1778: Anton Ludovico Antinori
"Annali degli Abruzzi (voll. 1-24); Corografia storica degli Abruzzi, disposta per ordine alfabetico (voll. 25-42); Raccolta di iscrizioni (voll.43-47); Monumenti, uomini illustri e cose varie. Annali di Aquila (voll. 48-51)". Non potendo datare l'immensa opera di Anton Ludovico Antinori, in quanto realizzata in tutto l'arco della sua vita, ho inserito come riferimento il 1778, cioè la data della sua morte.
Il busto dell'Antinori nel colonnato dell'Emiciclo, all'Aquila
Anton Ludovico Antinori (L'Aquila, 26 agosto 1704 – L'Aquila, 1 marzo 1778)
Da Treccani: L'Antinori lasciò una mole enorme di manoscritti, che, legati per testamento nel 1832 dal pronipote Anton Ludovico Antinori jr. alla famiglia Dragonetti, furono poi donati nel 1887 da Giulio e Luigi Dragonetti alla Biblioteca provinciale di Aquila. Raccolti in cinquantuno volumi in fobo, di circa mille pagine ciascuno, E. Casti li ordinò e catalogò in quattro classi:
- Annali degli Abruzzi (voll. 1-24);
- Corografia storica degli Abruzzi, disposta per ordine alfabetico (voll. 25-42);
- Raccolta di iscrizioni (voll.43-47);
- Monumenti, uomini illustri e cose varie. Annali di Aquila (voll. 48-51)
- Fonte: Manoscritto dal titolo "Corografia storica degli Abruzzi, disposta per ordine alfabetico"
- Presso: Biblioteca provinciale dell'Aquila "Salvatore Tommasi"
- Trascrizione: Roberto Tupone del 2 luglio 2018
Annali degli Abruzzi (volume VII, foglio 460 e seguenti)
Anno 1077
Era fratello di Oderisio, Berardo pur figlio del conte Berardo della Provincia de Marsi (Vidi anno 1062). Costui per timor di Dio, e redenzione dell'anima sua aggiudicò ed offerì il castello di Roscolo, poi Rosciolo, con tutte le pertinenze al Monistero di S. Maria edificato nella Valle di Porcanico. Descrisse i confini del tenimento da Massa, per la via che viene ad Alba e guida al Ponte, e da Serra di Monte di Mandra, e Volpe Morta. Consegnò la carta dell'offerta all'abate di esso Giovanni, e la dichiarò perpetua, comminando ai contraventori la pena del doppio e le solite imprecazioni spirituali (1).
Altri riduce la donazione alcuni anni prima, checché ne sia certo è che in quest'anno era fatta, e conseguentemente era edificata la chiesa nell'atrio della quale, in pilastro di marmo, fu inciso il nome del primo fondatore, e largitore Berardo di Berardo uomo probo degno d'onore. Vi fu nello stesso pilastro dalla parte opposta scolpita pure la memoria dal fabbro Niccolò, chiaro, e lodato artefice, e degno d'essere per quell'opera a Dio raccomandato dà fedeli (2).
L'arco non meno che le iscrizioni sembrano fatte dopo qualche tempo, il primo per rinforzo, e le seconde per memoria. Eccone le iscrizioni più esattamente trascritte. In un pilastro a sinistra, non già colonna, né sepolcrale, ma soltanto reggente l'arco dall'atrio:
HUIUS ECCLESIE PRIOR EST VERAS (SIC) ATQUE LARGITOR
IPSE QUI ES PROBUS OMO SIBI AUGEATUR ONOR.
BERARDUS B. NOMINE.
Il primo verso riferisce all'ultimo, e accenna il dotatore primo, e verace VERAX della chiesa. Il verso 2 infelicemente accenna quanto abbia a dire per quello il leggitore se è uomo probo, cioè: SIBI AUGEATUR HONOR (3).
Nel pilastro incontro a destra:
HOC OPUS EST CLARI MANIBUS FACTUM NICOLAI
CUI LAUS VIVENTI, CUI SIT REQUIES MORIENTI:
VIVUS HONORETUR, MORIENS SUPER ASTRA LOCETUR.
VOS QUOQUE PRESENTES, ET FACTUM TALE VIDENTES
IUGITER ORETIS, QUOD REGNET IN ARCE QUIETIS (4).
Morì infatti quell'artefice Niccolò, e a destra d'essa chiesa dentro alla porta in sepolcro, sotto la mensa d'un altare, pur da lui fatto, fu umato con questo sia memoria:
HOC OPUS EST FACTUM (SIC) NICOLAUS, QUI IACET HIC (5).
Si vede pure in quattro colonne la Tribuna assai lavorata in tavole a bassi e alti rilievo, ma di gesso stuccato e dello stesso lavoro, a materia l'ambone, a sinistra. Vi erano due iscrizioni delle quali poco resta, cioè della prima:
INGENII CERTUS VARII MULTIQUE ROBERTUS
HOC LEVITARUM NICODEMUS ATQUE DOLARUM
e della seconda:
DIE XI MENSE OCTUBER (6)
Tanto però basta a vedere che l'artefice di questi ultimi lavori è diverso, cioè Roberto Niccodemo, se pure non furono due nomi, e due artefici. Incerto è pure se in quale autunno fu fatta l'opera, ma probabilmnente dopo l'anno della edificazione della chiesa.
Nella prima il Febonio credette la voce Prior indicare il Priore del Monistero. Egli non badò al contesto, molto meno all'avere il Fondatore posto in esso per superiore l'abate Giovanni, e né tampoco al titolo non conveniente. Se diceva allora Praepositus, quello, che poi si disse Prior (cominciò la voce «Prior» ad essere usata in significato di «Praepositus» a tempi di Celestino V, come osservarono i dotti, onde qui s'avrà a leggere, cominciando dal verso 3: «Berardus Berardi nomine est, verax atque prior largitor huius Ecclesiae». Intanto il compositore ripose la voce «Prior» nel mezzo, perché il metro, e il ritmo ve l'obbligò, come vede chiunque è versato nelle Poesie di quei tempi). Per quella voce dunque si volle accennare il primo donatore «Prior largitor» (la maniera di chiamare così i fondatori e dotatori fu seguita a usare anche poi da altri. Forese di Bilicuzo Fiorentino, che nel 1217 fondò in un terreno a S. Sepolcro, da lui comperato, il Monistero di S. Maria di Monticelli, di cui cedette l'ius padronato al Cardinale Ugolino nel 1223, e cui donò poi nel 1124 alcuni altri terreni. Egli è detto in uno di quei contratti «Forese largitor providus ac pius donator») (7).
Nella carta di donazione è scritto l'anno MXLVIII, ma si stima errore, e in vece di MLXXVII anteposto il primo X, e convertito il secondo in V, e questo in I. Lo dimostrano:
- 1. L'indizione XV;
- 2. I tempi di esso Berardo, di cui si anno altre donazioni negli anni 1061, 1062, 1067, e 1070;
- e per terzo il non apparire niuna altra menzione di quella Badia prima del 1086.
- Finalmente l'avere Pietro Diacono scritto che lo stesso Berardo, fondatore, la offerì al Monte Casino in esso anno 1086.
Pare troppo remoto dal 1048, che s'avrebbe per l'indizione a correggere in 1047, corse quell'indizione anche nel 1062. Ma comunque sia, o 1047 o 1062, certo è che nel 1077 viveva Berardo, e certo ancora che a quest'anno dovette l'edificio essere compito. Il Febonio, e il Lubin, i quali non viddero la carta di donazione, ma soltanto la memoria dell'offerta, che Berardo ne fece ai Cassinensi, la confusero colla fondazione, e la dissero il primo circa il 1085, il secondo circa il 1080 (Febonio ivi e et Vita di Sancti Berardi, pagina 3), anzi credette questo conte Berardo lo stesso col padre del vescovo Berardo, vivendo quel conte nel 1094 ed era marito di Teodosia, non pare sicuro. Questo sul tempo.
Sul luogo poi tanto nella Carta, quanto nella menzione di Pietro si trova denominata Vallis Porclanici. In Febonio Vallis Porclanenti e altrove Valle Porclanese. In Lubin Porclaneci. In varie scritture di tempi posteriori Vallis Marculana, forse così alterata da Porculana (vedi Anno 1429. 1482). Tutti però la dicono di Rosciolo, e il Febonio aggiunge, che da questo Monistero ebbe Rosciolo accrescimento giacché allora picciolo castello era, ma per la giunta delle Ville all'intorno, e del castello di Carce a un miglio lontano, e precisamente per l'unione della Villa di S. Barnaba presso al Monistero, divenne cospicuo per le cose ecclesiastiche e per le civili (Phoebonius 16 p. 175).
- Charta offerens per manus Giso, Iudicis et Notarii. Actum in Marsis, Anno MXLVIII (corrigendum fortasse MLXXVII), mense Julio, Indictione 15. In Registrum Petri Diaconi, folio 200, numero 460, apud Gattula, Historia Cassinensis, Saeculum VI, pagina 282 et in De Jurisdictionis Cassinensii, Dissertatio I, pagina 195. Phoebonius, Historia Marsorum, Libro III, capite V, pagina 175, Lubin, Notitia Abbatiae Catalogorum Italiae, pagina 404 [traduzione della nota: Carta di donazione redatto per mano di Giso, giudice e notaio. Redatto nella regione dei Marsi, nell’anno 1048 (forse da correggere in 1077), nel mese di luglio, alla quindicesima indizione. Registrato nel Regesto di Pietro Diacono, al foglio 200, numero 460; riportato da Gattola nella Historia Cassinensis, volume VI, pagina 282, e nella sua Dissertazione I sulla giurisdizione cassinese, pagina 195; menzionato anche da Febonio nella Historia Marsorum, libro III, capitolo 5, pagina 175; e infine da Lubin nella Notitia Abbatiae Catalogorum Italiae, pagina 404].
- Inscriptio Abruzzum, ante ostium ecclesiae Sanctae Mariae in Valle Porclaneta de Rosciolo, in columna quadrata, apud Phoebonium, Historia Marsorum, loco citato, pagina 176, et in Vita Sancti Berardi, pagina 3. Vide annum 1086. [traduzione della nota: Iscrizione in Abruzzo, davanti alla porta della chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta presso Rosciolo, scolpita su una colonna quadrata. È riportata da Febonio nella Historia Marsorum, pagina 176 e nella Vita di San Berardo, pagina 3. Si veda l’anno 1086].
- Inscriptio in atrio ecclesiae Sanctae Mariae de Valle. Vidi easdem apud Phoebonius, Historiae Marsorum, Liber 3, pagina 76. [traduzione della nota: Iscrizione nell'atrio della chiesa di Santa Maria della Valle. Le ho viste anch'io e (le ho trovate) presso Febonio, Storia dei Marsi, libro 3, pagina 76].
- Inscriptio ibidem vidi et apud Phoebonius ibidem. [traduzione della nota: Ho visto l’iscrizione in quel medesimo luogo, e anche presso Febonio, nello stesso punto].
- Inscriptio ibidem in introitu ecclesiae ad dexteram portae maioris vidi. [traduzione della nota: Ho visto l’iscrizione nello stesso luogo, all’ingresso della chiesa, alla destra del portale maggiore].
- Fragmenta inscriptionum in ambonibus ibidem vidi. [traduzione della nota: Ho visto frammenti di iscrizioni sugli amboni nello stesso luogo]
- Instrumentum rogatum notarii Johannis, filii ser Galitii Florentini, die 4 aprilis 1217, et instrumentum rogatum notarii Diotisalvi, filii ser Diotiguardi Florentinus, die 19 augusti 1223 et die 2 februarii 1224, praeparavit Fineschi, litterae ad Lami [Giovanni Lami (1719–1770)] in Novelle letterarie Fiorentine, anno 1764, numero 46, colonna 725 [in realtà n. 46 colonne 721-725]. [traduzione della nota: Atto redatto dal notaio Giovanni, figlio del ser Galizio fiorentino, in data 4 aprile 1217, e atto redatto dal notaio Diotisalvi, figlio del ser Diotiguardi, fiorentino, in data 19 agosto 1223 e in data 2 febbraio 1224; trascritto da Fineschi nelle lettere indirizzate a Giovanni Lami [1719–1770], pubblicate nelle Novelle Letterarie Fiorentine dell’anno 1764, numero 46, colonne 721-725].
Annali degli Abruzzi (volume VII, foglio 446)
Anno 1150
Gentile Vetulo, figlio d'altro Gentile Conte probabilmente di Rieti, abitante nel Contado Reatino, nel luogo di Scopulo forse Pescolo di Rocchiano, in redenzione dell'anima sua, e di consenzo di Stefano Servo di Dio, cioè Monaco, di Luciana sua moglie, di Gentile, Bartolomeo, e Giordano suoi figli, come pure di Agnese Badessa, e di Sapienza Monaca sue figlie, fece consegna in perpetuo senza riserva alcuna a Dodone Vescovo Reatino, ed a successori di quello, del Monistero di S. Mauro situato nel monte di Fano, fra la Valle di Pietra e la terra Amizonesca, forse Camponesca, che il conte Gentile suo padre aveva dato a quello Stefano, Benedettino. Di più il terreno di Areponzio per costruire in quello una chiesa ad onore di S. Niccolò con ospedale (1).
- vidi 1134. Charta traditio die XI mensis Iunii anno Domini MCL, indictione XIII, apud Naudium, in Tabulario Reatino, armarium IV, fasciculus L, numerus X, edita apud Ughellium in Italia Sacra Illustrata in Reatina, numerus XXIII; Lubinus, Notitia Abbatiae Italicae, littera M, monasterium Montis de Fanum, pagina CCXXIX
Annali degli Abruzzi (volume VII, foglio 478)
Anno 1153
Rieti. Il Papa Anastasio IV (1) a 24 agosto (2) diresse a Dodone, Vescovo della Chiesa Reatina, ed a successori di quello in perpetuo, Bolla graziosa. Ad istanza di quel Vescovo con essa prese in protezione di S. Pietro e sua quella chiesa. Confermò il possesso di tutti i beni, che aveva, o che acquistasse per concessioni di Papi, largizioni di Ré o di Principi, oblazioni di fedeli, o altri giusti modi. Espresse poi i propri vocaboli d’alcuni nelle due Diocesi unite di Rieti, e di Amiterno (3). Eccone i nomi: La Pieve di S. Tommaso in Grumolo, di S.a Susanna, di S. Vito, di S. Maria di Gisone, di S. Maria in Testone, di S. Rustico, di S. Maria in Valle Ocrina, di S. Maria in Corno, di S. Maria in Sigillo, di S. Rufina, di S. Maria in Bacugno, di S. Silvestro in Fallarino, di S. Croce in Borbone, di S. Pietro in Laculo, di S. Maria, e di S. Pietro in Pantano, di S. Pietro in Dura, di S. Giovanni in Chiarino, di S. Sisto in Amiterno, di S. Pietro in Popleto, di S. Vittorino, di S. Pietro in Pretoro, di S. Valentino in Collettaro, di S. Marco, e di S. Donato in Teria, di S. Giuliano in Foce, di S. Paolo in capo d’Amiterno, di S. Cosmo in Cagnano, di S. Antimo in Cassina, di S. Tommaso in Vigliano, di S. Pietro in Corno, di S. Eutizio in Marana, di S. Stefano in Cluano, di S. Lorenzo, e di S. Leopardo in Cartoro, di S. Maria in Mareri, e di S. Pastore, di S. Pietro in Canapinola, di S. Elpidio, di S. Andrea, e di S. Paolo, di S. Maria in Rivogatti, di S. Andrea in Laceto, di S. Lucia in Collalto, di S. Andrea in Capradosso, di S. Maria in Valle, di S. Agata in Plaia, di S. Giustino in Rocca di Sinibaldo, di S. Anatolie in Tora, di S. Angelo in Cervia, di S. Vittoria in Tripula, di S. Felice in Ottavo, di S. Nicola, e di S. Elena in Lubricolo, di S. Giovanni in Valle Reatina, di S. Savino in monte Gorzo, di S. Maria in Casa di Roberto, di S. Lorenzo in Quintigliano, di S. Maria in Anglise, di S. Donato della Torre di Carpasso di S. Maria della Sala.
In esse Pievi gli Oratori denominati Monisteri di S. Pietro in Anglise, di S. Croce nell’Acqua di Solagno, di S. Giovenale in Laco, di S. Maria in Consonano, di S. Liberatore della SS. Trinità, di S. Gregorio di Catalice, di S. Valentino della Pureia, di S. Croce in Lognano, di S. Eleuterio nel campo Reatino, di S. Pastore in Alatro, di S. Angelico in Vetica, di S. Maria in Lupicino, di S. Pietro in Madito, di S. Silvestro in Pietrabattuta, e di S. Silvestro in Perulo, di Severino e di S. Avita in Amiterno, di S. Giovanni Battista di S. Vittorino, di S. Leonzio in Classina, di S. Lorenzo in Fasso, di S. ... in Nova, di S. Mauro, di S. Castiglione di Valle di Pietra (4), di S. Leopardo di Colle di fegato, di S. Paolo di Cocota.
Oltre a tutto ciò dentro la città Reatina, o nel Suborgo le Chiese di S. Giovanni e di S. Eleuterio, di S. Rufo, di S. Giovenale, di S. Marina, di S. Pietro nella porta Romana, di S. Salvatore e di S. Niccolò in Acopento, di S. Leopardo, di S. Bartolomeo, e di S. Euticio, di S. Marone, e di S. Severo, di S. Fortunato, di S. Pietro, e di S. Andrea, dei SS. Apostoli, e di S. Donato, di S. Sebastiano in Scaia, di S. Savino in Verrico, di S. Clemente, di S. Niccolò in Forfone (5), di S. Maria in Capodacqua, di S. Maria in Pugillo, di S. Flaviano in Novera, di S. Maria in Borbone nella valle Lombricola, di S. Ilario in Racciolo, di S. Maria in Civitade in Amiterno, e di S. Baroto.
Ordinò, che da tutte queste si pagassero i dritti vescovili finalmente i castelli di Colle Vaccaro, di Venarossa, di Montes Guizzo, di Catrico, di Casale Lia, di Rocca in Prece, di Verano, di Butri, e di Monte Sicco, colle loro appartenenze. Comminò pene spirituali a chi attentasse in contrario, occupasse, o non asservasse quella Bolla e premi a chi l’osservasse. Sottoscrisse Anastasio e dopo di lui i Cardinali G. di S. Calisto, Guido di S. Crisogono, Ubaldo di S. Prassede, Manfredo di S. Sabina, Astaldo di S. Prisca, Giovanni Paparo di S. Lorenzo in Damaso e Cencio di S. Lorenzo in Lucina, e dopo tutti Rolando Cardinale, e Cancelliere, che la scrisse.
- Bulla Papae Anastasii IV, data Laterani, per manum Rolandi, Sanctae Romanae Ecclesiae presbyteri cardinalis et cancellarii, die nona Kalendas Februarii (corrupta Seprembris), indictione prima, incarnationis Dominicae anno 1153, pontificatus primo. Edita apud Ughelli, Italia Sacra, tomo I, in Reatini Episcopi, numero XXIII. Eadem reperitur apud Naudé, in tabulario Reatino, armario II, fasciculo A, numero 1. Pontificatus anno primo, incarnationis anno 1153, nona Kalendas, indictione prima. Eadem excerpta apud Antinori et apud Maroni, De Episcopis Reatinis, numero 32. [Traduzione: Bolla di papa Anastasio IV, data in Laterano, per mano di Rolando, presbitero cardinale e cancelliere della Santa Romana Chiesa, il giorno nove prima delle Calende di febbraio (cioè il 24 gennaio; ma la data è riportata erroneamente come settembre), prima indizione, anno 1153 dall’Incarnazione del Signore, primo anno del pontificato. Pubblicata da Ughelli nell’Italia Sacra, tomo I, sezione dedicata ai vescovi reatini, documento numero 23. La medesima bolla si trova presso Naudé, nel tabulario reatino, armadio II, fascicolo A, numero 1. È inoltre riportata da Antinori e Maroni nel De Episcopis Reatinis, documento numero 32].
- Errore manifesto è nella copia d’Ughelli: IX. Cal. Febr. non era allora creato Papa Anastasio, anzi viveva Eugenio III. Facilmente nell’originale era scritto Septbr., e fu letto Febr. Del resto a 24 d’agosto incontrano bene le altre note croniche dell’anno I del Pontificato, e precisamente dell’indizione I (Marone, in loco citato, numeri 32 e 36).
- Si vede da questa Bolla che il vescovo Reatino amministrava la Chiesa Amiternina, che fra i luoghi, e le chiese soggette a quel vescovo si rammentano quei della diocesi d’Amiterno, talmente con quei della Reatina confusi senza alcuna differenza, che pare unica, non già doppia diocesi. Com’erano da qualche tempo un solo vescovo Dodone, d’avere così procurato di consolidare un possesso fondato sulla lunghezza del tempo, non già sopra Bolla espressa d’autorità Pontificia. Obliguamente col nominare soltanto i luoghi, senza fare esprimere il come, veniva ad ottenere l’approvazione del Papa.
- Vedi anni 1134, 1150
- Qui certamente sarà errore del trascrittore. Non si ha memoria in Forfone delle chiese di S. Clemente e di S. Niccolò. Il luogo piccolo era, e apparteneva alla Diocesi Forconense, non già Amiternina, anzi a confini della Diocesi colla Valvense. L’unica chiesa che in Forfona era aveva titolo di S. Maria, e forse anche di S. Pietro, e S. Michele come da una lapide, che si può con ogni probabilità riferire a questi tempi. Da essa si vede fatto l’edificio, ol’ristoro del Maggiore altare da Sansone Prete, figlio di Rogabo, o Rogato. N’era forse il parroco, succeduto al Preposto Monaco, abbandonata già quella cella da Regolari (Inscriptio Furfonensi, in lapide altaris Ecclesiae Sanctae Mariae. Vidi).
Annali degli Abruzzi (volume VIII-I, foglio 52r)
Anno 1185
Alba. In questo registro quello che poi di disse Carce ne' Marsi. Era feudo del conte Roggiero di Alba, incastellato a forma di Rocca nell'estrema vetta del monte, interposto alla valle, onde si passa a Cicoli, e donde scorrendo il fiume Anio scende verso degli Equi. Avendo quella cima una forma ovale, il castello veniva compitamente d'ogni intorno cinto di mura. Vi si ascendeva per aspro, ed insolito cammino, né per altra via, che pel giogo, e via cosi stretta, che appena vi possono andare tre insieme di lato. Sulle prime era l'ingresso nel castelloper una sola porta; ma poi renduto fortelizio ne ebbe due munite di vallo (1).
- Phoeb. Hist. Mars. L.3. C. 5 pag. 158
Annali degli Abruzzi (volume IX-I, foglio 63r-v)
Anno 1250
Rosciolo (1). Si fece in quest'anno il Registro delle Rendite del Monastero di S. Maria in Valle Porchianeta. I terreni erano stati distribuiti in trentanove feudi, oltre a venticinque altri pezzi coltivati. Esiggeva il Preposto dagli enfiteuti, e dai coloni come pure dalle famiglie dette casate in numero di dodici i redditi di grani, vini, orzi, di pani, polli, agnelli, formaggi, canapi, carni porcine, puledri, ed opere personali. Esiggeva da Prepositi, e Rettori delle Chiese di S. Lorenzo, di S. Anatolia, di S. Maria di Magliano, di S. Luca nei giorni festivi di quei Santi, pranzi in quelle Chiese ae essi e a suoi Chierici. Di più oblazioni [da darsi in] prosciuti, agnelli, e simili dalla chiesa di S. Lorenzo e di S. Luca, nel Natale, Pasca, feste di S. Marco, e di S. Benedetto. Da quella di S. Anatolia nella festa di S. Maria, e nelle tre altre lo stesso, e in oltre due quartari di grano, e due d'orzo. Da quella di S. Maria di Magliano nell'Ascenzione e nella Natività ed Annunciazione della Vergine la metà delle oblazioni, e nella festa di S. Benedetto le contribuzioni, come la prima, e di più un moggio di grano, ed uno d'orzo. Dall'altra Chiesa di S. Salvatore di Paterno ogni settimana una misura di pesce, ed ogn'anno nella Pasqua una libra di cera, due prosciutti, e un pulledro. Tutti i Rettori di queste chiese erano istituiti dal Preposto (2).
- Vidi anno 1086. Regesto Anno 1250 in Censualis Ecclesiae Sanctae Mariae in Valle Marculani, copia quondam notarii Francisci Floridi, in Archivo Monasterii Sancti Salvatoris Maioris, Anno 1601.
- Vidi anno 1137. 1191. Il Monistero di S. Maria di Rosciolo in Valle Porclianica era stato confermato con quel castello ex Monistero di Montecasino dall'Imperador Lottario nel 1137 e dall'Imperadore Arrigo VI nel 1191 di esso si fece.
Corografia storica degli Abruzzi pag.412-416
Castel Menardo
E' Terra in Abbruzzo ultra; e venne detta dall'autore dell'opera dei Nomi delle Provincie e Terra del Regno Castel Menardo (nomi di Province, p.8); ma da tutti i Descrittori Castel Minardo (Sofia, Descr. p.180, Eng. Descr. p.180, Beltr. Desc. p.316, Nuov. Situaz. p.95).
Ognun vede che vuol dire Castel di Mainardo, nome del fondatore (Castellum Manardi, forse di Maenardo) e del Signor del Castello. Egli è descritto fra le Terre del Contado di Mareri, e Baronia di Collalto.
Fu ne' tempi di Carlo V di 82 fuochi; nel 1595 di 61; e nel 1669 di 67.
A D.i 4:20 pagava D.ti 281:40 alla Corte.
Nel 1173 Castel Menardo in Valle di Pietra nel Contado Reatino era tenuto da Gentile Vetulo per feudo di un Soldato a cavallo. Segno di ventiquattro famiglie.
Era nel 1424 della Baronia de Signori di Poppleto dell'Aquila, Conti del Corbaro. In un documento del detto anno si legge: Castrum Maynardi (Instr. r.N. Andr. Angel. 16 Jun. 1424 in Arch. Cath. acq. c.5.).
Nel 1528 per opera dell'Abate di Farfa Napolione Orsini, cui promisero di rifare trecento scudi di spese, furono ricuperati i Castelli di Peschio Rocchiano, e di Castel Menardo ai conjugi Eleonora Gaglioffi, e Conte Alessandro Marsciano.
Nel 1533 i conti di Marsciano agitarono lite con Antonello Savelli pei Castelli di Peschio, e di Castel Menardo (Instr. r. N. Berardin. d'Accian. 12 Nov. 1533 in Prothocoll. in Archiv. Civ. Aquil.).
Nel 1592 avevano i Cesarini Padronato nelle Chiese di S. Mauro, e di S. Sabino del Castello Menardo della Diocesi Reatina (Bull. Collat. A. 1592. ap. Naud. Tabul. Reat. Arm.7 fasc. H. n. 10); ma per lunga vacanza devolute al Papa; Clemente VIII le conferì a Bartolomeo di Prospero.
Nel 1669 è intestato feudo di Giuliano Cesarino (Nu. Sit. p. 412).
Corografia storica degli Abruzzi pag.544-558
Collefecato
E' Terra d'Abbruzzo ultra (nomi di Province, p.8) né tempi di Carlo V situata di 93 fuochi (Eng., Descrittione del Regno, p.178), e di 63 nel 1595 (Nuova situaz. del Regno, p.95), e così nel 1669 (Beltr., Descr. p.198), qualor per essi a ducati 4:20 pagava ducati 264:69 alla Corte, che ne aveva assegnati ducati 200:59 à consegnatari. Il Sofia nella sua descrizzione del Regno nel 1614 (Sofia, descrittione del Regno, p.99), e gli altri descrittori dopo di lui, replicano questa Terra quasi fosser due, e nella Numerazion generale, e nella particolare di quelle del Contado di Mareri, e Baronia di Collalto.
Nel 1122 si legge S. Anastasia di Colle Fecato fra le Celle della Badia di S. Silvestro di Pietra Battida (v. S. Silv. di Pietr. Battit. 1122).
Nel 1143 Collefecato in Valle di Pietra nel Contado Reatono era tenuto da Gentile Vetulo per feudo di un soldato a cavallo, segno di ventiquattro famiglie.
Nel 1324 Ugo Stacca di Collefecato Signore di Poggio di Valle vendette questo Castello a Raimondo di Catania.
Nel 1424 era della Baronia dè Signori di Poppleto dell'Aquila Conti del Corvaro.
Nel 1450 assistette nell'Aquila al testamento di Margherita moglie di Lico di Rainaldo di Bazzano, e n'ebbe legato, Pietro Paolo di Petruccio di Rocca Oderisi Abate di S. Antonio di Collefecato (Instr. r. N. Antonucc. di Luz. di Dom. di Pogg. Vian. Aqu.1450 2 Ago. in Archiv. d. Sp. Magg. Aqu. n. 160).
Nel 1574 (Act. S. Visitat. 9 Mart. 1574. fol. 351.355 in Archiv. Cur. Reatin.) Pietro Castracani [CAMAIANI] vescovo d'Ascoli e Visitatore Apostolico della Diocesi di Rieti, venne nella Chiesa di S. Anastasia del Borgo di Collefecato che ei disse Castello della Giuridizione temporale di Giovanni Giorgio Cesarini, e di Giovannantonio Mareri a 9 di marzo, aveva il Castello più Ville, ed il Rettore delle anime risedeva nel Borgo a mezzo miglio da Castello nella chiesa di S. Anastasia, edificio scomposto, e disadorno. Dal Borgo più popolato, gli riusciva incommodo il salire al Castello per ministrate i Sacramenti, ed accorrere agli infermi. Era Rettore Sebastiano Quirico, e fece istanza perchè si decidesse fra lui, e Matteo di Prospero Abate di S. Giovanni a chi di loro spettasse la cura di trentatrè famiglie dentro il Castello.
La Badia di S. Giovanni è detta altrove come si vedrà, di S. Giovanni di Leopardo forse altra Villa di Collefecato allora distrutta, e si ebbe per vero o che da essa fossero passati in Collefecato quelle trentatrè famiglie, o che all'Abate tutte le anime fossero una volta date in cura, e poi se ne fosse trascurato l'obbligo.
Il visitatore per tanto sentiti i due contendenti, e i santesi, o siano Procuratori Laici della Chiesa, decretò che al Rettore di S. Anastasia si aggiungesse un sacerdote coadjutore per la cura, che risedesse nel Castello, e nella Chiesa di S. Maria dentro di esso, e che l'Università fosse acostretta a provvederlo di casa.
Non si spiega da chi si doveva lo stipendio al coadjutore, ma da quanto di fece poi sembra che dall'Abate.
Nel 1586 n'erano Baroni Francesco di Mareri, e Giuliano Cesarino (Mazzella, Descr. del Regno, 476).
Nel 1590 il vescovo Reatino Giulio Cesare Signo a 4 aprile decretò l'unione alla Chiesa di S. Anastasia del Borgo delle altre Chiese di S. Maria di Collefecato, e di S. Caterina, di S. Giovanni di Leopardo, di S. Tommaso, e di S. Croce delle Ville (Decr. union. 4 April.1590 cit. in Act. Visit. A. 1605 infr.)
Nel 1605 a 22 settembre (Act. S. Visit. 22 et 23 septembr. 1605 f. 181, 184, 185 in Arch. Vur. Episc. Reat.) il Vescovo Reatino Gasbare Pascali fece la sua visita in Collefecato e la cominciò dalla Chiesa di S. Maria di quel Castello, e nel di seguente caduto in venerdì in quella Chiesa notò i nomi de Preti, cioè l'Arciprete Giovanni Battista Cacciatempi, e tre Canonici Pascali di Felice, Vincenzo Roncetta dell'Aquila, e Vincenzio Quirico, e registrò che questi servivano anche la Chiesa di S. Anastasia. Quindi passò a quella, e la disse Parrocchiale del Borgo d'esso Castello.
Espresse, che la Cura delle Anime vi si esercitava da quei tre Canonici per eddomada (settimana) coll'Arciprete tanto in S. Anastasia quanto in S. Maria; che il Castello col Borgo era composto di ottanta fuochi; che la Chiesa di S. Anastasia, in vigore dell'unione del 1590, ch'egli venne così ad approvare, era già Collegiata con Capitolo, Collegio, Sigillo, e Borsa commune; che l'Arciprete era capo di tutti; che i quattro i quali rappresentavano il Collegio avevano quattro prebende col peso di risedere, e d'intervinire alle ore canoniche; e che invece delle distribuzioni quotidiane partecipavano de frutti delle Chiese unite.
Nel 1669 nella nuova situazione vien tassato Cesare Mareri per varj fiscali feudali sopra l'adoe di Collefecato, e sopra la Terra stessa (Nu. Situaz. p.375). Vien quivi segnato possessore della metà di Collefecato, del Poggio e della Valle Giulio Cesarino (Nu. Sit. p.411).
Nel 1707 il Vescovo di Rieti Martinelli a 5 febraio del suddetto anno confermò l'unione delle Chiese, la Collegiata, e tutto l'altro prescritto nel 1590, e 1605, e che si osservava; e fece stendere su ciò le capitolazioni (Decr. Episc. Reat. 5 Febr. 1707 cit. in Act. Visit. A.1712 infr.).
Nel 1712 (Act. Visit. A. 1712. 18 sept. f.13 a.t.65 in Arch. Cur. Episc. Reat.) venuto in visita a 18 settembre Bernardino Guinisio Vescovo Reatino la cominciò nel Borgo, e dalla Chiesa di S. Anastasia, e la disse Parrocchiale e Collegiata nuncupativa; di cui era Arciprete Bartolomeo Angelini, ma che era composta di tre Canonici: 1. Francesco Antonio Amicucci Parroco di S. Maria di Collefecato coll'obbligo di risedere nel Castello; 2. Niccolò Padovano, Parroco di S. Croce delle Ville tenuto a risedere in quella di S. Croce; 3. Giovanni Bravi, che risedeva in S. Anastasia; Coadjutore dell'Arciprete disse le rendite del Parroco di venti ducati; ma trovò controversa dai due Canonici di S. Maria e di S. Croce, ai quali riusciva incompatibile l'intervinire agli obblighi Divini in S. Anastasia in tutte le Feste.
Il Vescovo, li sentì, gli ridusse a trattato di fare nuovi capitoli. Furono di ricedere dall'osservanza di quelli. Il Curato delle Ville troppo lontane dal Borgo, lasciando all'Arciprete e agli altri due Canonici quanto possedevano prima dell'unione, ritenere per se, e pei successori le decime, e i terreni descritti nel Censuale di S. Croce. PEr mantenere una quasi unione, il Curato di S. Maria di Collefecato, e il Coadjutore continuare nell'unione coll'Arciprete, e venire ogni terza Domenica del Mese alla Processione, e agli ufizi nel solo mattino in S. Anastasia. E nella mattina del Corpus Domini l'Arciprete andare per la processione del Sacramento in S. Maria; e da quella tornare accompagnato dal Curato per fare lo stesso in S. Anastasia.
Il medesimo reciproco intervento nelle funzioni della Settimana Santa.
In qualunque tempo tutti e tre i Curati amministrare i Sacramenti promiscuamente ciascuno anche nella Chiesa dell'altro, e negli inviti alle Feste, preferire i Canonici ai Sacerdoti esteri. Questi articoli furono approvati dal Vescovo, che ne ordinò l'osservanza per decreto de 21 settembre.
Corografia storica degli Abruzzi pag.604-620
Corbaro
Si veggono antiche vestigie nei Campi del Castello di Corvaro d'una via che da Roma pel paese degli Equi conduceva a quello de' Sabini, e forse di là a Vestini. Presso di quella si vede un Elogio di Sabidio (Phoeb. Hist. Mars. Lib. 3 cap. 5 p. 177).
Il Castello però non si ha per antico, ed è situato non lontano da Turano, e da S. Anatolia (ib.).
E' famoso per quel Pietro di Rainalduccio dell'Ordine de Minori, che divenne Antipapa.
Il Convento de Minori per altro non è recente, e vi si conserva con venerazione uno de Cappucci di S. Francesco; ma perché povero di rendite per la costituzione d'Innocenzo X restò soppresso, e addetto al Clero Secolare, sotto la Rettoria dell'Abate Curato (Phoeb. ib.).
Fu già il Corbaro sotto il dominio de propri Conti, uno de' quali vi fabricò la Rocca, munita di bastioni, che venuta meno col tempo, nel 1660 serviva per uso di carcere (ib.).
Venne in dominio di Marcantonio Colonna Gran Contestabile e Duca di Tagliacozzo (ib.).
Qui comincia il Paese degli Equicoli, ora Cicoli, abitanti tuttavia all'antica maniera in Ville, e Castelli senz'avere qualche illustre Città, e fra selve, e anfratti di monti. Restano con tuttociò anche fra le rovine di antico castello distrutto alle vicinanze di Corvaro un monumento della gente Vettena, ora nella Chiesa di S. Elpidio (Phoeb. ib.).
Nel 1267 i Guelfi di Firenze diedero la Terra a Signoreggiare per dieci anni al Re Carlo, ed ei vi mandò per suo vicario Amelio di Corbara a 14 aprile, che vi stette fin alle calende di luglio (Pieri Cronic A.1266.1267 ap. Marini Rer. Italicar. T. 2 c.29). E nel febbrajo 1268 lasciato in Toscana col suo Maliscalco, venuto Corradino a Pisa, e le genti di lui coi Ghibellini avendo fatta scorreria sopra Lucca, il Maliscalco co' Guelfi lucchesi, andato a Pisa, e poi a Firenze donde s'avviò per Puglia al Ponte di Valle nel Contado d'Arezzo fu sconfitto nel di di S. Giovanni di Giugno dalle genti di Corradino, e restarono presi esso ed Amelio di Corbara (Pieri iv. A. 1268. c.30).
Nel 1307, Bernardo Roiano cittadino potente dell'Aquila, perseguitato dal giudice, ne usci e passato a Rojo, e poi a Pizzoli, si dovette rifugiare fuori di quel Contado, e posò nel Corbaro.
Nel 1316 era posseduto dalla Contessa d'Albe, e denominato Corbaro della Baronia.Nel 1319 era Signore del Castello di Corbaro in Apruzzo Gentile di Amiterno (Regest. R. Sicli. Neap. 1319. p.8 ib f. 195 fascic.41).
Nel 1323 aveva cominciato a determinare quello Stato, per cui tanto fece poi di strepito Pietro di Rainalduccio del Corbaro (Ego Petrus de Corbaria si soscrisse nell'atto di sua rinuncia nel 1330. Corrottamente i posteriori scrittori l'an detto Cervara, o di Corbara; altra Terra d'Abbruzzi, ma nella Diocesi di Penne). Egli era già maritato con Giovanna Mattei, o di Matteo da qualche tempo; e per una sua o velleità, o altra voglia si risolvette senza consenso di sua moglie vestir l'abito di Minorita Francescano. In questo anno, benchè la moglie dissentisse, diede l'altro passo maggiore, e più irregolare facendo professione.
In Religione egli, che la trovò tra fazioni sul punto del Voto della povertà prese presto partito, e si diede a quello di Micchele da Cesena Stato Generale dell'Ordine, e poi divenuto uno de più grandi turbatori di quello. Coll'aderire alla persona dovette in breve aderire agli errori di Micchele, e benchè questo venisse condannato, egli non l'abbandonò, anzi procedette, come quello, ad entrare in maggiori partiti, divenendo fautore di Lodovico il Bavaro Imperadore apertamente nemico del Papa Giovanni XXII dimorante in Avignone (Act. Renunc. Petr. Rayn. mj ap. Raynald. annal. eccl. a 1330 n.12 - ead. ap. Bernin. Stor. dell'Eres. Sec. 14 cap. 3 p.502).
Stanziava nel Convento di Araceli in Roma Pietro, e quivi fra convittori religiosi ebbe Alvaro Pelagio sotto discepolo di Giovanni Scoto, Penitenziere Apostolico, e poi Vescovo prima di Corone in Acaja, e poi di Silves in Portogallo, dal quale fu descritto il suo carattere, e la vita (Alv. Pelag. lib. I. c.37 - Bernin. L.C. - Pelag. L.C.). Era disse un uomo ipocrita: decimava in alcune esteriori astinenze l'aneto, e l'amenta, ma in secreto facendo peculio sedeva di continuo tra femminelle romane, e cattava gloria.
Nel 1328 l'Antipapa Pietro Rainalducci, sotto il nome di Niccolo V. andato coll'Imperadore Lodovico il Bavaro a 5 Agosto 1328 in Viterbo, coi Cardinali scismatici da lui creati vi stette oltre a un mese, assistito e difeso da Silvestro Gatti, che teneva la Signoria della Città, in cui fece non meno funzioni solenni nella Cattedrale, che promozioni d'altri Cardinali, fra quali Pandolfo Capocci, cui conferì il Vescovado di Viterbo, vivente il proprio Vescovo Angelo de Signori assente, e da lui dichiarato decaduto. Anatematizzò e spogliò di benefici tutti gli ecclesiastici fautori del Papa vero, distribuendoli a suoi paritarj (Correttin. Chron. di Viterb. press. Bussi Istor. di Viterb. P. I. Lib.4. p.191). Passò poi a resedere in Pisa ne venne interdetto alla Città, sospenzione ai Provisti, e persecuzione d'armati a Viterbesi, che s'interruppe coll'ubbidienza prestata al Papa Giovanni a 15 febbrajo 1330, ma ritornati essi al partito del Corbaro, e del Bavaro, finì colla nuova assoluzione a 4 d'Agosto 1333 (Bull. Joh. P.P. XXII dat. Avenion. 15 Feb. 1330, et 4 Aug. 1333. cit. a Bassi Istor. Viterb. P.I L.4. p. 192.193).
Venuto Lodovico Bavaro in Roma, e non senza opera di Michel da Cesena, avendo a 18 di Aprile denunciato per decaduto dal Pontificato Giovanni XXII, diede l'altro passo, e inalzò al Papato Pietro Rainalducci, che prese il nome di Niccolò V.
Le prime cure nel suo antipapato furono di servire in tutto al suo Promotore Lodovico. Egli lo incoronò di nuovo Imperatore, con sua instanza egli scomunicò il Papa Giovanni XXII. Creò alcuni Cardinali, scomunicò molti cattolici (Giovan. Villani Cr. L.20 c.75). Alla fama di tanti rumori si svegliò Giovanna Mattei sua moglie vivente ancora, e parendo a lei che nel nuovo stato non dovesse dissimular più, fece istanza avanti a Giovanni vescovo di Rieti nella Diocesi del quale è Corbaro, e intentò giudizio sull'invalidità della professione di suo marito (Decr. Ep. Reat. 29 dec. 1328). Riportò presto quella sentenza, che giustamente spettava, e per decreto de 29 dicembre fu detto essere stato senza di niun giusto titolo disciolto il Matrimonio, e che perciò doveva ritornare a Giovanna Pietro, il quale mutato nome si faceva chiamare Niccolò (in Regest. Vatic. an13 p.118 - idem cit. a Bein. Guid. de Imp. Rom. ms. 111, Bibl. Vatic. n.2043 ap. Bernin. Stor. dell'Eres. Sec. 14. C. 3 - id ap. Wadign.).
Fu trasmessa originalmente in Avignone al Papa Giovanni XXII e da esso fu partecipata a tutti i Principi Cristiani (Epist. Secr. To. 7. p. 1. p. 118 ap. Bernin. L. C.).
Pietro però non cedette si presto, e durò nello scisma ancor dopo partito il Bavaro da Roma fino alla state del 1330 allora si portò a Pisa, e da Pisa in Avignone a pie del vero Papa. Avanti di lui, del Collegio de' Cardinali, e di molta Prelatura, Clero, e Popolo in Concistori pubblico a 25 di Agosto (Act. renunc. Petr. antip.ap. Rayn. An. Eccl. a 1330 n. 12. ead. ap. Bernin. L.C.).
La Baronia del Signore del Corbaro era tassata nel Vescovado di Rieti per le Decime circa il 1354 (Act. Decimar. 1407).
Nel 1672 aveva già il Contestabile Colonna titol di Duca della Corvara (Campanil. Notiz. di Nobilt. Not. 19 p.443).
Corografia storica degli Abruzzi pag.604-620
Corografia storica degli Abruzzi, lib. XXXIII, f. 711
Latusco
Terra d'Abbruzzo Ultra, e del Contadoi d'Albe e Tagliacozzo, corrottamente da i descrittori detta Latresco. Ritenne il nome di Latusco nell'opera de' Nomi delle Provincie. Era a tempi di Carlo V di 22 fuochi; nel 1595 di 19; e nel 1669 chiamata Lattusco, e data per disabitata (Nom. d. Prov. p. 8, Sof. Decr. d. R. p. 103, Eng. descr. p. 182, Beltr. Descr. p. 316, Nuova situaz. p. 105).
Da Filippo Colonna duca di Tagliacozzo era descritto il feudo di Latusco nel 1669 (nuova situaz. p. 417).
Nel 1437 il Conte di Celano trattò sospensione d'ostilità cogli Aquilani, e Francesco Piccinino capitano de Re Renato pel suo Contado di Celano, Albe, Carapelle, Capestrano, e Latuschio. Quest'ultimo dunque, o era suo, o a lui commendato (Treugr. 22 maii 1437. V. Aquila).
Nel 1310 era prete della chiesa di S. Tommaso di Latuscolo Oddone cui nel dicembre fù conferita la chiesa de S. Martino du Turano (Bull. 8 dec. 1310. V. Turano).
Nel 1316 per la metà di Latuscolo si legge tassato nell'adoa, Leone della Montagna (Regest. Robert. Reg. 1316).
...
Corografia storica degli Abruzzi pag.144 o 127
Poggio di S. Giovanni
Terra in Abbruzzo ultra, e del Contado di Mareri, e Baronia di Collalto, ne' tempi di Carlo V di 19 fuochi, di 21 nel 1595, e di 31 nel 1669, per cui a 74:20 pagava 7130:20 alla Corte, che ne aveva dati 71:98 a Consegnatarj (Cost. nom. d. Prov. p.9 - Sof. descr. d. R. p. 102 - Eng. descr. p. 180 - Beltr. descr. p. 315 - Nu. Situaz. p. 100).
1316 Francesco di Rocca di Ranisio, o sia Randisio era possessore di Poggio S. Giovanni (Regest. Robert. Reg.1316).
Nel 1669 fu situata feudo di Giuliano Cesarino (Nu. Sit. p.422).
Corografia storica degli Abruzzi - vol.XL-1 - S.Stefano-Serra - pag.17-20
S. Anatolia
Terra d'Abbruzzo Ultra del Contado d'Albe e Tagliacozzo detta dal Costo: Santo Natoglia (Costo nomi di Provincia p. 10); dal Sofia Santa Natolia (Sofia descrizione del Regno, p. 104); e nella Nova Situazione Santa Natoglia (Eng. Descrittione, p.182, Beltrano Descrittione p. 316, Nuova Situazione p. 102).
Era ne' tempi di Carlo V di 130 fuochi; di 114 nel 1595; e nel 1669 di soli 43 per cui a 74:20 pagava 7180:60 alla Corte.
Nel 1669 n'è descritto Padrone Filippo Colonna duca di Tagliacozzo (Nuova Situazione p. 427),
Dopo quanto s'era scritto da Aleri, così scrisse il continuatore del Ferrari (Corner Stagio. Log. Ital. 9 Iul. 1.2.p.21 ex Mro. Soc. Rom. Adon. Ferrar. et altri)):
Anatolia Vergine Romana, da un giovane, le cui nozze ella aver ricusate pel desiderio di custodire la verginità fù accusata per Cristiana nella persecuzione dell'Imperadore Decio, e fù mandata in esilio in Tora città presso il Lago Velino. In quella promulgando essa le lodi di Cristo Dio e facendo molti miracoli, convertì anche molti alla luce dell'Evangelio. Imprigionata dunque dal Presidente Faustiniano, non essendosi potuta indurre per alcun modo al culto degli Idoli, sospesa nell'eculeo, fù fatta tormentare crudelmente. e poi scottare per via di fpcelle applicate ai fianchi. Fu poi racchiusa in carcere, nel quale da Audace uomo venefico fiè introdotto un serpente, perché con qualche morsicatura mortale la finisse. Vi stesse il serpente tutta la notte senza fare alla Vergine offesa alcuna. Nel mattino seguente andato Audace nel carcere fu assalito da quello e l'avrebbe ucciso se per le orazioni d'Anatolia non gli fosse stato vietato di morderlo. Audace allora commosso da quel miracolo si fece Cristiano e per la conversione di lui, il Preside fece trafiggere di spada Anatolia, e non molto poi decapitare Audace. I corpi de' due martiri furono sepolti da Cristiani, quello però di S. Anatolia presentemente si conserva e si venera nel castello del nome stesso di S. Anatolia, ai confini del Piceno, e dell'Umbria, nella Chiesa a lei dedicata, nella quale se ne celebra la festa a 9 di luglio.
Aggiunge altrove (Corner. ib. 23 Dec. p. 354 et A. don.), che il nome dello sposo rifiutato dalla Santa, era quello di Aurelio, e che colui implorò l'aiuto di Eugenio promesso sposo a Vittora Sorella d'Anatolia, acciocché l'esortasse a consentire alle nozze. Ma ne avvenne il contrario, perciocché Vittoria dalle parole della Sorella, allettata a mantenere la Verginità, rifiutò ancor'essa Eugenio, e confortata dalle parole e dall'esempio d'Anatolia, vendute le gemme e gli altri ornamenti, ne distribuirono tutto il prezzo ai poveri, onde a denuncia degli sposi, furono trasportate per ordine di Decio nei presidi quei medesimi, dovel afflitte di fame, e di patimenti, stettero costanti nel loro proposito, e a Vittoria, che aveva aggregate altre Vergini fù trapassata una spada nel cuore dal carnefice Taliarco mandato colà dal Pontefice del Campidoglio ad istanza di Eugenio. Fù il corpo di lei riverentemente sepolto, ma non è notato da chi e dove.
Nel 1282 dal Papa Martino IV si mandò in Portogallo per sottocollettore della decima di Terra Santa Monaldo di S. Anatolia dell'Ordine de' Minori. Or si vuole, ch'egli fosse del Castello di S. Anatolia della Diocesi di Camerino della Marca d'Ancona, nel quale i Frati Minori ànno convento (Bull. Martin. IV PP. dat apud Mont. Flascon. 3 id. Nov. Pont. A 2. ex Reges. Vatic. p. 112 ap. 113 ap. Wading A. O.M. 1282 n. 6 et ap. Sbaral. Balalr. Francisi T. 3 p. 496 et 497 not.b.).
In istrumento scritto in Amiterno nel 986: viene nominato il fiume Torano, che ha preso, come vuole il Galletti, quel nome da Tora antica città, i cui vestigi si veggono tuttora di rimpetto a Castelvecchio, e Antuni, poco sopra Collepiccolo, ove è la divota, e frequentata Chiesa di S. Anatolia, il cui Sacro corpo è stato poi trasferito nella Chiesa del Monistero di Subiaco. Era Tora distante da Trebula Metusca, oggi Montelione nella Sabina, circa sette miglia, o tredici, o quattordici da Rieti (Galletti del Primicer. p.79 et 347.).
Corografia storica degli Abruzzi pag.437
Spedino
E' Terra in Abbruzzo ultra, e del Contado di Albi e Tagliacozzo. Ne' tempi di Carlo V di 29 fuochi, di 22 nel 1595, o come dice l'Eng. di 21, e di 23 nel 1669, f cui a 74:20 pagava 754:60 alla Corte (Cost. nom. d. Prov. p. 10 - Sof. descr. d. R. p.104 - Eng. descr. p. 182 - Beltr. descrit. p.315 - Nu. Situaz. p. 102).
Nel 1669 n'è detto possessore Filippo Colonna duca di Tagliacozzo (Nu. Sit. p. 427).
Nel 1316 venne denominato Speduno (Regest. Robert. Reg. 1316).
Era Villetta. Fr. Girolamo di Spedino nel 1480 fu uno de Padri che ridussero in Convento de Frati minori il monastero di S. Angelo d'Ocra.
Corografia storica degli Abruzzi pag.732-735
Torre di Taglio
E' Terra d'Abbruzzo ultra, e del Contado di Mareri, e Baronia di Collalto detta dal Sofia Torre del Taglio era ne' tempi di Carlo V. di 56 fuochi, di 64 nel 1595, e nel 1669 di 61, per cui a F. 4:20 pagava D.ti 256:20 alla Corte (Cost. nom. d. Prov. p. 10 - Sof. Desc. d. R. p. 102 - Eng. Desc. p. 181 - Beltr. Descr. p.316 - Nu.Situaz. p. 103).
Sopra d'un piccolo ruscello, che ha il suo ponte è situata Torre di Itaglia, e su quel ponte si legge memoria di Rajo che militò nella Corte Pretoria, Beneficiario del Cesare Druso (Phoeb. Hist. Mars. L.3. c. 5. p. 178).
Nel 1534 si ha menzione del Castello di Torre di Tutaglio in contratto fra gli eredi d'Antonio di Paolo di quel Castello, e Battista di Iacopo di Amichetto di Radicaro Villa non lontana (Instr. v. Radicar. p. m. N. Ang. Fabii. de Pod. Vian. Comitat. Marer. 20 Jan. 1534, in Arch. Civ. Aqu. n. 296).
Nel 1669 seguiva il feudo in testa di Giuliano Cesarino (Nu. Sit. p. 428).
Corografia storica degli Abruzzi pag.880-886
Turano dell'Aquila o d'Apruzzo
1316. Fù contato fra i beni feudali di Amelio de Corbaro Torano con altri feudi a confini d'Apruzzo (Regest. Robert. Reg. 1316).
Terra d'Abbr. ultra, e del Contado d'Albe e Tagliacozzo, detto alla Nuova Situazione del 1669 Turano dell'Aquila, a differenza del Turano detto di Penna. Era ne' tempi di Carlo V. di 109 fuochi, nel 1595 di 84, e nel 1669 di 61 per cuji à f. 4:20 pagava 256:20 alla Corte (Sof. Descr. d. R. p. 104 - Eng. Descr. p. 182 - Beltr. Descr. p. 316 - Nu. Situaz. p. 103).
Se non proviene il nome dal fiume, e se al fiume non proviene da Tora, potrebbe Turano esser nome più che antico. Marte in una Tavola Eugubina si dice Turano. Da Omero si disse Turios, Τὦριος 'Αρὕς (Guarnacc. Ong. Ital. Lib. 5. c. 1. p.63)
Si ripete l'origine del nome da un predio di Sabidio Tauro, detto perciò Tauranutur, e si vuole che fosse lo stesso con Sabidio vissuto a tempi di Tiberio Imperadore, di cui s'ha monumento nel vicino Corbaro. Altri penda che abbia l'etimologia dal fiume Torano, che gli scorre d'appresso (Phoeb. H. Mars. L.3, c.5, p.176 v. Sabidius Taur. - v. Sabis. Primigis. - Cluver. Ital. Ant.).
Ma del Castello si vuole che sia la fondazione dopo il 1268, cioè che devastati dal furor militare dell'esercito di Corradino le ville del contorno, gli abitatori privi di case, e di sostanze, per non patire consimili disgrazie altra volta, si unirono a fabbricare un luogo di abitazione comune. A questa o tradizione, o conghiettura, quadrerebbero ambedue l'etimologie del nome. Meglio però la seconda, perché meno erudita, e più naturale, ed ovvia (Phoeb. L. c.).
E' Turano distante da S. Anatolia un miglio, ed altrettanto dal Corvaro.
Nel 1240 l'Abate di Turano, della Diocesi Reatina, dal Papa Gregorio IX venne delegato a prendere informo della vita, e de miracoli di Oddone Certosino morto in concetto, e venerato in Tagliacozzo (Brev. 13 dec. 1240. cit. ab Anon. Hagiolog. Italic. 14 januar. v. Tagliacozz.).
Nel 1310 nella Diocesi di Rieti, Oddone Prete della Chiesa di S. Tommaso di Latuscolo, dal Vescovo Reatino agli 8 di Dicembre fù conferita la Chiesa di S. Martino di Turano della Diocesi medesima (Bull. Collat. A. 1310. 8 dec. ap. Naud. Tab. Reat. Arm. 7 fasc. 5, n. 1).
Nel 1537 fù prescritto a Lucio Garriga Tesoriere della Provincia d'Apruzzo ultra, che non molestasse Ferdinando Rota per l'adoa da beni feudali da 14 ottobre 1533 in avanti, giacchè da quel giorno, preso possesso dell'ufizio di Presidente laico della Regia Camera, era divenuto immune (Arrest. Reg. Cam. 30. oct. 1537. ap. de Marin. n. 40).
I feudi del Rota erano Turano, Marano, Rosciolo [nè Marsi], e Rizzacorno [presso Castelnuovo di Lanciano] (v. Vita di Ber. Rota). Antonio Rota che viveva nel 1496 ebbe più figli, alcuni gli premorirono, e Ferdinando gli succedette nei feudi. Costui non ebbe figli, e gli succedette il fratello Alfonso, che pure senza prole morì nel 1565. Restò erede Berardino Rota chiaro Poeta, che morì nel 1575 (v. iv.).
Nel 1316 fu registrato Turano fra le terre della Contessa d'Alba (Regest. Robert. Reg. 1316).
Ne siegue, che tanto quella, quanto le due altri ne Marzi, furono acquistate dai Rota qualche tempo dopo (v. Pizzocorno 1313).
Nel 1610 era Marchese di Turano Gio: Pietro Caffarelli Romano (Lett. del Cap. Aqu. 7 marz. 1610, in Arch. d. Citt. Aq. c. 90.
Nel 1669 è segnato Marchese Gasparro Caffarella (Nu. Sit. p. 405) benchè ivi in altro luogo si dica Giovampietro Caffarella, perciocchè forse stava ancora à costui che viveva nel 1610 (iv. p. 406).
Nel 1586 n'era Signore Ascanio Caffarelli (Marzell. Desc. del Regn. p. 477)