se non seguirli in quella che in entrambe le due fazioni era una lotta disperata, perchè contrapposte, ma ognuna convina che i diritti erano dalla sua parte. Perchè recita la convenzione all'Art. 3 (firmata e accettata da tutte le nazioni del mondo nel 1907) che "le bande non riconosciute sono quelle che non hanno una uniforme, non hanno un capo responsabile e non si attengono alle leggi e agli usi di guerra". Art 7: "L'uso dei mezzi bellici è lecito solo fra coloro che hanno la qualità di legittimi belligeranti"; Art.6: "Le persone non considerate legittime belligeranti e che compiono atti di ostilità sono punite secondo la legge penale di guerra". E la legge penale di guerra legalizzava la rappresaglia. Legge firmata ripetiamo da tutte le nazioni del mondo che si badi bene, non erano né fasciste, né naziste, né comuniste: erano le democratiche, parlamentari, monarchiche, aristocratiche e perbeniste nazioni del 1907!
(Una curiosità, pur essendo negli eserciti la rappresaglia in uso fin dall'antichità, venne istituzionalizzata da un giurista italiano, Bartolo da Sassoferrato, nel 1354, con il suo Tractatum reappraesaliurum (Corriere di Roma del 15 luglio 1996, articolo di William Maglietto).
...Dunque anche la guerriglia partigiana non era nuova. Ai tempi dei Comuni fra città e città la partigianeria era spietata. (famose quella fra Pisani e Senesi, Senesi e Fiorentini, Padovani contro Vicentini (che è ancora nel Dna delle attuali generazioni).
Quella italiane del 1943, sorsero spontanee, contro i soprusi, le prepotenze e le atrocità dei tedeschi (e contro chiunque) che anche loro delle buone ragioni le avevano (oltre come abbiamo visto sopra i "diritti"): erano stati mollati e in un certo senso messi in trappola, e dalla trappola cercarono di salvarsi anche loro come felini feriti con l'istinto della conservazione. Inoltre lo stato di guerra in atto, giuridicamente dava ragione a loro; la rappresaglia delle forze occupanti era legittima (vedi pagine dedicate). L'alleato, senza dichiarargli guerra (l'Italia badogliana lo farà con gran ritardo il 13 ottobre) gli si era rivoltato mentre era sceso a casa sua per aiutarlo, come abbligavano i patti firmati dal Re a suo tempo.
A Lanciano quando arrivarono i tedeschi ci fu una rivolta dell'intera popolazione; scovate le armi da chissà dove, per tre giorni dai tetti, dalle finestre e dai balconi seguitarono a sparare. I tedeschi catturarono un povero giovane, La Barba, lo legarono in piazza a un palo con la testa in giù, per estorcergli i nomi dei capi dei "ribelli". Infastidito del suo ostinato silenzio, un tedesco prima gli cavò gli occhi con la baionetta, poi gliela infilò nella pancia.
La rivolta si accese ancora di più, ma venne poi repressa nel sangue. I primi dodici che capitarono sotto mano li giustiziarono. E molti altri caddero nelle strade, inseguiti e raggiunti dalle sventagliate delle mitragliatrici. Lanciano, per questa drammatica insurrezione, verrà poi decorata con la medaglia d'oro al valor militare.
Fu il primo cruento scontro e la prima rappresaglia dei tedeschi in Italia. Ed era solo l'inizio.
I tedeschi non si fermano dopo questa rappresaglia. Al podestà di Teramo -Umberto Adamoli- chiedono cento cittadini da tenere come ostaggi, da fucilare qualora si fossero ripetuti episodi come quello di Bosco Matese (questo lo consente la Convenzione). Il podestà è un fascista, ma non ci sta. Si indigna, si offre perfino lui in cambio. I tedeschi temporeggiano e soprassiedono; ma solo per non farlo diventare un martire con il rischio di sollevare un'altra insurrezione.
In tipografia iniziammo così a stampare i manifesti con i bandi. Ogni giorno un paese diverso. Che voleva dire essere condannato a lutti e distruzione.
Le atrocità da questo momento in Abruzzo non si contano più; a Ortona, a Palombaro, a Palena, a Guardagliele, a Sulmona, a Popoli, a Roccaraso, a Bisenti, a Civitella, e in altre contrade. Il 21 novembre la strage di cittadini donne vecchi e bambini a Limmari per aver offerto rifugio ai ribelli.
Al casolare Macerelli massacrano 15 persone, tra cui cinque bambini. Al casolare De Virgilio 30 fra cui un lattante. Al casolare D'Aloiso 4 fra cui una paralitica di settant'anni. A Capistrello dopo una delazione circondarono, catturarono e uccisero 32 partigiani tra cui 8 prigionieri alleati. Altrettanto a Francavilla, 20. A Bussi 11 "ribelli".
Poi a Chieti gli fecero solenni funerali, con tanto di benedizione
A Filetto altri 17 uomini. A Onna 16 donne e bambini sono messi dentro un casolare poi fatto saltare con la dinamite. Poi la grande strage a Pietransieri; 128 abitanti del paese che rifiutandosi di dire dov'erano gli uomini furono tutti trucidati: donne, vecchi e bambini. Fu un massacro.
E poi Pescara e Chieti. Qui uno alla volta o in gruppo di due-tre-cinque, dopo le retate e dopo che gente losca era entrata a Palazzo Mezzanotte a fare delazione (per vecchi rancori, antichi odi o più semplicemente per guadagnare denaro). C'erano poi rastrellamenti, gli arresti, gli interrogatori, le sevizia, le urla e poi... sul solito camion e via dietro le mura del cimitero S.Anna per essere crivellati di colpi. E il solito tenentino a dare il colpo di grazia. Sempre lui. Gli piaceva! Poi alla sera, nel cortile, per quattro ore filate canticchiava la nenia di Lilì Marlen e si prendeva sulle ginocchia quell'unico bambino di 8 anni (che ora sta scrivendo qui ) che si aggirava in mezzo a loro, dai boccoli biondi, che ricordava forse il figlio lasciato in Germania. Erano gentili, ma giuro che quelle mani che mi passavano sulla testa mi turbavano sempre.
Tratto da: http://www.oocities.org