Capitolo IV - Prime Visite Pastorali

1. Visita pastorale del vescovo Giovan Battista Osio - 2. Visita pastorale del vescovo Marco Antonio Amulio - 3. Visita pastorale del vescovo Pietro Camaiani - 4. Visita pastorale del vescovo Costantino Bargellini - 5. Seconda visita pastorale del vescovo Costantino Bargellini - 6. Terza visita pastorale del vescovo Costantino Bargellini - 7. Vescovi, sacerdoti e parrocchiani tra il 1570 e il 1600

1. Visita pastorale del vescovo Giovan Battista Osio

Nel 1561 il vescovo di Rieti, monsignor Giovan Battista Osio, visitò la sua diocesi e, passando per le nostre parti, fece, come suo dovere, l'elenco delle chiese e dei sacerdoti che esercitavano nei nostri villaggi (1). In quel tempo i territori della diocesi di Rieti erano stati divisi in vicariati e nella nostra zona era stato costituito il vicariato del Corvaro che comprendeva i paesi di Corvaro, Santo Stefano, Castelmenardo, Collefegato, Poggiovalle, Collorso, Spedino, Latusco, Torano, Cartore, Sant'Anatolia, Grotti e Ville.

Era la mattina presto del 5 agosto quando il vescovo visitò la chiesa rurale di Santa Maria del Colle posta nella valle, tra il territorio di S. Anatolia e quello di Torano, nei pressi dell'odierno cimitero. La chiesa era retta da un tale don Giorgio che in quell'occasione era malato ed allettato a S. Anatolia. La chiesa era mal custodita, la porta non si chiudeva e raramente vi si celebrava. Venne ordinato dal vescovo che vi si celebrasse messa almeno una volta alla settimana.

Il vescovo si diresse verso il castello ma, prima di entrare nelle sue mura, visitò la chiesa di S. Anatolia che era la parrocchiale. La chiesa veniva chiamata abbazia ed era governata dall'abbate don Vincenzo Innocenzi coadiuvato da tre canonici, don Giovanni Bartolomitti, don Giovanni Angelo Sebastiani e don Novello Domenico.

Don Vincenzo aveva ricevuto la nomina il 19 settembre del 1559 (2) al posto del rinunciatario don Jacopo Antonio de Stabilibus. Questi, clerico reatino, era stato parroco per meno di due mesi. Infatti quel ruolo gli era stato conferito il 21 luglio del 1559 (3) quando la parrocchia era rimasta vacante a causa della privazione «per demerito» del precedente parroco don Bernardino di S. Anatolia. Don Jacopo Antonio, non essendo del luogo, rinunciò alla parrocchia in favore di don Vincenzo. Don Vincenzo il 10 dicembre del 1541 (4) aveva ricevuto in cura gli altari di Sant'Andrea, Santa Lucia, e Sant'Anatolia posti nella chiesa parrocchiale di Sant'Anatolia. Nel 1561 (5) era rettore dell'altare di Santa Lucia e canonico nella chiesa di San Lorenzo in Cartore. Nel 1569 (6) firmò in qualità di testimone la pergamena in cui Giovanni Vincenzo Valignani venne investito della baronia di Sant'Anatolia, Spedino, Latuschio e Cartore. Nel 1587 (7) aveva in cura anche la chiesa di San Nicola detta di Cartore. Morì nel 1588 e la cura delle sue chiese passò a don Berardino Mario (8).

Don Giovanni Bartolomitti (o Martommitti), oltre ad essere canonico della chiesa di S. Anatolia, era anche abate parroco della chiesa di San Lorenzo in Cartore e rettore dell'altare di Sant'Andrea. Don Giovanni Angelo Sebastiani, oltre ad essere canonico della chiesa di S. Anatolia, era rettore dell'altare di Santa Maria. Don Novello Domenico il 15 luglio del 1559 (9) era stato nominato canonico della parrocchia di S. Anatolia al posto del precedente canonico don Cola Angelo di Albe ed ebbe questa nomina fino alla morte. Nel 1561 e 1570 (10) era rettore dell'altare di San Sebastiano e della cappella della Beata Maria Vergine. Venne citato in un documento del 1575 in cui si diceva che il beneficio di San Lorenzo era vacante per la sua morte (11). Nel 1564-1570 era rettore della chiesa di San Lorenzo in Cartore (12). Morì nel 1588 lasciando ad don Antonello Antonelli il proprio canonicato (13).

Ogni canonicato possedeva dei beni, consistenti soprattutto in piccoli appezzamenti di terreno, i cui frutti servivano a ricompensare i vari sacerdoti che ne beneficiavano e che in cambio dovevano mantenere in buono stato le chiese.

Il vescovo interrogò l'abate ed i canonici sulla regola della chiesa ed essi risposero che «ordinariamente si celebra almeno una volta al giorno, mentre nei giorni di festa due messe cantate e due lette». Li interrogò quindi su quanto e come erano divisi i compiti e la cura ed essi risposero che «nessuno ha un compito speciale, ma quando uno è chiamato per assistere un malato o similmente per un battesimo, va !». Interrogati su come venivano distribuite le decime e le elemosine tra loro, essi risposero che «due terzi vanno all'Abbate e la restante parte viene distribuita ai tre canonici». Dopo aver celebrato la messa e fatto il sermone al popolo il vescovo somministrò la cresima a 235 persone.

Essendo fuori dall'abitato, ed esposta al rischio di furti ed atti vandalici, il vescovo si prodigò affinchè tutto ciò che era prezioso e trasportabile venisse conservato nella chiesa di San Nicola sita all'interno delle mura. La chiesa di San Nicola aveva il fonte battesimale e ivi si conservava il Santissimo Sacramento. La chiesa di S. Anatolia invece, proprio per la sua collocazione lontana dalle abitazione, si guadagnò il ruolo naturale di chiesa sepolcrale.

Il vescovo fece una visita accurata della chiesa. L'altare maggiore, intitolato a S. Anatolia, era un po' trascurato soprattutto nelle suppellettili. Alla santa era intitolata anche una cappella, quella, con l'affresco di Anatolia, che ancor oggi viene venerata dai fedeli. Il secondo altare era intitolato a San Sebastiano ed era retto da don Novello. Vi era una confraternita intitolata a San Sebastiano che raccoglieva delle offerte per la celebrazione di messe e per la cura dell'altare. Il terzo altare era in onore di Santa Maria ed il rettore era don Giovanni Angelo. All'altare erano intestati alcuni appezzamenti di terreno che servivano per mantenerlo. Il quarto altare era dedicato alla Beata Maria Vergine e vi era eretta una cappella. Di esso era rettore don Novello e raramente vi si celebrava. Il quinto altare era dedicato a Santa Lucia. Vi era eretta una cappella di cui era rettore l'abbate Vincenzo Innocenzi. Raramente vi si celebrava. Aveva alcuni beni. Il sesto altare era intitolato a Sant'Andrea e vi era una cappella di cui era rettore don Giovanni Bartolomitti. Raramente vi si celebrava. Possedeva alcune proprietà.

Dopo aver visitato gli altari il vescovo fece un lungo elenco delle suppellettili, calici, tabernacoli, patene, stoli, manipoli, tovaglie, pianete, incensieri, corporali, messali, etc. trovati nella chiesa. Controllò le porte che si chiudevano bene, vide che la struttura in generale era ampia e decente, ma che in alcuni punti aveva bisogno di qualche riparazione. Infine annotò che c'era un campanile con due campane e un campanello posto all'interno della chiesa.

Il vescovo chiese informazioni sulle chiese di Cartore e, riguardo a quella di San Lorenzo, gli dissero che era considerata collegiata e abbadia. L'abate era don Giovanni Bartolomitti coadiuvato da tre canonici, don Vincenzo Innocenzi, don Giovanni Catini di Collefecato e don Simone Costanzo. La chiesa rurale di San Costanzo era invece retta da don Berardino di Santa Anatolia. Chiese informazioni sulla chiesa parrocchiale di San Leonardo di Cartore anch'essa chiamata abbadia. In essa si conservava il culto antico per il quale i malati di dolori articolari, dopo aver percorso con grande fatica il difficile sentiero che vi conduceva, prelevavano, nei pressi dell'altare del Santo, frammenti di minerale di ferro proveniente dalle rocce soprastanti. Gli dissero che da molto tempo era vacante e che in quel periodo se ne era occupato don Berardino. Il vescovo decise di affidarla a lui anche nel futuro.

Don Berardino Mario aveva ricevuto in cura il beneficio semplice di S. Costanzo il 28 ottobre del 1545 (14). Nel 1581 aveva in cura anche l'altare di S. Andrea (15). Dal 1588, anno della morte di don Vincenzo Innocenzi, ebbe in cura la parrocchia di S. Anatolia (16). Morì nel 1609 quando il beneficio di San Costanzo passò a don Giovanni Antonio Cesari di Sant'Anatolia e la parrocchia a don Innocenzo Innocenzi (17).

Il vescovo, dopo aver pranzato, andò a visitare la chiesa di San Nicola posta nel castello di Sant'Anatolia. La trovò piuttosto grande e ordinò che fossero riparate alcune tavole del tetto. Trovò che la porta era in buono stato e vide il campanile con due campane. Come già fatto nella chiesa di S. Anatolia controllò le suppellettili, gli oli sacri e lo stato generale della chiesa. All'interno della chiesa, davanti al Sacramento, ardeva una lampada che veniva sempre rinnovata dalla confraternita del Corpo del Signore i cui confratelli, settimanalmente, si occupavano di procurare attraverso le elemosine, le candele e gli oli per le lampade e tutto il necessario per l'altare. Prima di congedarsi con il parroco gli ordinò di predisporre due libri, in uno dei quali scrivere tutti i nomi dei battezzati, nell'altro quelli dei morti e di redigere l'inventario di tutti i beni.

2. Visita pastorale del vescovo Marco Antonio Amulio

Dopo la morte del vescovo Osio, avvenuta nel 1562, venne eletto Marco Antonio Amulio. Due anni dopo un suo incaricato, il vicario Valente, venne a far visita al nostro paese. Era la mattina del 5 novembre del 1564 quando arrivò, a cavallo del suo destriero, nella piazza del paese (18). Dapprima ascoltò la messa, celebrata da don Vincenzo Innocenzi, poi visitò accuratamente sia la chiesa di San Nicola che quella di Sant'Anatolia e, rispetto alla precedente visita del vescovo Osio, trovò che la situazione era rimasta invariata. Siccome pioveva a dirotto, non potè visitare le chiese di Cartore. Il 10 novembre, dirigendosi verso Torano, visitò la chiesa di Santa Maria del Colle, della quale gli dissero che l'Illustrissimo signore Vincenzo Valignani pretendeva di avere lo Ius patronato. Il vicario trovò la chiesa in uno stato miserevole: «è in stato di abbandono e spogliata di tutte le cose. Ha una parete crollata. Bisogna prendere una decisione in merito ad essa chiesa, e non permettere che pian piano si demolisca, vada in rovina e in desolazione».

Nel 1570 il vescovo incaricò il suo vicario don Roberto Manardo, insieme al notaio don Flaminio Jotio Emilio e ad un «servo et milite», di effettuare una seconda visita pastorale nella valle del Turano e nel Cicolano. Il 26 agosto 1570 il vicario, lasciato il castello di Latuschio, si diresse verso Sant'Anatolia (19).

La visita ebbe inizio nella chiesa rurale di S.Maria del Colle. C'era una grande devozione da parte del popolo e del clero. Nel giorno della festa della gloriosissima Vergine e nei singoli giorni della domenica di Quaresima e della domenica della Pasqua di Resurrezione, due processioni partivano da Torano e S.Anatolia e convergevano nella chiesa di S.Maria del Colle e tutti i sacerdoti celebravano la messa assieme. La chiesa era ben tenuta nel tetto, pavimento e porta, ma era malcustodita e bisognosa dei paramenti per gli altari. Il vicario designò dei «santesi» a cui assegnare parte dei frutti della chiesa, da utilizzare per la celebrazione delle messe, tutte le domenica dell'anno, per adornare l'altare e per tenerla sempre chiusa negli altri giorni, in quanto essa era campestre ed non controllata. Poi incaricò quali santesi i signori Cesare Catini di Torano e Battista Pietro di S.Anatolia, con facoltà e potestà di ricevere e recuperare i frutti di detta chiesa e, oltre quelli, tutto quanto possa essere utile per sistemare la chiesa nel migliore dei modi.

Il parroco di Sant'Anatolia era sempre don Vincenzo Innocenzi coadiuvato da don Berardino Cola Ciatti, don Novello Domenico e don Giovanni Berardino «magistri» Mario.

Don Berardino Cola Ciatti o Ciatto di Sant'Anatolia nel 1570 era canonico della chiesa di Sant'Anatolia, della chiesa di San Lorenzo in Cartore, rettore dell'altare del San Salvatore e della cappella di San Sebastiano. Nel 1574 era anche rettore della chiesa di San Nicola in Cartore (20).

Dopo aver chiesto loro di esibire i titoli riguardanti i benefici goduti, e le bolle di ordinazione, il vicario li interrogò se avessero una regola o un modo di servire il signore. Essi risposero: «non havemo costituzioni, ma servemo una Edogmada [settimana] per uno, e ciascuno dice la sua messa, ogni dì de la sua Edogmada, et li giorni di Domenica e di altre feste sollenne, convenimo tutti insieme a la messa cantata. E rare volte, è che non dichiamo tutti la messa, e solemo ancora i giorni sollenni cantar il vespro, e gli altri giorni di festa, leger il vespro e la compieta». Interrogati sull'amministrazione e la cura delle anime, risposero: «la facemo tutti insieme secondo che siamo chiamati». Interrogati sul modo in cui vengono distribuiti i frutti di dette chiese e quali sono le condizioni, risposero: «ognuno ha la sua prebenda destinta, de le possessioni, et de le decime e de alcune altre elemosine ne facemo cinque parti, due per l'abate, et una per uno per li canonici». Interrogati circa il valore, risposero: «son tanto poche ch'è una vergogna a dirlo, et apena arriva ad 01 some per uno l'anno per canonico».

Il vicario si apprestò a visitare la chiesa di Sant'Anatolia nella quale, nonostante sia la parrocchiale, non si conservava il Santissimo Sacramento, il quale si trovava nella chiesa di San Nicola che è più sicura, trovandosi all'interno del castello. Sopra l'altare maggiore vide una grande statua della Vergine e sopra un piccolo crocifisso. Su di esso c'erano tre tovaglie di stoffa, un pallio dorato con l'immagine di San Sebastiano e due candelabri di legno. A sinistra dell'altare maggiore c'era quello di San Sebastiano, il cui rettore era don Novello. Esso era posto in una cappella chiusa con un cancello di legno. Nella cappella, adorna di varie pitture, c'era la statua di San Sebastiano. La cappella veniva curata dalla confraternita di San Sebastiano la quale, con le elemosine, soddisfava la celebrazione delle messe. Vicino all'altare di San Sebastiano c'era quello dedicato a Santa Maria Vergine, il cui rettore era sempre don Novello.

Al lato destro dell'altare maggiore c'era quello intitolato al Santo Salvatore, alla consacrazione della chiesa ed a Santa Maria il cui rettore era don Berardino Ciatto. Il titolo venne trasferito nella cappella di San Sebastiano. Vicino c'era l'altare di Sant'Andrea di cui era rettore don Berardino Mario e il cui titolo venne trasferito nell'altare maggiore. Poi c'era l'altare di Santa Lucia di cui era rettore don Vincenzo e il cui titolo venne trasferito nell'altare di Santa Maria. Infine c'era la cappella di Santa Anatolia, in un saccello recintato da una cancellata di legno, il cui titolo era unito all'abbadia.

Poi vide il campanile con le due campane e vide che il corpo della chiesa era abbastanza grande e di forma decorosa. Il pavimento aveva bisogno di essere livellato. C'erano delle sepolture addossate alle pareti delle due navate. La porta era ben chiusa. Il vicario terminò la visita della chiesa di S. Anatola a mezzanotte.

La mattina del 27 agosto, il vescovo andò a visitare la chiesa di San Nicola, posta al centro del castello di Sant'Anatolia. Vide Il Santo Sacramento posto in un tabernacolo dorato, gli olii sacri e il fonte battesimale che era posto nella cappella di San Giovanni. Nel fonte trovò una coppa di terracotta che ordinò fosse sostituita con un'ampolla di vetro. Interrogò i sacerdoti sul numero dei fuochi che c'erano nel paese, cioè delle famiglie, ed essi risposero: «sonno fochi 115 anime 600». Chiese poi se tra loro si erano tutti confessati e comunicati ed essi risposero di: «si». Ordinò quindi di predisporre un altro registro dove segnare tutti coloro che avevano avuto accesso al Santo Sancramento della Comunione. Ordinò che le confessioni avvenissero seguendo il rituale romano e ordinò un messale nuovo per la chiesa di San Nicola e due per quella di Santa Anatolia.

Dopo aver visitato la chiesa di San Nicola, il vicario del vescovo, accompagnato dal vicario di Corvaro don Francesco Antonio Marocco, si diresse verso Cartore, luogo che da tempo immemorabile, a causa dell'asperità della sua posizione, non era stato visitato da autorità vescovili. Il villaggio era abitato da quindici famiglie per un totale di circa cento abitanti («Parrochiani sunt in focularibus quindicim, anime vero centum in circa»).

La chiesa parrocchiale era intitolata a San Lorenzo e aveva una rendita di circa quattro salme di grano all'anno. Il parroco era don Novello, coadiuvato da don Vincenzo Innocenzi e da don Bernardino Cola Ciatti. Dopo aver ascoltato la messa, celebrata da don Novello, il vicario visitò l'altare maggiore intitolato a San Lorenzo. La chiesa era molto trascurata, sporca e spoglia. Ci furono delle lamentele, da parte degli abitanti del luogo, che il vicario così relazionò: «il predetto curato non ha mai risieduto nella detta chiesa, che si trova ad un'ora di distanza dal detto castello, e per questo venne lamentata l'amministrazione della cura, in quanto ci furono morti senza battesimo e altri sacramenti, perchè in caso di necessità, gli abitanti non possono andare al castello di Santa Anatolia a causa della distanza di due miglia e della via aspra e difficilissima». Il vicario rimproverò don Novello e gli ordinò di fornire la chiesa del necessario, in particolare dei necessari contenitori per l'acqua santa battesimale e per gli olii sacri, da riporre nella chiesa sotto chiave.

Il vicario visitò la chiesa di San Nicola, posta poco distante dalla chiesa di San Lorenzo. Anch'essa era parrocchiale, e aveva in cura cinque delle quindici famiglie del paese («habet quinque focularia de dictis quindicim»). Era costruita nel territorio della Chiesa di San Leonardo, che si trovava in una grotta posta su un aspro monte, dove non era facile celebrare. Per questo la cura delle anime si faceva nella chiesa di San Nicola. La chiesa fu trovata aperta, senza porta e con l'altare spoglio. Essa aveva in dote molti appezzamenti di terra, era ben coperta e di essa era rettore l'abbate Berardino Cola Ciatti che non vi accedeva quasi mai.

Il Signore ordinò di fornirla di un calice e di ogni cosa necessaria, come anche per la chiesa di San Lorenzo, del tabernacolo, baldacchino, lanterna, eccetera. Tenuto conto del comportamento di don Novello e di don Berardino Mario, ambedue assenti e non residenti, e della mala amministrazione delle anime, dei calici rotti, dei paramenti sporchi, convocò ambedue e gli chiese di spiegare il motivo per cui non avrebbero dovuto essere privati dei loro benefici: «c'è un solo modo idoneo, nominare abbati, delle predette chiese, che abbiano l'onere di avere la residenza perpetua e provvederle di tutto quanto stabilito. Per quanto riguarda i canonici predetti, almeno qualcuno di loro acceda alle dette chiese per celebrare un singolo giorno al mese e, in una delle dette chiese, esempio San Lorenzo venga conservato il Santissimo Sacramento e gli altri Sacramenti, e nella chiesa di San Nicola, dove ci sono le sepolture, si celebri il secondo e terzo giorno feriale tutti gli anni per i defunti e per i benefattori».

Nello stesso territorio, in luogo campestre e di montagna, c'era la chiesa di San Costanzo, rurale e senza cura, della quale era rettore don Berardino Mario e nella quale si diceva messa solo alla festa di San Costanzo. Fu trovata ben coperta e adatta alla celebrazione. Il vicario ordinò ai «santesi» che essa venga tenuta sempre chiusa a chiave e che non venga usata come «stalla per il bestiame».

Vennero instituiti e nominati dal vicario i «santesi» delle predette chiese di San Lorenzo, San Nicola, San Leonardo e San Costanzo nelle persone di Domenico alias Ciotto e Giovanni Cioccioni di S. Anatolia, con la facoltà e l'autorità di «recuperare e ricevere tutti i frutti del presente anno delle dette chiese, anche in futurio e fino a nuove previsioni. E con i frutti dare assistenza alla popolazione».

3. Visita pastorale del vescovo Pietro Camaiani

Dopo la morte del vescovo Amulio, avvenuta il 17 marzo del 1572, venne eletto dapprima Mariano Vittori, che morì dopo appena 27 giorni dall'elezione, quindi Alfonso Binarini che fu vescovo di Rieti dal 18 luglio del 1572 al 30 agosto del 1574, anno in cui venne trasferito alla diocesi di Camerino. Nel 1574 il vescovo di Ascoli Piceno, Pietro Camaiani, fu incaricato di controllare l'operato del clero reatino, per mezzo di una visita pastorale in tutta la diocesi.

L'11 marzo del 1574 iniziò la sua visita nel territorio di Cartore dove ispezionò la chiesa parrocchiale di San Nicola, posta sotto il dominio dell'«Eccellentissimo Giovanni Vincenzo Valignani» (21). Essa era disadorna e il tetto doveva essere consolidato, le pareti erano sporche, non c'era il pavimento, la porta d'ingresso era senza serratura e sempre aperta. L'altare era piccolo e mancante delle suppellettili necessarie per le celebrazioni. Il vescovo ordinò ai presenti di rimediare a questo stato di cose. Il parroco era don Berardino Cola di Sant'Anatolia e vi furono tante lamentele da parte dei residenti, in quanto questi risiedeva a Sant'Anatolia ed era sempre assente. La parrocchia aveva in cura sette famiglie ed aveva una rendita di otto scudi l'anno. Il vescovo ordinò a don Berardino di restituire quanto indebitamente aveva percepito fino a quel momento.

La chiesa di San Nicola aveva una «cappella», situata in cima alla montagna, intitolata a San Leonardo, sita in una grotta che il vescovo non potè visitare «per l'asperità del luogo». Dalla relazione dei parrocchiani, risultava inadatta alle celebrazioni. Pertanto il titolo e il beneficio venne trasferito nella chiesa di San Nicola dove venne eretto un altare sotto la sua invocazione, con l'onere di una singola messa all'anno.

Il vescovo visitò l'altra chiesa parrocchiale di Cartore, quella di San Lorenzo, la cui struttura era semplice e disadorna. Ordinò che il tetto venisse consolidato, le pareti riverniciate, il pavimento ricoperto di laterizi, che venissero costruite almeno due tombe per seppellire i defunti e che venissero celebrate tutte le messe sotto pena dell'interdizione dell'ingresso alla chiesa sia ai viventi che alla sepoltura dei defunti. «Il Campanile sia pulito dai sassi e altre immondizie e dalle ossa dei fedeli trovate a terra». Si dedichino tante energie alla riparazione del tetto, campana e porta. Sia incaricato un pittore per decorare con dipinti l'altare della Pietà, e che lo stesso altare venga ingrandito e fornito di tutto il necessario. La chiesa venga fornita di tutte le suppellettili necessarie alle celebrazioni.

La parrocchia fu trovata vacante da circa due anni a causa del differente punto di vista del vescovo di Rieti e del barone Giovanni Vincenzo Valignano, che pretendeva di avere lo jus patronato della chiesa e che da anni impediva di coltivarne i possedimenti. Questo era molto grave. Nel passato, chi aveva coltivato quei terreni senza la sua autorizzazione, era stato punito con il carcere e aveva dovuto pagare una sanzione pecunaria per uscirne. La chiesa aveva anche tre cappellanie o canonicati con relativi possedimenti, ma due su tre erano vacanti e ne beneficiava illecitamente un certo Santo Fabiani di Cartore. Il terzo canonicato era tenuto da don Vincenzo Innocenzi che soddisfava le messe necessarie per tutt'e tre i canonicati. Ogni canonicato aveva un reddito di circa mezza salma di frumento i quali frutti vennero sequestrati dalle mani del predetto sig. Santo in presenza di Dionitio Angeli e Horacio Bernardini testimoni. Il visitatore prese la decisione di andare in giudizio e di imporre l'autorità della Visita Apostolica ricercando una forma di conciliazione tra il vescovo di Rieti ed il barone.

Il vescovo visitò il beneficio semplice di San Costanzo, sotto il dominio di Giovanni Vincenzo Valignani, la cui struttura era di semplice fattura ed disadorna. Ordinò che il tetto venisse consolidato, che venissero intonacate le pareti e imbiancate, che il pavimento venisse ricoperto di laterizi, che il portone e le porte esterne venissero tenute chiuse a chiave in futuro. L'altare doveva essere ingrandito e provvisto di tutti i requisiti necessari per svolgere la messa, e infine che si celebrassero almeno due messe al mese. Il rettore era don Bernardino Mario che percepiva annualmente quattro salme di frumento. A lui fu ordinata l'esecuzione degli ordini di cui sopra entro il mese di ottobre sotto pena di 10 scudi da applicarsi dal Seminario Reatino. Presso la chiesa di San Costanzo c'era un semplice oratorio del Santo Sepolcro posto in una grotta, che fu trovato del tutto indegno per celebrare le messe. Pertanto il vescovo ordinò di erigervi una lapide.

1990 - Grotta di San Costanzo 1986 - Grotta di San Costanzo 1986 - Grotta di San Costanzo

Oratorio di San Sepolcro nei pressi della Bocca di Teve oggi conosciuto come Grotta di San Costanzo

Fu visitata la chiesa parrocchiale di Sant'Anatolia, con il titolo di abbazia, anch'essa sotto il dominio del barone Valignani e nella quale risiedevano un abbate con tre canonici. La sua struttura non venne approvata in quanto il tetto doveva essere consolidato, le pareti imbiancate, il pavimento ricoperto di laterizi e in esso completate le tombe per seppellire i defunti, «il tutto entro il mese prossimo futuro, e senza far passare ulteriore lasso di tempo, sotto pena di scomunica». La finestra, presso il muro della Cappella di San Sebastiano, doveva essere sistemata. Entrambe le porte e i cancelli andavano rinforzati. L'Altare Maggiore andava incrementato e fornito di tutto il necessario per le cerimonie, lo stesso per gli altri altari. L'altare di Sant'Andrea, Santa Lucia e Sant'Anatolia, che asserivano all'abbazia, e l'altro Altare di Santa Lucia, erano in possesso dell'abbate don Vincenzo Innocenzi, al quale erano stati conferiti con bolla del vescovo di Rieti del 10 dicembre del 1541. Da essi l'abbate percepiva tre scudi annui con l'obbligo di celebrare due messe al mese. L'altro altare di Santa Maria fu trovato vacante, e la sua terra non veniva coltivata.

L'Abate era don Giovanni Vincenzo Innocenzi il quale percepiva annualmente «sette salme» di frumento. Aveva in cura cento famiglie. I canonici erano don Bernardino Mario, don Bernardino Cola e don Nefendo Battista. Don Nefendo o Difonzio o Defonzio di Battista di Sant'Anatolia nel 1574 aveva 19 anni ed era canonico della parrocchia di Santa Anatolia. Nel 1577 era canonico (22).

Il vescovo visitò la chiesa di San Nicola, posta all'interno del castello, nella quale si conservava il Sacramento. La struttura della chiesa non venne approvata in quanto andava consolidato il tetto, imbiancate le pareti, sistemato il pavimento, sistemata la porta di accesso e le finestre. «Il venerabile sacramento, conservato in un discreto tabernacolo, deve avere all'interno una stoffa di seta rossa. L'ampolla contenente l'olio degli infermi deve essere separata da quella dei battesimi e collocate insieme dentro la fenestella. L'Acqua santa del battesimo venga conservata in un recipiente, e custodita in un vaso di pietra il cui cono sarà dipinto e ornato. I paramenti sono in ordine, fatta eccezione la necessità di riparare la casula bianca, e la necessità di due pallii, uno bianco e l'altro viola, entro la festa della Pentecoste, sotto pena di 4 scudi da applicarsi come sopra». Il vescovo ordinò poi che gli altari fossero ingranditi e dipinti con delle immagine da un illustre pittore.

Vi era la Confraternita del «Corpo di Cristo» che non aveva redditi. I suoi confratelli furono precettato di tenere in ordine la relativa cappella. Vi era un'altra confraternita di San Sebastiano che non aveva redditi, tranne il contributo di qualche soma di frumento che i confratelli ricavano dai banchetti nei giorni di vacanza. Fu ordinato, sotto pena di scomunica, che in futuro essi sistemino la cappella di San Sebastiano astenendosi dal fare tali banchetti.

Il vescovo visitò la chiesa di Santa Maria del Colle situata al confine tra Sant'Anatolia e Torano, la cui struttura era semplice e disadorna. Ordinò che venisse sistemato il tetto da cui pioveva e le crepe che minacciavano rovina. Che venissero intonacate e imbiancate le pareti con calce, il pavimento ricoperto di laterizi, le serrature delle porte tenute chiuse a chiave. L'altare doveva essere ingrandito e fornito dei requisiti. La statua della «Gloriosissima sempre Vergine» doveva essere verniciata e lustrata. Gli altri altari dovevano essere ingranditi e adornati o altrimenti completamente demoliti. Venne asserito che il detto beneficio era unito al Seminario Reatino ma che il barone Valignani pretendeva di avere lui lo ius patronato. Per questo motivo non erano stati percepiti i frutti delle terre in quanto i possedimenti non erano stati coltivati nè seminati e la somma che era venuta defraudata a detta chiesa ascendeva a circa dieci scudi l'anno.

Il vescovo salutò i sacerdoti e si diresse verso Spedino.

4. Visita pastorale del vescovo Costantino Bargellini

Il 30 agosto del 1574, dopo che il vescovo di Rieti Alfonso Binarini venne trasferito alla diocesi di Camerino, venne eletto al suo posto don Costantino Bargellini. Questi rimase in carica fino al 9 aprile del 1584. quando venne trasferito alla diocesi di Foligno. Il vescovo Bargellini fece ben tre visite pastorali al nostro territorio nel 1577, nel 1581 e nel 1582.

Il 28 giugno del 1577 il vescovo, con i suoi accompagnatori, giunse in tarda ora a Sant'Anatolia (23). Era accompagnato dal reverendo don Lucantonio Pucci de Bargellini e da don Marco, maestro in dottrina Cristiana. Entrò nella chiesa di San Nicola, all'interno del castello, e fece orazione davanti all'altare maggiore. Poi, ascoltata la messa, visitò il Santissimo Sacramento Eucaristico e Battesimale, situato nell'altare maggiore, in un tabernacolo di legno dorato, dentro una pisside argentea, su una splendida stoffa di seta gialla e rossa. L'altare maggiore non possedeva beni. Fu trovato ben messo con sopra due candelabri di legno. Fu ordinato di fare delle pitture al suo interno entro due mesi.

Visitò gli oli santi per i Sacramenti, per la cresima, per la comunione e per gli infermi che erano ben conservati in delle vaschette in un ripostiglio posto nella parete dell'altare chiuso a chiave. Poi vide il fonte battesimale in pietra, con il coperchio di legno a forma di piramide, abbastanza ampio dove, in una conca di rame con coperchio di rame, si trovava l'acqua santa per il battesimo. Il vescovo ordinò che, entro il mese di giugno, intorno al fonte battesimale, venisse fatta una cancellata di legno con porta per salvaguardare la purezza dell'acqua. Poi vide l'altare di S. Giovanni nel quale il vescovo ordinò di porvi uno sgabello. Infine ispezionò le architravi e i materiali della chiesa. Il vescovò richiamò l'abbate in quanto alcune tavole del tetto erano da riparare e che già nelle visite precedenti era stato ordinato di sistemarle e di imbiancare la chiesa.

Nonostante non fosse la parrocchiale, nella chiesa di San Nicola si conservavano i sacramenti e questo perchè la chiesa parrocchiale di Sant'Anatolia si trovava fuori dal castello, isolata e soggetta a maggior rischio di furti e atti vandalici. Per lo stesso motivo gli utensili per i sacri ministeri, di proprietà della chiesa di Sant'Anatolia, venivano conservati nella chiesa di San Nicola. Essi consistevano in tre calici con coppa d'argento e piedi di ottone, con tre diverse patene, due d'argento e una di ottone ben dorato, con toni argentei e dorati, un tabernacolo con due lunette con il piede d'ottone dorato con parti d'argento, un turribulo d'argento, una croce d'argento con il piede di ottone dorato, otto corporali, due messali nuovi, sei purificatori, una pianeta, un dobletto, una stola bianca e due manipoli bianchi, una pianeta di seta di damasco bianca con due figure disegnate, una di seta di damasco rossa, una di seta verde, una di damasco violaceo con fregi dorati, una nera per celebrare le messe ai defunti, due dalmatici neri, un'altra pianeta e dobletto e camicia con fregi bianchi, due camice e quattro stole con quattro manipoli.

Il convisitatore Luca Antonio Pucci, insieme al reverendo Marco, andarono ad ispezionare la chiesa di S. Anatolia dove c'erano due confraternite: una del Santo Corpo del Signore Gesù Cristo e l'altra di San Sebastiano che non avevano reddito. La prima veniva sovvenzionata dai confratelli, la seconda si manteneva con le opere pie.

La parrocchia di S. Anatolia era retta da don Vincenzo Innocenzi ed i canonici erano don Giovanni Berardino Mario, Don Difonzio di Battista e Antonio Giovanni Battista. Don Antonio Di Giovan Battista di Torano, nel 1577 era canonico della parrocchia di Sant'Anatolia. Nel 1587 aveva in cura insieme al parroco la parrocchia (24).

Il Vescovo chiese al predetto Abbate a quanto ammontava il suo reddito ed egli rispose: «sei salme di frumento». Poi chiese se la chiesa aveva beni stabili e qual'èra la cura ed essi risposero che avevano in cura cento focolari (famiglie) ed un redidito di una coppa di frumento che dividevano in cinque porzioni, di cui due andavano all'abbate e le altre tre divise tra i canonici. Inoltre avevano un reddito di quattro botti di vino all'anno e due castagneti nella Valle dei Santi. Tutti i canonici avevano come primario reddito la decima di «due salme di frumento». La chiesa aveva anche una rendita di venticinque carlini da usarsi per le riparazioni e altri cinquanta carlini, provenienti dalle oblazioni dei parrocchiani, da utilizzarsi quando necessario.

Con esclusione dell'altare maggiore che, essendone parte integrante, veniva mantenuto con gli introiti della chiesa, gli altri altari della chiesa erano dotati di vari possedimenti di cui beneficiavano i sacerdoti, o coltivandoli loro stessi, oppure percependo le decime dai contadini. A destra dell'altare maggiore c'era quello di di Sant'Andrea le cui rendite erano state unificate a quelle del canonicato di don Berardino che ne era usufruttuario e che assommavano ad una salma di grano l'anno. L'altare di Santa Maria era dotato di un reddito annuo di circa una salma di frumento e di esso era beneficiario il clerico Difonzio di Battista, uno dei canonici della chiesa. La cappella di Santa Anatolia, dove era stata traslata l'immagine di Santa Lucia, era retta dall'abbate don Vincenzo. Aveva un reddito annuo di ducati tre in frumento. Don Vincenzo abbate disse che in esso si celebrava messa tutti i giorni festivi e che era una cappella piena di devozione,  fornitissima, decoratissima e decentissima.

Il vescovo ordinò di imbiancare la chiesa nelle parti dove l'intonaco si era staccato e di sistemare il tetto entro un anno, pena una multa di 26 scudi. Ordinò poi all'abbate che  le ossa dei morti vengano seppellite ad una distanza, dai punti di passaggio e dai luoghi dove in genere si celebrava, di almeno dieci palmi e di non camminarci sopra.

Dopo aver visitato le chiese di Torano, il 3 luglio del 1577, il vescovo venne a visitare la chiesa di S. Maria del Colle, sita tra il castello di Torano e il castello di Sant'Anatolia, di cui era rettore il reverendo don Bartolomeo Alberti, bolognese, con un reddito di circa venti scudi all'anno. Le pareti, il pavimento e il tetto erano da riparare, le immagini dei santi da restaurare, la porta era senza chiave e l'altare del tutto spoglio. Il vescovo ordinò che venisse sistemata per poter onorare al meglio Santa Maria Madre di Dio. Don Bartolomeo Alberti nel 1587 aveva ancora in cura la chiesa (25). Qualche tempo prima il 24 novembre 1575, nel suo secondo anno di episcopato, gli era giunta una lettera da Don Ottavio De Amicis, vicario di Corvaro, il quale gli aveva riferito che nel quinquennio precedente diversi beni di proprietà della chiesa, consistenti in una ventina di appezzamenti di terreno, beneficio del seminario di Rieti, erano rimasti incolti in quanto «nessuno ha voluto pigliarli in affitto, ne lavorarli et dicevano che non li possevano lavorare per non venire in disgratia del sig. Giovanni Vincenzo Valignano, quale è padrone di S. Natologlia, et dicevano chel signore predetto non voleva che li lavorassero, ma non dicevano per che causa il signore non volesse». In quell'anno il Valignani permise che se ne lavorasse una parte, a condizione però, «che dal frutto di esse terre se ne riparasse la chesia». Per gli anni sfitti il seminario aveva perso circa cinquanta some di grano e fu sempre per volontà del Valignani che restarono incolti i terreni di S. Lorenzo in Cartore e di Santa Maria di Brecciasecca (26).

In seguito raggiunsero Cartore, dove dapprima visitarono la chiesa di San Costanzo sita presso la rupe della montagna Duchessa (27), nel territorio di Sant'Anatolia, di cui era rettore e beneficiario il reverendo don Berardino di Mario di Sant'Anatolia che aveva un reddito di quattro salme di frumento all'anno. La struttura della chiesa non fu approvata. Il vescovo ordinò di sistemare le pareti entro quattro mesi e di imbiancarle. Ordinò di lastricare il pavimento, di sistemare le tavole del tetto, di consolidare l'altare e di fornirlo di una cornice di legno intorno e dello sgabello. Ordinò di celebrare sempre almeno la messa nel giorno di San Costanzo, che cade il ventinove gennaio, e di pregarvi durante la quaresima. Ordinò al rettore di fare quanto possibile affinchè il popolo conservi la devozione per San Costanzo.

1577 - Visita Bargellini: «Rupes Montis Ducisse»

Proseguendo la visita, entrò nella chiesa di San Nicola, chiamata dal vescovo per errore San Leonardo, di cui era rettore e beneficiario don Vincenzo Innocenzi con una rendita di cinque salme di frumento all'anno. Il vescovo ordinò di imbiancare le pareti entro quattro mesi, di rimettere in piano tutto il pavimento, di rimettere le tavole e le pianelle al tetto, rimurare la porta presso l'altare, fornire l'altare di quanto necessiario compreso lo sgabello. Solitamente veniva celebrata la messa il nove settembre, giorno di San Leonardo. Il vescovo ordinò di continuare le celebrazioni delle messe, per mantenere la devozione, e di restaurare le immagini dei santi.

Il vescovo andò a visionare la chiesa di San Lorenzo che veniva affermato fosse la parrocchia di Cartore. Da circa tre anni mancava il rettore sia della chiesa che della cappellania che ricadeva nella chiesa di San Lorenzo. La parrocchia aveva in cura tredici famiglie e un reddito annuo di quattro salme di frumento, la cappellania ne aveva una salma. Il vescovo ordinò di riparare le pareti e di lastricare il pavimento. Ordinò poi, pena il sequestro, che il vicario di Corvaro ponesse una cornice di legno intorno all'altare e che lo rifornisca di ogni necessario e in particolare dello sgabello.

Il vescovo salutò i sacerdoti e si diresse verso Spedino.

5. Seconda visita pastorale del vescovo Costantino Bargellini

Quattro anni dopo, il 26 aprile del 1581 il vescovo tornò a Sant'Anatolia dove inizio la sua seconda visita pastorale dalla chiesa di San Lorenzo (28). Essa era la chiesa parrocchiale della villa di Cartore e richiedeva la sistemazione dell'altare che fu trovato disadorno, senza sgabello e con alcune tovaglie mal messe. La chiesa venne trovata umida, la cappella sporca e vide due immagini del crocifisso e altri santi totalmente rovinate. I laterizi del pavimento erano da rimettere in piano, le pareti incrostate e da imbiancare. Fu trovata senza rettore. I parrocchiani denunciarono che non venivano loro amministrati i sacramenti, nè venivano celebrate le messe, e si lamentano di avere una chiesa senza il loro pastore. La rendita ascendeva al valore di sei scudi all'anno. Sempre a Cartore c'erano due benefici semplici intitolati a San Leonardo e a San Nicola. Il vescovo considerò che detti benefici dovrebbero essere tutti uniti, in modo che il rettore possa risiedere a Cartore e viverci comodamente.

Lo stesso giorno il vescovo raggiunse Sant'Anatolia dove visitò la chiesa di San Nicola, e dopo aver fatta l'orazione, vide la Santissima Eucarestia conservata in una pisside d'argento dentro un tabernacolo dorato. L'altare era tenuto molto bene, ben adorno e con tutto il necessario. Era decorato con i dipinti della gloriosa Maria Vergine, San Giacomo e San Nicola. Vide il fonte battesimale consistente in un vaso di pietra sacra, con dentro una conca di rame, il tutto all'interno di un ciborio di legno. Ordinò di apporre sopra di esso un baldacchino di lino, per difenderlo dalla troppa luce e un coperchio chiuso a chiave. L'olio santo veniva conservato in uno spazio presso l'altare, in due vaschette stagnee, in due scatole di legno separate. Il vescovo ordinò di avvolgerle con del cotone  per impedire che cadendo esso l'olio possa disperdersi e, per decoro ed ornamento, ordinò che i contenitori dell'olio degli infermi vengano coperti di seta e posti in un tabernacolo di legno da costruire, con coperchio di forma piramidale e con una copertura di seta.

Vide una croce d'argento, finemente decorata, e due calici con patene. Il vescovo ordinò di tenere tutto ben pulito. Vide una planeta di seta bianca con tre salmatici, un'altra di colore rosso, viola, verde, poi un dobletto e un ciambellotto di colore nero. Molte altre di queste cose furono trovate in chiesa e parimenti camice e capi di vestiario. Ordinò di sostituire una pianeta nera trovata strappata in alcune parti. Alcuni purificatori e due corporali furono trovati sporchi e da lavare. Ordinò che il rettore tenga pulite le ampolle.

La chiesa era in crescita e bisognava renderla più accogliente. Il vescovo in accordo con don Vincenzo e con alcuni massari del castello, ordinò che nella parte superiore l'altare venga ingrandito e ampliato verso la casa diruta di tale Vincenzo Angelo e che venga sistemato il soffitto al più presto.

Poi ordinò di istituire una nuova confraternita inrtitolata al Santissimo Sacramento e di operarsi per ottenere le dovute indulgenze e privilegi, confraternita facile da fare e che aumenterà la frequentazione.

C'erano altri due altari dotati dei paramenti e ben sistemati. L'altare di San Giovanni Battista aveva i candelabri, la croce, lo sgabello, e ogni cosa necessaria. La chiesa e le sue pareti avevano bisogno di essere rinfrescate. Il vescovo ordinò infine di predisporre un grande libro per descrivere i matrimoni, con nome e cognome, i battezzati e i morti, anche perchè i parrocchiani che non sono registrati, non avrebbero potuto partecipare alle elezioni dei Santesi.

Subito dopo il vescovo discese alla chiesa di Sant'Anatolia e lodò la sua architettura. Era retta dall'abbate e dai canonici ed era la curata, ma per comodità dei parrocchiani la cura delle anime veniva tenuta soprattutto nella chiesa di San Nicola. Nella chiesa c'erano diversi altari. L'altare Maggiore era più ampio di quanto si prevedeva. Nell'altare di Sant'Andrea, il cui rettore era don Bernardino Mario, doveva essere accomodato e ampliato il muro. Sull'altare doveva essere posta la pietra sacra e davanti un recinto di legno, e bisogna provvederlo di un suo sgabello e della croce, sotto pena di cinque scudi di multa, entro la fine del mese di agosto.

Al lato sinistro si trovava l'altare di Santa Maria il cui rettore era don Domenico Ricci. Era provvisto di Croce con piede, candelabri e sgabello di dimensioni sufficienti. Ordinò al predetto di provvedere a eliminare l'immondizia e difenderlo dall'umidità, entro la fine del mese di agosto e sotto pena di cinque scudi di multa.

Visitò l'altare di Santa Anatolia, la cui immagine era molto bella e antica. Aveva un cancello di legno chiuso e i paramenti erano ben decorati. Esortò l'Abbate a decorarlo meglio osservando che  bisognerebbe provvederlo di paramenti nuovi.

Vide la cappella di San Sebastiano, di cui si prendevano cura i confratelli della compagnia di San Sebastiano. L'altare fu stato trovato ben decorato. Ordinò ai predetti confratelli di fornire il computo delle entrate e della rendita dei beni e consegnarlo al Reverendo Abbate incaricato a provvedere alla revisione.

Ordinò di rimuovere al più presto l'immondizia e la terra dal pavimento della chiesa sotto pena di tre scudi.

Ordinò che la chiesa venisse riparata dall'acqua piovana che proveniva dal tetto.

Visitò l'altare di Santa Maria, posta al centro della chiesa, al lato destro, e fece i complimenti all'abbate che lo aveva rfornito della tovaglia, di un pallio, di uno sgabello, dei candelabri, della croce e di tutto ciò che serviva.

Discendendo dal Castello di Sant'Anatolia e andando verso Torano, in itinere, trovò la chiesa di Santa Maria del Colle, il cui rettore era don Bartolomeo Alberti bolognese, che aveva una rendita di quindici ducati annuali. L'altare maggiore fu trovato ampio e in pietra, provvisto di croce, candelabri, tovaglie e sgabello. Purtroppo le celebrazioni in esso erano scarse, e l'altare era tutto sporco e impolverato. Ordinò pertanto di togliere l'immondizia sopra l'altare. Sull'altare c'era una statua della beata Maria Vergine, una pittura illustrata, e una cappella di gesso. Ordinò di imbiancare le pareti della chiesa nelle parti dove erano sporche. La statua del santissimo crocifisso, per la sua antichità, veniva portata in gran devozione.  A terra vi erano degli impedimenti di pietra e nel mezzo della chiesa si trova un recinto  ed in esso molta sporcizia. Ordinò di pulire e in alcuni punti di rimettere a porto i laterizi del pavimento.

1590 - Abruzzo Ulteriore - particolare zona cicolano

1580-85 - Musei Vaticani - Galleria delle carte geografiche

6. Terza visita pastorale del vescovo Costantino Bargellini

L'anno dopo, il 5 gennaio 1582, il vescovo tornò per la terza volta nel nostro territorio (29). Visitò dapprima la chiesa di santa Maria del Colle che trovò in stato di degrado. Siccome però nell'ultima visita aveva già dato sufficienti disposizioni, rimandò ad esse e tagliò corto, proseguendo il suo viaggio verso Sant'Anatolia. Giunto al Castello immediatamente discese alla chiesa parocchiale di Sant'Anatolia, dove ordinò che ne venisse al più presto riparato il tetto dalla pioggia. Si lamentò che non era stato fatto nulla di ciò che aveva ordinato l'anno precedente. Ordinò quindi all'abbate e ai canonici, così come ai parrocchiani, di eseguire gli ordini dati nell'ultima visita entro il mese di aprile sotto pena di interdizione all'ingresso alla chiesa.

Visitò la chiesa di San Nicola, posta all'interno del castello, e nel resoconto scrisse, per una svista o per un reale cambiamento, che era anch'essa parrocchiale. Fece in essa la debita orazione, e visitò il Santissimo sacramento che si trovava in un tabernacolo di legno dorato, in una pisside d'argento ben tenuta. Vide l'olio santo, il fonte battesimale, i calici, la croce, i paramenti, i corporali e gli altri requisiti ben tenuti. Pertanto non furono fatte nuove richieste, ma chiese solamente di adempiere agli ordini dell'ultima visita, entro il mese di aprile, pena l'interdizione dell'ingresso alla chiesa. L'abbate Vincenzo Innocenzi disse al vescovo che tutti i suoi parrocchiani in quell'anno erano stati confessati e comunicati.

Il 6 gennaio del 1582, il vescovo, dopo aver celebrato la messa, ispezionò il nuovissimo ospedale che i parrocchiani avevano intitolato a San Liberatore (30). Ad esso era adiacente una piccola chiesetta che però non venne approvata in quanto fu trovata «nuda e vuota» e mancante del minimo necessario per poter celebrare. Vennero chiamati i santesi che furono interrogati sugli introiti del loro ospedale e dissero che non avevano nessun introito, tranne una vigna e pochi altri redditi. Il vescovo, non accontentandosi di tale giustificazione, ordinò di nominare nuovi santesi, uno da nominarsi direttamente dal vescovo, l'altro dal barone, con l'incarico di avere in cura sia i beni della chiesa di Santa Anatolia che dell'ospedale.

Comparvero i massari di Sant'Anatolia, e si proposero come «santesi per avere la cura e la vigilanza del governo e dell'amministrazione di tutti i beni di essa chiesa e ospedale».  Quindi  fu nominato Domenico da parte del vescovo, e Horazio figlio del notaio Quinto (31) dal barone, il quale confermò la sua nomina. Il vescovo salutò i sacerdoti e il popolo e si diresse verso Grotti.

7. Vescovi, sacerdoti e parrocchiani tra il 1570 e il 1600

Nel 1584 Luca Bonetti, tipografo in Siena, diede alle stampe un libro scritto da Pietro Spera intitolato: «A Dio, l'ottimo, il massimo. Affermazioni di metafisica e di altre parti della filosofia e medicina dal pensiero di Aristotele e di Galeno, estrapolate dalla loro dottrina da Pietro Spera di S. Anatolia che si propongono per essere discusse pubblicamente». Più che di un libro si trattò di una sorta di tesi, 64 pagine tutte in latino, che Pietro dovette discutere in pubblico al termine dei suoi studi presso il Ginnasio di Siena, l'11 ottobre di quell'anno. Il libro, come accennato nel capitolo precedente, venne dedicato al barone di Sant'Anatolia «Illlustrissimo Domino Suo Don Ioanni Vincentio Valignano».

Pietro era un cittadino di Sant'Anatolia e ci teneva a rimarcarlo, confermandolo per ben due volte, sia in copertina che nell'introduzione. Egli, trovandosi a Siena, potrebbe aver conosciuto dei componenti della nobile famiglia dei Placidi che, fuoriusciti da Siena, forse scelsero quale nuova dimora proprio Sant'Anatolia dove avevano una persona che poteva dar loro una prima accoglienza, ma questa è solamente una ipotesi non avvalorata da nessun documento (32).

Don Pietro Spera, nato attorno al 1560, divenne rettore nel 1589, insieme ad don Antonello d'Antonelli e a don Domenico Ricci, della chiesa di S.Anatolia (33). Quando morì nel 1606, per sua disposizione testamentaria, lasciò i suoi beni all'altare di San Giovanni Battista nella chiesa di San Nicola (34). Ai suoi eredi, «heredibus, et successoribus», venne concesso lo jus patronato dell'altare. Suo nipote Francesco Spera fu incaricato di mettere in atto il testamento «concessio Iury Patronatus Pro D. Francesco Spera di S. Anatolia». Il testamento era stato rogato il 13 settembre 1597 dal notaio Jacopo Federici (Jecub Federicu) e rivisto, dopo la morte di don Pietro, dal notaio Quizio Rubeis (Quiziu de Rubeis) di Sant'Anatolia.

Quizio Rubeis di Sant'Anatolia era probabilmente il figlio di Orazio, figlio del notaio Quinto «Horatius Notarii Quintii», che firmò la pergamena nel 1569 in cui Giovanni Vincenzo Valignani venne confermato nella baronia di Sant'Anatolia, Spedino, Latuschio e Cartore (35). Si ipotizza questo sia perchè anche lui era notaio e di solito la figura del notaio si tramandava da padre in figlio, sia per il nome molto simile a quello del presunto nonno Quinto. Quizio, oltre a redigere il testamento per il lascito a don Francesco Spera dei beni assegnati all'altare di San Giovanni Battista, nel 1648 fondò, insieme ad altri fedeli di S.Anatolia, la Confraternità della Santissima Pietà (36).

In un elenco delle chiese della diocesi di Rieti del 1587 (37) risulta che a Cartore esisteva ancora la chiesa di S.Lorenzo di cui si ignoravano i sacerdoti, la chiesa di S.Nicola detta di Cartoro, il cui curato era don Vincenzo Innocentio, la chiesa di S. Costanzo detta di S.Costantio semplice, il cui rettore era don Berardino Mario, il monastero di S. Leonardo detto di S.Paulo semplice, il cui rettore era don Giovanni Antonio figlio del notaio Marco e la cappella di S. Sebastiano (S.Bastiano), tenuta dall'omonima confraternita.

A Sant'Anatolia vi era la parrocchia omonima, San Natoglia, retta da don Vincenzo Innocentio, e tre canonici, don Berardino Mario, don Antonello di Giovan Marino e don Antonio Di Giovan Battista di Torano. Nel castello vi era la chiesa Curata di S.Niccola il cui sacerdote era sempre don Vincenzo Innocentio, la chiesa di Santa Maria del Colle detta semplice, retta da don Bartolomeo Alberti di Bologna, e la Cappella di S. Maria che era vacante. I beni della cappella di S. Maria, che si trovava all'interno della chiesa di Sant'Anatolia, avevano il valore di sei coppe di grano l'anno, e due anni prima erano gestiti da un certo Gentile Nucci di Sant'Anatolia.

Sempre nell'elenco del 1587 risulta che, fuori dalle mura di Sant'Anatolia, erano stati costruiti due ospedali. Uno era situato nei pressi delle mura del paese e prendeva il nome dall'adiacente chiesetta di San Liberatore o Sant'Atanasio. L'altro si chiamava ospedale di San Martino ma non si hanno riferimenti al luogo dove si trovava. In realtà 2 anni prima, nella visita del 30 luglio del 1585, il vescovo di Rieti Giulio Cesare Segni, successore di Bargellini, aveva ispezionato l'ospedale dicendo che esso si trovava nel territorio del Castello di Torano «Hospitale Sancti Martini in suburbio Castri Turani» (38). Sempre lui si informò sui redditi della chiesa di San Liberatore che assommavano alla misera somma di 24 giuli. In quel tempo l'ospedale era curato da Giacomo di Giovanni di Sant'Anatolia. Il vescovo ordinò ai sacerdoti e all'ospitalaro di fornire la chiesa di una porta e di allestire l'altare con le suppellettili necessarie per le cerimonie e di fornire l'ospedale del necessario per svolgere le sue funzioni di accoglienza ai pellegrini in visita al nostro santuario. Nel 1613 l'ospedale con la piccola chiesa annessa era ancora mancante del necessario, era sporca e da imbiancare (39).

Nella visita pastorale del vescovo Segni del 1585 (40) risulta che gli ordini dati nelle precedenti visite non erano stati eseguiti e che la situazione, soprattutto per le chiese di Cartore, era drammatica. Nella parrocchia di San Lorenzo non trovò il parroco, sempre assente in quanto residente nella castello di Sant'Anatolia. La chiesa doveva ancora essere imbiancata, il campanile era sempre sporco, le suppellettili mancanti. La chiesa di San Costanzo, retta da don Berardino Mario, era ridotta a stalla per le capre, sempre aperta e senza chiave, pioveva dal tetto, era sporca. Nell'oratorio del Santo Sepolcro, posto nella grotta vicino la chiesa di San Costanzo, ordinò di erigere una croce in pietra a ricordo. Nella chiesa di San Nicola, retta dall'abate don Vincenzo Innocenzi e da don Berardino Mario, la situazione era simile, pioveva dal tetto, il pavimento era da sistemare.

1590 - Abruzzo Ulteriore - particolare zona cicolano

L'Abruzzo Ulteriore dell'anno 1590 - Dintorni di S.Anatolia

Nel 1579 don Antonello d'Antonelli figlio di Giovanni Massi o Giovan Marino di Sant'Anatolia aveva ricevuto in cura la cappellania di San Lorenzo e il canonicato della Chiesa di S.Anatolia per la morte dei precedenti beneficiari don Jubileo e don Battista Valerio di S.Anatolia (41). Nel 1588 morì il parroco don Novello ed ebbe in cura la parrocchia di San Lorenzo in Cartore (42). Nel 1589 era canonico della chiesa di S.Anatolia insieme ad don Pietro Spera e don Domenico Riccio (43). Alla sua morte nel 1599 il canonicato di S. Anatolia andò in cura a don Giovanni Domenico De Amicis presentato al vescovo dalla baronessa Beatrice Valignani erede di Giovanni Vincenzo (44).

Nel 1581 don Domenico Ricci, Riccio o Greccie di Sant'Anatolia aveva avuto in cura l'altare di Santa Maria nella chiesa di S. Anatolia (45). Nel 1589 alla morte di don Vincenzo Innocenzi gli vennero dati in cura alcuni suoi benefici. Prima di incaricarlo il vescovo dovette chiedere l'approvazione del barone di Vincenzo Valignani (46). Nel 1589 era canonico della chiesa di S.Anatolia insieme a don Antonello d'Antonelli e don Pietro Spera (47). Nella visita pastorale del 1641-1643 il parroco di S. Anatolia era don Alessio Innocenzi e i canonici erano don Domenico Ricci, don Antonio Placidi e don Petro Dragonetti (48). Nel 1647 morì lasciando il suo canonicato a don Pietro Marini (49).

Nel 1588 alla morte dell'abate don Vincenzo, don Berardino Mario divenne abbate parroco di S. Anatolia (50). Un (probabile) nipote di don Vincenzo, don Innocenzo Innocenzi nel 1589 ebbe in cura uno dei canonicati della chiesa di Sant'Anatolia, e la cappella di Santa Lucia sita all'interno della chiesa (51). Nel 1592 questi divenne parroco di S. Tommaso di Latuschio (52) e nel 1606 rettore dell'altare di San Giovanni Battista della famiglia Spera (53). Nel 1609 divenne parroco di Sant'Anatolia (54) e nel contempo si dimise spontaneamente (libera resignatione) dalla cura di S. Tommaso di Latuschio, che venne data a Giovanni Maria Giorgi di Corvaro (Joi Maria Georges de Corbario) (55), e lasciò la cura del canonicato nella chiesa di S.Anatolia a don Pietro Dragonetti (56). Attorno al 1610 don Innocenzo, che nel contempo ricopriva la carica di abbate parroco di Sant'Anatolia, venne promosso Vicario Foraneo del Corvaro «Vicariatus Corbarij» che era la massima carica ecclesiastica locale (57). Nel 1616, alla morte di don Giovanni Antonio Cesari, ebbe in cura il beneficio semplice di San Costanzo in Cartore (58). Morì nel febbraio del 1642 lasciando la parrocchia ad un suo (probabile) nipote don Alessio Innocenzi (59), il beneficio semplice di San Costanzo in Cartore a don Pietro Marini (62) e la cappella di S. Giovanni Battista, nella chiesa di San Nicola, a don Pietro Spera un (probabile) nipote dell'omonimo fondatore del beneficio (61).

Nel 1589 e nel 1590, sempre nel mese di giugno, il vescovo Segni tornò due volte a visitare i nostri luoghi ma fece dei resoconti molto stringati dove ricordava ai vari parroci e rettori gli ordini dati nelle visite precedenti in merito al restauro delle varie chiese (62).

Scorcio della via delle stalle oscure - Fotografia 2002

Note

  1. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 2 - 1561 Visita Osio - Link - Comunità Montana, San Francesco nella civiltà medioevale - Rieti 1983 pag.200
  2. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.14b-15 - Link
  3. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1559-1590 - Pag.1b - Link
  4. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 4 - 1574 Visita Camaiani - Link
  5. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 2 - 1561 Visita Osio - Link
  6. Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 67 - numero 13a - Link
  7. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 50 - 1783-1788 Visita Marini - Link
  8. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.200b-204b - Bullarium 1559-1590 - Pag.216-216b - Link
  9. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1559-1590 - Pag.1-1b - Link
  10. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 3 e 15 - 1561 Visita Amulio - Link
  11. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 15 - Visite varie - Link
  12. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 3 - 1564 Visita Amulio - Link - Cartella n. 15 - 1570 Visita Amulio - Link
  13. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1559-1590 - Pag.211 - Bullarium 1558-1603 - Pag.200-204b - Link
  14. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 4 - 1574 Visita Camaiani - Link
  15. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 5 - 1581 Visita Bargellini - Link
  16. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.200b-204b - Bullarium 1559-1590 - Pag.216-216b - Link
  17. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1604-1612 - Pag.110 - Link - Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1604-1612 - Pag.108 e segg. - Link
  18. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 3 - 1564 Visita Amulio - Link
  19. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 3 - 1570 Visita Amulio - Link
  20. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 4 - 1574 Visita Camaiani - Link
  21. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 4 - 1574 Visita Camaiani - Link
  22. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 5 - 1577 Visita Bargellini - Link
  23. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 5 - 1577 Visita Bargellini - Link
  24. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 50 - 1783-1788 Visita Marini - Link
  25. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 50 - 1783-1788 Visita Marini - Link
  26. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 15 - 1575 - Link
  27. La montagna della Duchessa, oggi chiamata impropriamente Murolungo, appartiene interamente al territorio della frazione di Sant'Anatolia. Viene menzionata fin dal secolo dodicesimo con il nome di Teva (in latino Tebam). Questo nome appare nelle bolle in favore della diocesi dei Marsi del 1115 e 1188 ("Buccam de Teba") e nella bolla in favore della diocesi reatina del 1182 ("Tabulam Cartonis" e "San Leonardo in Teva") (Bolle del 1115 di papa Pasquale II a Berardo vescovo dei Marsi, del 1188 di papa Clemente III a favore della Diocesi Marsicana e del 1182 di papa Lucio III a favore della Diocesi Reatina - tutte con l'elenco delle chiese e la conferma dei confini delle rispettive diocesi). Con il termine "Bocca di Teva" (toponimo ancora esistente) è evidente che si intendesse la "bocca della montagna di Teva" e infatti, vista da Sant'Anatolia, essa appare proprio come una grande "bocca" o un "imbocco" che si insinua nella montagna. In seguito, per la probabile appartenenza del territorio e della montagna ad un'antica duchessa di Alba, forse la Regina Giovanna I di Napoli che nel 1376 ha la qualifica di duchessa di Albe («Johanna Ducissa Duratii Albae e Gravinae» in Muzio Febonio, Historiae Marsorum, p.134), viene chiamata montagna della duchessa (intesa come montagna di proprietà della duchessa) che poi, già nella visita pastorale del vescovo di Rieti del 1577, diventa il suo nome proprio "Rupe Montis Ducisse" (Visita pastorale del vescovo di Rieti Costantino Bargellini del 1577: «visitavit ecclesia rurale sancti Chostantij sita prope rupes montis ducisse in territorio Sancte Anatolie cuius est rector seu beneficiatur Reverendus Dominus Berardinus de Mariis de Sancte Anatolie» - Archivio della diocesi di Rieti, visite pastorali, cartella n. 5, foglio 78v). Il suo nome è riportato sulle mappe antiche a partire dal 1620 ma erroneamente appare come un castello a sé stante "La Duchessa". Invece come cima di montagna compare per la prima volta con precisione sulla mappa del Regno di Napoli del 1851 "Monte Duchessa", mentre più genericamente, sulle mappe a partire dal 1776, dove però con "Montagne della Duchessa" si intendono le tre o quattro cime che si affacciano sui paesi di Sant'Anatolia, Spedino e Corvaro. Il toponimo "Teva", nonostante la distanza di secoli, non fu mai del tutto dimenticato e lo si ritrova ancora sulle mappe del Regno di Napoli del 1808, del 1822 e in una mappa dell'Italia centrale del 1856 "Monte di Teve" e nei toponimi tuttora esistenti di "Vallone di Teve" e "Bocca di Teve". Il toponimo "Muro Lungo" invece non ha nulla a che vedere con la cima della Duchessa ma è il nome della parete rocciosa che si affaccia sulla "Valle di Teve" e che appunto sembra un lungo muro che oggi divide il Lazio dall'Abruzzo. Particolare è la definizione che appare nel regesto dell'abbazia di San Paolo di Roma dove, nel 1465, venne citato il monastero di «S. Leonardi de Monte Ulmo» in Cartore. Monte Ulmo potrebbe essere il nome di una delle montagne della catena della Duchessa oppure, direi più probabilmente, potrebbe significare monte "almo": cioè magnifico, stupendo. Altra credenza (ma solo del mondo erudito e che compare per la prima volta nella seconda metà del secolo scorso) è che il nome "Duchessa" sia stato dato alla montagna quale omaggio del capitano Francesco De Marchi alla Regina Margherita d'Austria, che visse tra il 1522 e il 1586 e che, tra i tanti feudi ereditati dal padre, ricevette quello di Cittaducale. E' del tutto errata questa credenza soprattutto perché la Montagna della Duchessa non appartenne mai al territorio di Cittaducale ma fin dagli albori a quello di Albe (Alba Fucense) e l'unica Duchessa di Albe che viene ricordata dalle fonti, prima del 1577, fu la regina Giovanna e, al momento, nessun altra. A questo punto scarterei anche l'ipotesi che il nome "duchessa" derivi dal termine «ducet» ossia «condurre» ("montagna dove si conducono le greggi al pascolo" ad esempio) in quanto è consolidato che il nome remoto sia Teva e che quindi quel "ducet" avrebbe avuto bisogno di più secoli per trasformarsi in "Duchessa". Infine sembra che il nome Muro Lungo (attribuito alla cima e non alla parete rocciosa) compaia per la prima volta nel 1851 ma riferito alla cima più bassa, quella proprio sopra la parete rocciosa chiamata Murolungo, mentre nella Guida dell'Abruzzo del 1903 con allegata mappa dell'Istituto Geografico Militare ("Guida dell'Abruzzo" di Enrico Abate, edizione Roma 1903) il nome viene spostato sulla cima più alta, quella della Duchessa, e quindi è nel 1903 che avviene l'ultima mutazione.
  28. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 5 - 1581 Visita Bargellini - Link
  29. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 5 - 1582 Visita Bargellini - Link
  30. Vincenzo DI FLAVIO, Antichi ospedali nella valle del Salto, p. 424 - «Gli ospedali venivano costruiti dai residenti per motivi di origine caritativa ed ecclesiastica e sorgevano in genere nelle immediate vicinanze di una chiesa della quale poi prendevano il nome. Molti di essi non avevano la funzione di raccogliere e curare gli infermi, ma piuttosto quella di ospitare, cioè di accogliere, rifocillare ed alloggiare i pellegrini, i viandanti, gli accattoni ed i bisognosi».
  31. Orazio era figlio del notaio Quinto Rubeis di Sant'Anatolia (Horatius Notarii Quintii de Sancta Anatolia). Era anche lui notaio e firmò la pergamena nel 1569 in cui Giovanni Vincenzo Valignani venne confermato barone di Sant'Anatolia, Spedino, Latuschio e Cartore. Nel 1582 Orazio venne nominato «Santese» dell'ospedale di San Liberatore. Fonte: Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 67 - numero 13a - Link - Archivio della diocesi di Rieti - Visita pastorale Bargellini del 1582 - cartella n. 5 - Link
  32. Biblioteca degli Intronati di Siena - Collocazione MISC. FP/50607601 - Anno 1584 - Link - Vedi anche: Appendice II - Documenti Bibliografici - Petro Spera Sanctae Anatoliae - Link
  33. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 6 - 1589 Visita Segni - Link
  34. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1604-1612 - Pag.42-42b - Link
  35. Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 67 - numero 13a - Link
  36. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1644-1652 - Pag.155-155b - Link
  37. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 50 - 1783-1788 Visita Marini - Link
  38. V. DI FLAVIO, La patria di Niccolò V nelle visite pastorali del '500, p. 63 - da: Arch. Vesc. Rieti Sacra visita varii anni 1565-1687 c. 3 fondo Visite X, 15 A5651124
  39. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 7 - 1613-1620 Visita Crescenzi - Link
  40. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 5 - 1585 Visita Segni - Link
  41. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1559-1590 - Pag.109b-110 - Link
  42. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1559-1590 - Pag.211 - Bullarium 1558-1603 - Pag.200-204b - Link
  43. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 5 - 1589 Visita Segni - Link
  44. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.342-342b - Link
  45. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 5 - 1581 Visita Bargellini - Link
  46. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.211b-212b-213 - Bullarium 1559-1590 - Pag.222b - Link
  47. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 6 - 1589 Visita Segni - Link
  48. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 10 - 1589 Visita Segni - Link
  49. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1644-1652 - Pag.113b-114b - Link
  50. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.200b-204b - Bullarium 1559-1590 - Pag.216-216b - Link
  51. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.205 - Bullarium 1559-1590 - Pag.217b - Link
  52. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.311b-312 - Link
  53. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1604-1612 - Pag.43-43b - Link
  54. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1604-1612 - Pag.108 e segg. - Link
  55. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1604-1612 - Pag.111b - Link
  56. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1604-1612 - Pag.111 - Link
  57. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 7 - 1613 Visita Crescenzi - Link
  58. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1612-1621 - Pag.102b - Link
  59. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1633-1634 - Pag.273b-274 - Link
  60. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1633-1634 - Pag.272b-273 - Link
  61. Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1633-1634 - Pag.274b-275 - Link
  62. Archivio della diocesi di Rieti - Visite pastorali - Cartella n. 6 - 1589-1590 Visita Segni - Link