Capitolo III - Medioevo
1. Il ducato di Spoleto e la dominazione Farfense - 2. I Saraceni e la formazione dei castelli - 3. Dominazione Normanna e Sveva - 4. Corradino di Svevia e Carlo D'Angiò - 5. I castelli nei dintorni di Cartore dopo il 1268 - 6. La battaglia di Torano del 1380 - 7. Tra la fine del '300 e l'inizio del '400 - 8. La contea di Albe nel XV secolo - 9. Il ducato di Tagliacozzo nel XVI secolo - 10. I castelli nei dintorni di S. Anatolia tra i secoli XV e XVI - 11. I Valignano baroni di S. Anatolia, Spedino, Latusco e Cartore
1. Il medioevo, il Ducato di Spoleto e la dominazione Farfense
Dopo la morte di Clefi, seguirono dieci anni di anarchia, durante la quale i vari condottieri longobardi si mossero autonomamente. Zottone condusse i suoi a sud dove pose le fondamenta al ducato di Benevento. Faroaldo conquistò tutta l'Umbria e parte della Sabina dove attorno al 576 pose le fondamenta al Ducato di Spoleto. Ariulfo, secondo duca di Spoleto, estese le conquiste, oltre che al resto della Sabina, anche alle regioni degli Equicoli, dei Marsi, dei Peligni, dei Vestini e dei Piceni e fu dunque in quel periodo, tra il 591 e il 603, anno della sua morte, che i nostri territori furono uniti al Ducato di Spoleto. Il Ducato venne diviso in dieci Gastaldati: Rieti, Marsi, Forcona, Valva, Penne, Spoleto, Nocera Umbra, Norcia, Ascoli Piceno e Camerino. Il nostro territorio fece parte del Gastaldato dei Marsi. Nel 601 ad Ariulfo successero: Teudelapio duca fino al 653, Atto dal 653 al 663, Trasamondo dal 663 al 703, Faroaldo II Duca di Spoleto dal 703 al 724 (1).
Intorno all'anno 1100 il prete Adamo di Cliviano scrisse una lettera a Berardo, abate del monastero di Farfa, per chiarire la posizione di alcuni terreni e di alcune chiese che si trovavano sotto la sua giurisdizione: «Al Signore Berardo, venerabile Abate, il presbitero Adamo di Cliviano fedele servo. Per timore di Dio e di Maria Santissima, vi indichiamo quelle le terre che il duca Faroaldo diede a S. Maria di Farfa, cioè in Cliviano e per i suoi vocaboli, terra coltivabile di moggia millecinquecento arabile, con dodici coloni. Confinante con Frontino, Macchia Felicosa e Grotta Machelmi. Di essa, la terza parte di ogni cosa, insieme con la chiesa di S.Savino, la chiesa di S.Sebastiano e la chiesa di S.Anatolia di Turano. L'abate però che c'era in quel tempo, fece uno scambio con Soldone, e diede a lui la chiesa di S. Anatolia in cambio di S. Maria di Loriano. Tutto il resto rimase al servizio di S. Maria di Farfa. Ivi è edificato il Corvario. Ma gli uomini che fecero lo scambio si raccomandano a voi affinchè veniate qui di vostra volontà, volendo rimanere al vostro servizio, poichè con il signore tutto va in degrado, mentre voi sapreste conservare» (2).
Nei primi anni dell'VIII secolo d.C. quindi la chiesa di S.Anatolia venne donata da Faroaldo II al monastero di Farfa insieme ad altri territori ad essa adiacenti. Nel documento di cessione essa viene denominata Sanctae Anatholiae de Turano e già in quell'epoca i territori limitrofi avevano una denominazione simile a quella attuale, e cioè: Cliviano (S. Stefano in Cliviano), Macclam Felicosam (forse: Selve della Duchessa), Cripta Machelmi (forse: Grotte di Torano), Frontinum (Monte Frontino), Sancti Savini (forse: chiesa di S. Saino, posta nel cimitero di Castel Menardo), Sancti Sebastiani (forse: Chiesa di San Sebastiano un tempo esistente alle falde dei monti della Duchessa), Turanu (Torano) e Corvarium (Corvaro).
I termini Clivano e Torano riappaiono nel medioevo in vari documenti del Monastero di Farfa. Nell'anno 791: «gualdum nostrum in Eciculis in integrum seu terram in Cliviliano ubi dicitur ...nuale» (3); nell'813: «in Eciculis loco qui dicitur Clivigiano» (4); nel 957: «Clivano, et Placidiscis, et Agello, et Torano» (5).
Nel 774 il regno d'Italia passò nelle mani del popolo dei Franchi di Carlo Magno il quale, rifacendosi alla tradizione romana, dette le fondamenta al Sacro Romano Impero. Ludovico il Pio, successore di Carlo, nell'819 elevò a titolo di Conti i gastaldi di tutta la provincia Valeria, di cui faceva parte anche il territorio di Sant'Anatolia, e creò la Contea dei Marsi. Il primo conte che viene citato nelle fonti è Gerardo il quale, attorno all'865, morì per mano dei Saraceni. A lui seguì nell'890 una discendente di nome Doda, longobarda, figlia di Lindano, che aveva la residenza tra Spoleto ed Albe. Nel 926, per cingere la corona, discese in Italia Ugo d'Arles e arrivarono con lui nella Marsica i conti Attone burgundo e suo zio materno il provenzale Berardo detto il Francisco. Questi ottennero insieme l'investitura della Contea dei Marsi termine che allora designava quasi tutto l'Abruzzo. Il burgundo Attone ebbe il territorio Pennense e Teatino, mentre il franco Berardo ebbe il territorio Marsicano, Reatino, Amiternino, Furconese e Valvense. Berardo «il Francisco», figlio di Pipino il breve, figlio di Carlo Magno, sposò la longobarda Doda e nel 968 divenne Conte dei Marsi. Pose la sua residenza ad Albe e da lui ebbe origine la stirpe dei Conti dei Marsi detti Berardi da cui sul finire del X secolo si sviluppò il ramo marsicano. La Contea nel frattempo si staccò dal Ducato di Spoleto e passò sotto la giurisdizione di quello di Benevento ma con una quasi completa autonomia (6).
2. I Saraceni e la formazione dei Castelli
Negli stessi secoli in cui i Longobardi ed i Franchi andarono alla conquista delle terre del nord e dell'Italia, in Oriente gli Arabi iniziarono la conquista dell'Africa del nord, della Palestina, della Spagna e, nel sud Italia, della Sicilia, della Corsica, della Sardegna e di parte della Puglia e della Calabria creando un impero che, sotto lo slogan Allah è il solo Dio e Maometto il suo profeta, divenne sempre più grande e potente. Si estendeva da oriente ad occidente percorrendo a sud tutto il Mar Mediterraneo. Questo, che durante l'impero romano era chiamato Mare Nostrum, era ormai divenuto il mare degli Arabi, un mare pericolosissimo poichè pieno di pirati che saccheggiavano ed invadevano continuamente la nostra penisola. Solo Venezia con le sue possenti e veloci navi riuscì a mantenere dei contatti, soprattutto commerciali, con l'Impero d'Oriente. I porti principali, che durante l'epoca imperiale erano densi di popolazione, vennero lentamente abbandonati e le città si ritirarono nell'entroterra. Il Tevere, che da secoli era luogo di arrivo di ricche navi commerciali, divenne per Roma una fonte di pericolo e delle grandi catene vi vennero poste per impedire il passaggio alle imbarcazioni. L'economia lentamente si compresse fino a giungere a quel mercato chiuso che caratterizzò l'Europa per tutto il medioevo.
Nel Chronicon Vulturnense si rileva che fin quando governarono i Longobardi nelle nostre regioni: «i castelli erano rari, perché non c'era paura o timore di guerre, tutti godevano di una grande pace, fin quando arrivarono i Saraceni». Leone Ostiense o Marsicano nel suo Chronicon Casinense narra di come le varie abbazie si preoccupassero delle popolazioni loro soggette facendo «innalzare castelli e rocche fortificate nei luoghi di difficile accesso per evitare scorrerie e saccheggi da parte dei seguaci della Mezzaluna». (7)
I Saraceni furono per l'Italia meridionale una grande calamità. Essi, appoggiati dall'impero arabo, fecero spesso delle incursioni nell'entroterra, mettendo a ferro e a fuoco città e paesi. Nell'846 giunsero sotto le mura di Roma dove, incontrata una forte resistenza, depredarono la basilica di San Pietro che allora si trovava fuori delle mura. In un'altra occasione incendiarono la città di Fondi uccidendo gran parte dei suoi abitanti. I superstiti vennero ridotti in schiavitù. L'imperatore Lodovico II ordinò a Guido, duca di Spoleto, di contrastarli ed egli, formò un esercito con il quale si spinse a perseguitarli fin sotto le mura di Gaeta. Caduto in un agguato, Guido stesso rischiò di cadere nelle mani nemiche e si salvò per un pelo grazie all'aiuto di Cesario, figlio di Sergio duca di Napoli.
In seguito alla vittoria ottenuta, i Saraceni divennero più coraggiosi rinnovando le loro scorrerie fino al fiume Garigliano dove si stabilirono e si fortificarono. Il papa Leone IV, per arginare il pericolo Saraceno, si decise a porre delle catene lungo il Tevere per impedire alle imbarcazioni di risalirlo fino a Roma e, per salvaguardare la chiesa di San Pietro, la circondò di mura, quelle che in futuro delimiteranno la Città del Vaticano. Nell'865 Lamberto duca di Spoleto attaccò i Saraceni che, in seguito a delle scorrerie nei territori di Capua e di Napoli, stavano facendo ritorno con un ingente bottino nella loro sede all'emirato di Bari. I Saraceni ebbero ancora la meglio e in quell'occasione uccisero Gerardo il conte dei Marsi che aveva partecipato alla battaglia sostenendo il duca.
I Saraceni si fecero più audaci tanto da invadere ed occupare parte della provincia Valeria che allora raggruppava la Marsica, il Cicolano e parte della Sabina. Anche il territorio di Benevento venne continuamente messo a ferro e fuoco e, tanto i popoli si lamentarono, che l'imperatore Lodovico II rinnovò una Crociata contro di loro. Ma quel popolo di corsari non si fermò. Incendiarono il monastero di San Vincenzo del Volturno, di San Salvatore di Rieti e molte chiese. Saccheggiarono ripetutamente i nostri paesi e, nonostante che nell'anno 886 subirono una grande sconfitta in una battaglia condotta da Guido di Spoleto, si dovette attendere il 916 per vederli definitivamente sconfitti (8).
Alba Fucense nell'881, in una delle tante incursioni dei Saraceni, venne assalita, saccheggiata e distrutta da un tremendo incendio mentre la popolazione superstite fu costretta a fuggire sui monti. Per questo motivo in seguito vi fu eretto un castello sul colle più alto che resistette fino al 1915 anno del terribile terremoto che sconvolse la Marsica ed il Cicolano. Nelle cronache dei vari monasteri si rileva come i vari abati spingessero i loro subalterni ad innalzare nei vari villaggi castelli con poggi o rocche fortificate nei luoghi di più difficile accesso per poterli garantire dalle aggressioni dei Saraceni e dei cattivi vicini (9).
Fu dunque da quel periodo che cominciarono ad essere costruiti i vari Castelli della Marsica e del Cicolano fra i quali quelli di S. Anatolia, Torano, Corvaro, Spedino, Collefegato, Rosciolo, Marano, Castelmenardo e Poggiovalle.
La chiesa di S. Anatolia de Turano, nei primi anni dell'VIII secolo, era stata donata da Faroaldo duca di Spoleto al monastero di Farfa, ma nei suoi pressi, a pochissima distanza, esisteva un altro monastero benedettino, quello di S. Maria in Valle Porclaneta al quale, nel 1048, fu donato il castello di Rosciolo da Berardo conte de' Marsi. Nell'atto di donazione vennero citati i confini del territorio di Rosciolo che erano: «fine de Massa, et fine via, qua venit de Albe, et vadit ad Ponte, et fines Serro de Mandre, et fino Bolpe morta, et fine (...)» (10).
Le località che nel documento sono denominate Massa ed Albe sono piuttosto inequivocabili in quanto tutt'ora esistenti. Ponte potrebbe corrispondere all'antico feudo di Ponte, nei pressi di Scurcola marsicana, luogo imprecisato ma spesso citato dalle fonti, riconducibile forse alla località «Sette ponti» posta nei pressi dei ruderi dell'Abbazia angioina di S. Maria della Vittoria. Serro le Mandre non è un termine sopravvissuto, ma nelle carte ottocentesche e nelle carte militari più dettagliate, lungo il percorso dell'Imele, tra Magliano e la Villa di S. Biagio, si susseguono le località «Mandra Alessandro», «Mandra Petricca», «Valle Coie Mandre» e «Mandre Le Vacche». Bolpe Morta, attualmente le Volpi Morte, è sempre stata una zona di confine tra Marano, Sant'Anatolia e Torano.
Intorno all'anno 1080 il monastero, assieme al castello di Rosciolo, furono donati, sempre dal conte Berardo, a Desiderio abate di Monte Cassino (11) e, da quel momento, la giurisdizione passò a quest'ultima abbazia. Fu in questo periodo probabilmente che la chiesa di S. Anatolia, divenuta nel frattempo un monastero benedettino, insieme alla chiesa di S. Lorenzo in Cartore, passarono sotto la giurisdizione del monastero di Santa Maria in Valle Porclaneta.
Nell'anno 1113 Annolino di Oderisio donò il castello di Torano alla diocesi di Rieti: «Castrum quod Toranus vocatur» (12) ed in quel periodo probabilmente erano già stati eretti i castelli di Collefegato, Spedino e Castelmenardo. Nel 1115 i confini della diocesi marsicana passavano per la zona di S.Anatolia. Infatti in quell'anno papa Pasquale II, confermandoli a Berardo vescovo dei Marsi, li individuava nel seguente modo: «per Scalellas, per Tufum fluvii Remandi, per Trepontum; inde ad Vulpen Mortuam, per Buccam de Teba, per Campum de Pezza». Nel 1182 papa Lucio III, confermando i territori, questa volta della diocesi reatina, di nuovo nominava la Bocca di Teva (Tabulam), Cartore (Cartonis) e le Volpi Morte (Vulpem Mortuam) quali zone di confine. E ancora nel 1188 papa Clemente III, confermando i confini della diocesi marsicana, ripeteva: «per Trepontium; inde ad Vulpem mortuam; per Buccam de Teba; per rivum gambarorum» (13). Ancor oggi le Volpi Morte, in dialetto le Urbi Morte, e la Bocca di Teva, zona di confine fra il Lazio e l'Abruzzo, sono toponimi di uso comune per indicare due località poste nel territorio di S.Anatolia.
3. Dominazione Normanna e Sveva
Dopo i primi tentativi avvenuti nella seconda metà dell'XI secolo, nel 1143 i Normanni con i due figli di Ruggero II d'Altavilla, Ruggero ed Anfuso, provenienti dalla Valle Roveto, riuscirino a raggiungere il territorio della marsica e ad ottenere la resa di Berardo e Rainaldo, figli del Conte dei Marsi Crescenzio, gli ultimi ad avere il titolo di Comites Marsorum. La Marsica si ritroverà inserita ai confini settentrionali del Regno normanno di Sicilia e vedrà il definitivo consolidarsi del sistema insediamentale feudale basato sui castelli posti sulle alture e le ville, i casali e le chiese poste nella valle. Il comitato dei Marsi, ora detto geograficamente De Valle Marsi, inserito nel Principato di Capua, sarà diviso da Ruggero II in varie parti:
- la Contea di Albe, assegnata al Conte Berardo V
- La Contea di Celano, assegnata al Conte Rainaldo
- Il territorio di Carsoli, di Tagliacozzo, la Valle di Nerfa e i piani Palentini, assegnati agli eredi di Oderisio II
- Un'altra parte della Valle di Nerfa ed altri feudi fucensi meridionali affidati a Simeone e Crescenzio di Capistrello (14).
La torre di Cartore prima del restauro - fot.1990
In quel tempo Collefegato (Collem Fecatum), Castel Menardo (Castellum Mannardi) e Spedino (Dispendium) possedevano un castello e difatti il re di Napoli Guglielmo II normanno detto il Buono, nell'elenco dei baroni fatto nel 1150, in occasione di una delle Crociate per Gerusalemme, elencò i primi due come proprietà del barone Gentile Vetulo, il terzo come proprietà del conte Ruggero di Alba.
Nel territorio del Cicolano Gentilis Vetulus doveva fornire al Re di Napoli, per la spedizione in Terra Santa da lui progettata, i seguenti cavalieri (militis): «quattro cavalieri dal feudo di Castrum Pescli, due da Barim, uno da Macclatemonem, uno da Castellionem, uno da Roccam Melitum, uno da Castellum Mannardi, uno da Collem Fecatum, tre da Sanctum Johannem de Lapidio e uno da Roccam Randisi». Nel territorio dei Marsi Rogerius, conte (comes) di Albe, doveva invece fornire: «sette cavalieri dal feudo di Albe, uno da Castellum Novum, tre da Paternum, cinque da Petram Aquarum, 6 da Tresacco e Luco, uno da Capranicum, due da Pesclum Canalem, sei dal feudo di Carcerem e Podio Sancti Biasii, e uno e dimidii da Dispendium». Il feudo di Moranum, allora di proprietà di Taynus de Ponte, doveva fornire tre cavalieri (15).
Nel 1153 papa Anastasio IV, confermando al vescovo reatino tutti i possedimenti della sua diocesi, nominò per la prima volta l'antichissimo villaggio di Cartore, Plebem Sancti Laurentii, et Sancti Leopardi in Cartoro (16), la parrocchia (Plebem) di Sancti Stephani in Clavano (S. Stefano di Corvaro) e i monasteri di Sancti Mauri supra Castilione de Valle de Petra (S. Mauro a Castelmenardo) e di Sancti Leopardi de Colle Fegati. Nel 1182 papa Lucio III nella sua bolla pontificia, oltre alla conferma dei confini della diocesi reatina, fece anche l'elenco delle chiese, parrocchie e monasteri, appartenenti alla stessa fra cui: le parrocchie di «Sancti Laurentij in Cartoro, Sanctae Mariae in Cornio [Corvaro?], Sancti Martini in [Turano], Sancti Stephani in Cliviano» e i monasteri di «Sancti Leonardi in Teva, Sanctae Anatoliae in Veiano, Sancti Leopardi et Sanctae Anastasiae in Collefecati» (17).
Veiano sembrerebbe quindi il nome più antico del territorio dove si adagiava il Monasterio di S. Anatolia mentre Cartore era il paese principale dato che nel suo territorio si trovava la parrocchia di S. Lorenzo e il monastero di S. Leonardo in Teva. Il villaggio di Frontino, con la parrocchia di S. Stefano in Clavano e di S. Maria de , dominava il territorio di Corvaro, dove era già stata costruita una prima rocca. A Torano, dove già si ergeva la rocca, c'era la parrocchia di S. Martino e a Collefegato i due monasteri di S. Anastasia e di S. Leopardo.
Fra la fine del secolo XII e l'inizio del XIII si verificò nelle nostre zone come anche altrove, il fenomeno dell'incastellamento per il quale i centri o castelli minori si univano, soprattutto per difesa, ai castelli di maggiore importanza. Antonio Ludovico Antinori nei suoi Annali così si espresse: «si erano cominciate a fare le incastellazioni. Si chiamavano così le unioni de' Castelli più piccioli alle Città vicine, o ai Castelli più grandi, e confinanti; acciocchè gli abitatori vivessero con maggior sicurezza, e commodo. Era una specie di ascrizione del Castello minore all'agro, o territorio del Castello maggiore, e più ricco. In vigore di essa gli incastellati entravano a parte di tutti i commodi, utili, e pesi, che solevano avere gli altri Castelli della terra incastellante, tanto in tempo di pace, quanto di guerra. Per conseguenza, come se fosse l'istesso campo venivano ad avere comuni, e promiscue le leggi, e gli statuti sull'annona, i pesi e le misure, i Mercati, gli opportuni sussidj, e tal genere di altre cose. Aveva l'aspetto d'una pubblica confederazione (...) L'unione liberamente contratta, concorrendo poi giuste cause, liberamente si poteva disciogliere» (18).
I territori di Cartore e di S. Anatolia non vennero nominati nel Catalogo dei baroni poiché, essendo di secondaria importanza, rientravano, insieme ai territori di Rosciolo e Magliano, nella giurisdizione del castello più vicino di Carcerem in Marsi che a sua volta dipendeva dalla contea di Albe. mentre il territorio di Clivano con la rocca del Corvaro dipendevano probabilmente dai feudi più importanti di Roccam Melitum (odierna Valle di Malito) o di Collem Fecatum. Torano, Grotti e Latuschio erano probabilmente concatenati con il castello di Spedino «Dispendium», ma di questo non possiamo dare certezze.
Il Monte Carce, situato fra Magliano de' Marsi e Rosciolo, si innalza a circa m. 1.000 d'altezza s.l.m. e visto da Magliano è a forma di cono. Nel punto più alto c'è una piccola pianura rettangolare sopra la quale ancora oggi si intravedono i resti delle fondamenta di una fortezza, forse un'antica oppidum pre-romana, che poi nel medioevo venne trasformata nel castello di Carcerem. Questo, nominato in altri documenti medioevali col nome di Castiri, Cartio, Carchium, Carchio, Carchi e Carci, era già nel X sec. d.C. un castello di primaria importanza per la sua posizione strategica, tanto importante che il 4 settembre del 970 l'imperatore Ottone I di Germania vi tenne un placito.
Esso venne descritto dall'Antinori in questo modo: «quello che poi si disse Carce nei Marsi era feudo del conte Roggiero d'Albe, incastellato a forma di rocca nell'estrema vetta del monte, interposto alla valle, onde si passa a Cicoli, e donde scorrendo il fiume Anio scende verso gli Equi. Avendo quella cima una forma ovale, il castello veniva compitamente d'ogni intorno cinto di mura. Vi si ascendeva per aspro, ed insolito cammino, nè per altra via, che pel giogo, e via così stretta, che appena vi possono andare tre insieme di lato. Sulle prime era l'ingresso del Castello per una sola porta, ma poi renduto Fortelizio, ne ebbe munite due di vallo» (19).
Sopra la Val di Fua (in dialetto Fiui) a circa m.1.400 s.l.m. fra le montagne della Duchessa sopra il villaggio di Cartore, esiste una grotta con antichi ruderi di marmi e muraglie. La grotta non ha vie di accesso facili e la mancanza di sentieri e gli strapiombi rendono la ricerca molto difficile anche per i visitatori più esperti. Eppure in quel posto, sconosciuto dalle carte ufficiali, si trovava anticamente il monastero di S. Leonardo in Cartore, apparso per la prima volta nella bolla del 1153 e in seguito detto di S. Leonardo in Selva nel 1182, apparteneva ai monaci benedettini e precisamente ai monaci del monastero di S. Paolo di Roma. Infatti nel 1218 il papa Onorio III, confermando tutti i beni del suddetto monastero, recitava: «Sanctum Leonardum supra in Cartore cum cellulis, villis et molis, et alii pertinentiis» (20).
Ruderi del Monastero di San Leonardo in Selva - fot. 1990
Il monastero di S. Anatolia in Veiano e la chiesa di S. Lorenzo in Cartore, erano passati in parte sotto la giurisdizione di S. Maria in Valle Porclaneta e infatti, nel 1250, in un registro delle rendite di tale monastero, il suo preposto esigeva, dai preposti e rettori delle chiese di S. Lorenzo e di S.Anatolia, che, nei giorni festivi di quei santi, si preparassero dei pranzi per sè e per i suoi chierici (21).
Il registro delle chiese della diocesi di Rieti del 1252-1253 conferma la presenza della parrocchia di Sancto Laurentio de Cartora e della chiesa di Sancta Anatholia, la quale rispondeva in parte al monasterio Sancti Salvatoris di Rieti. Le due chiese, in un foglio successivo dello stesso documento, vengono di nuovo riportate col nome di Sancta Anatholia de Cartore e di Sanctus Laurentius loci eiusdem ma questa volta, a conferma del documento del 1250, rispondevano al monasterio Sancte Marie de Valle. Nel villaggio di Cartore oltre alle chiese citate, esisteva il monastero di Sanctus Leonardus e la chiesa di Sanctus Nicolaus dipendenti dal monasterio Sancti Pauli de Urbe e le chiese o oratori di Sancto Sebastiano, del Sancto Sepulchro e di Sancto Costantino o Costantio che dipendevano da Sanctus Angelus de Corbario. Nelle vicinanze era presente la chiesetta rurale di S. Maria de Collis sita tra il castello di Sant'Anatolia e quello di Torano (22).
Il 13 dicembre dell'anno 1240 papa Gregorio IX delegò come Commissari Pontifici don Maccabeo abate di Torano insieme a frà Pietro dè minori conventuali per prendere informazioni sulla vita e sui miracoli del monaco certosino Oddone venerato a Tagliacozzo qual beato (23).
4. Corradino di Svevia e Carlo D'Angiò
Nel 1268 le truppe di Corradino di Svevia, nei movimenti di avvicinamento precedenti alla battaglia contro Carlo D'Angiò, passarono per le nostre zone e: «trovata troppo angusta ed impraticabile la strada che porta a Tagliacozzo, essendo fra dirupi si stretta che appena vi poteano capire due persone se mai s'incontravano una in faccia all'altra, prese il cammino a sinistra, e avviandosi per la valle di Uppa o Luppa spuntò a Tecle, detto poi bocca di Tecce, luogo fra colli e valli al di qua di Turano e di S.Anatolia e al di là di Rosciolo: scese quindi al piano senza contrasto, si diresse a Scurcola» (24).
Le genti di Cartore, al passaggio di Corradino per la loro terra, lo accolsero con gioia e gli diedero manforte ma a Scurcola, nei piani Palentini, Corradino perse la sua più importante battaglia e ciò ebbe grandi ripercussioni sia per la storia italiana che per i molti suoi piccoli alleati.
Chiedendo ad alcuni anziani del paese se erano a conoscenza di come fosse stata distrutta l'antica città di Tora ho scoperto fortuitamente una leggenda che ha dell'incredibile poichè probabilmente tramandata oralmente per ben sette secoli. Giovanni Sgrillletti infatti, anziano signore di Sant'Anatolia, mi raccontò: «circa 700 anni fa' c'erano due imperatori in guerra, uno di nome Corradini ed l'altro di nome Carlo d'Escia, con le loro battaglie avvenne la distruzione di Tora. I cittadini fuggirono nei paesi vicini e pochi rimasero fra i resti della città. Dopo alcuni anni, sui resti di Tora si era formata una folta vegetazione, giunsero alcune carovane di zingari che, vistosi scacciate da tutti gli altri paesi e trovata l'acqua fra i resti della città, vi si accamparono. Qui dovettero litigare con la gente del luogo ma infine si stabilirono pacificamente e costruirono delle case nel posto ora chiamato Case Vecchie. Così iniziò a sorgere il paese».
E' probabile che il villaggio distrutto da Corradino di Svevia (Corradini) e Carlo d'Angiò (Carlo d'Escia) fosse quello di Cartore, detto in alcuni documenti Cartora, mentre il termine Città di Tora è sicuramente un'influenza posteriore. Infatti, verso la metà del '700, vennero pubblicati i primi libri di storia locale quali La Storia de' Marsi del Febonio, La Reggia Marsicana del Corsignani e, in particolare, le Memorie di S. Barbara del Marini che, con molta puntigliosità, asserivano che l'antica città romana di Tora si trovasse sepolta nelle nostre contrade. Nel nostro villaggio passavano con molta frequenza vescovi e pellegrini che, avendo letto quei libri, li riportavano ai nostri parroci o ai nostri cittadini più istruiti i quali poi, parlandone con il popolo, ne influenzavano la memoria storica. Ma il fatto che nessun documento e nessun libro di storia locale riporti la notizia della distruzione di Cartore o di Tora è una buona garanzia per dimostrare che il racconto di Giovanni Sgrilletti possa essere genuino.
Dopo aver ascoltato il racconto in un primo momento pensai che fosse frutto di pura fantasia poichè non riuscivo a trovare dei documenti che mettessero in relazione gli Imperatori Corradini e Carlo d'Escia con la distruzione dell'antica città romana di Tora. In seguito, intuendo la possibilità dell'influenza e quindi della trasformazione del termine di Cartore in Tora, e incappando in alcuni brani di libri e documenti che parlavano dei dintorni di S.Anatolia fra il 1250 e il 1300, ebbi il riscontro che il racconto poteva essere vero e riferirsi al villaggio di Cartore.
Domenico Lugini, storico del Cicolano, nel 1907 nelle sue Memorie, parlando della famiglia Mareri del Cicolano, scriveva: «Il Re Carlo, dopo la riportata vittoria, si diede a perseguitare e a castigar tutti coloro che erano stati del partito di Corradino, e furono moltissimi quelli che perirono per tale cagione» (25). Poi, sempre lui, parlando della fine di Alba Fucense e basandosi sulla testimonianza di Buccio di Ranallo, scriveva: «Alba Fucense fu fatta devastare da Carlo nel 1268 dopo esser rimasto vincitore di Corradino sia perchè in essa si erano fortificati i Ghibellini, che favorivano il partito Svevo, e sia perchè gli Albensi avevano acclamato Corradino che, nel primo scontro, era rimasto vincitore degli Angioini» «Quando Carlo seppelo, Alve fece guastare» (26).
Giovanni Pagani, storico Avezzanese, nel 1979, parlando del santuario di Pietraquaria nella Marsica scriveva: «Quale feudo del conte d'Albe, che apertamente era dalla parte di Corradino di Svevia, non mancò di sostenere il suo signore Ghibellino: non dovrebbe quindi esservi dubbio che l'ira vendicativa di Carlo d'Angiò si abbattè inflessibile su Pietraquaria: lo lascia credere, sopra ogni altra cosa, la terribile devastazione di Albe medesima, avvenuta ad opera degli Angioini subito dopo la battaglia di Tagliacozzo» (27).
Paolo Fiorani, nel suo volume Una Città Romana - Magliano de' Marsi, scriveva: «Carlo d'Angiò ... non pago del successo ottenuto, fece seviziare i superstiti prigionieri svevi, mentre i soldati francesi si davano a saccheggiare i paesi limitrofi. Si dice che da essi fu persino distrutto il convento dei benedettini in Valle Porclaneta, sopra Rosciolo». (28)
Dopo la battaglia di Tagliacozzo quindi, fra Corradino di Svevia e Carlo D'Angiò di Francia, anche il villaggio di Cartore, schieratosi a favore di Corradino, venne distrutto da Carlo verso l'anno 1268 (29).
Da alcuni anni era stata costruita dagli abitanti di Cartore e di Veiano una torre di avvistamento sul colle dominante il monastero di S. Anatolia e questa rocca sembra che venisse denominata, per la sua funzione, Torre della guardia. Anche gli abitanti di Torano sembra che si schierassero a favore dello Svevo e quando Carlo, dopo aver vinto a Scurcola la sua battaglia più importante, decise di sottomettere i villaggi a lui alleati, questi non si arresero immediatamente ma gli diedero molto filo da torcere. Un racconto tramandatoci oralmente narra che: «Al tempo in cui c'erano le guerre civili e da Magliano doveva venire un esercito di centinaia di uomini a cavallo, i nostri per difendersi osservarono il loro arrivo chi dalla Torre di Torano, chi dalla Torre di Guardia, chi da un altro punto verso Colle Pizzo Dente, e quando il nemico si avvicinò al centro fra le tre torri, i padroni di queste ultime li circondarono e ne uccisero in molti. In quell'occasione furono uccisi anche moltissimi cavalieri e tale ricordo rimase impresso nel nome del territorio dove avvenne la battaglia e cioè Scannacavalli che è una zona vicinissima a S. Anatolia» (30).
Sempre nei racconti si narra che la zona bassa vicina al Santuario di Sant'Anatolia, ed esattamente l'odierna Case Vecchie, era in principio l'unica parte abitata della contrada di Veiano, ma negli anni successivi alla sconfitta di Corradino, la trascuratezza derivata dalla guerra e un clima troppo afoso, fecero sì che quella zona divenisse rifugio di molte bestie, soprattutto serpenti.
A sinistra la zona delle Case vecchie - A destra il Santuario di Sant'Anatolia con sottostante l'antico muro poligonale - fot. 1985
Queste motivazioni, alimentate dal bisogno di ricostruire un villaggio appena distrutto, spinsero gli abitanti di Cartore e di Veiano a trasferirsi sul colle alto del paese tutt'intorno alla rocca dall'aria più fresca e strategicamente più difendibile. (31).
Secondo la tradizione orale in quel tempo, una colonia di zingari, forse proveniente dall'Ungheria, scese in Italia e, errando nelle nostre zone, chiese asilo ai vari castelli del circondario. Bussarono alle porte di Corvaro, di Torano e di Spedino ma non ebbero ospitalità e infine vennero dirottati verso il paese di S. Anatolia ove si accamparono. Nessuno in quel periodo aveva voglia di altre guerre ed infatti i pochi abitanti del nuovo castello di Sant'Anatolia, i sopravvissuti di Cartore e di Veiano, dopo alcune scaramucce e trovando che gli zingari erano abili cacciatori di serpenti, preferirono accordarsi: questi ultimi fecero piazza pulita di quelle bestie, si stabilirono in quel luogo e lentamente si fusero con gli abitatori naturali (32). S.Anatolia divenne la santa degli Zingari, la Madonna nera di Sant'Anatolia, o già lo era, ed infatti attualmente il 9 e 10 luglio a Gerano, un paese vicino Subiaco, gli zingari moderni si riuniscono a centinaia ogni anno per la festa, poichè anche lì vi è una chiesa in onore della Santa. Ancor oggi i paesani limitrofi di Corvaro, Torano, Spedino, ecc. chiamano con disprezzo gli abitanti del nostro paese: Zingari di Sant'Anatolia, in dialetto gli zengari.
5. I Castelli nei dintorni di Cartore dopo il 1268
Dopo la vittoria di Carlo d'Angiò, la situazione nel nostro territorio era piuttosto cambiata. Torano, Corvaro, Spedino, Castelmenardo e Collefegato, forti delle loro posizioni strategiche e delle loro appetitose fortezze, nonostante la sconfitta riuscirono subito a risorgere ma quasi tutti i conti, baroni e feudatari furono sostituiti. Il 5 ottobre del 1273, in un diploma di Carlo d'Angiò, in cui divise l'ampio Giustizierato di Abruzzo in due, e cioè in «ultra et citra flumen Piscariae», sono ricordati tra gli altri Carce con le sue ville, Torano, Marano, Spedino, Collefegato, Castellum Maynardi, Corbanum, Maleto e Latuscolo posti in Abruzzo ulteriore (33).
Il 9 marzo del 1270 Risabella, figlia di Bonaventura De Pontibus e di Maria d'Aquino, signora dei castelli di Tagliacozzo e di Marano, scrisse il proprio testamento nominando suo erede universale il marito Napoleone, figlio di Giacomo, figlio di Napoleone, figlio di Urso. Risabella inserì una clausola di tutela nel testamento che prevedeva che, finché la madre Maria d'Aquino fosse rimasta in vita, avrebbe potuto usufruire delle rendite del castello di Marano (34).
Nel 1279 tutti i conti, baroni e feudatari del Giustizierato d'Abruzzo dovettero passare la mostra dinanzi al giustiziere Brunello in Sulmona e Penne e furono registrati. Il 28 aprile del 1279 si presentarono: «Sinibaldo de Aquilano nuovo proprietario del Corvaro che fu valutato 1 feudo. Sibilia, moglie di Tommaso Ammone, per Castel Menardo, valutato 1/8 di feudo, e per Castel Maleto, valutato 2 once e 25 tareni. Guglielmo Stacca provenzale per Collefegato e Tufo valutati 2/3 di feudo. Un certo Giovannino si presentò come procuratore di Maria di Aquino per Marano che fu valutato 1/2 feudo. Il 10 maggio Stefano Colonna mandò come suo vicario Giovanni da Poggiovalle per i feudi che possedeva nel Cicolano, fra i quali Poggiovalle» (35).
Carlo d’Angiò I morì a Foggia ai 7 Gennaio del 1285 e lasciò erede del regno il figlio Carlo II, il quale non potette prendere subito le redini del governo, perché si trovava prigioniero di Pietro di Aragona in Sicilia. Ma venuto a patti, che cioè l’aragonese rimanesse re della Sicilia ed egli di Napoli, fu messo in libertà, e, tornato nell’anzidetta città, assunse il governo del regno.
Nel 1292 l'Università di Colle Fecato chiese al re di provvedere contro Gentile di Pescorocchiano che aveva invaso il castello rubando i beni e violando le mogli (36). Nel 1293 troviamo contessa d’Albe Filippa di Celano, discendente di Tommaso di Celano, già conte di Celano e d'Albe nel 1221. Filippa discendeva anche da Ruggiero, conte di Alba nel 1266. Il suo primo marito era stato Pietro di Beaumont. Nel 1293 Oddo di Toucy, secondo marito di Filippa e perciò conte d'Albe, possedeva le seguenti terre: «Alba cum Cappella, Avezanum, Transaque, Lucum, Turanum, Vallis Sorana, Civitas Antine, Castellum Novum, Murreum, Rendenaria, Lameta, Civitella, Pesculum Canale, Capistrellum, Caliponium, Curcumello, Altum Sanctae Marie, Castellum vetus, Canzanum, Podium, Sculcula, Fuce, Agellum» (37). L'8 dicembre del 1310 il Vescovo di Rieti conferì ad Oddone, presbitero della chiesa di San Tommaso di Latusco, la chiesa di San Martino di Torano (38).
Carlo II d'Angiò morì il 5 maggio del 1309 e gli successe nel regno il figlio Roberto il quale, nei suoi registri dell'anno 1316, rammentò vari castelli del Cicolano. In quel tempo Corvaro e Spedino erano posseduti dalla contessa di Albe e Torano, con altri beni feudali posti nei confini con gli Abruzzi, era posseduto da Amelio di Corvaro ma faceva parte delle terre della contessa di Albe. Nel 1318 Lelio di Burgum Collis ficcati, figlio di Giovanni di Montenegro, era notaio per autorità regia (39). Nel 1319 era signore del Corvaro, Gentile di Amiterno. Nel 1324 Ugo Stacca di Collefegato vendette a Raimondo di Catania il suo castello di Poggiovalle, ed il re vi prestò il suo assenso (40). Nel 1325 Roberto Orsini era Conte di Alba (41).
Nel 1338 Collefegato «tranquillo castello di campagna» era di proprietà di un certo Fidanza. Il 19 gennaio del 1343 morì il re Roberto d'Angiò e gli successe la nipote Giovanna moglie di Andrea il fratello di Lodovico re d'Ungheria. La sorella di lei, Maria, ebbe dal suo avo paterno la contea di Albe dei Marsi con molti altri feudi in altri luoghi (42).
Il 27 agosto 1357 il notaio Barnabas Pascalis di Turano redige l'Inventario dei beni mobili ed immobili del castello di Turano, fatto per ordine di Tommaso da Salerno, ciambellano e vicario della contea d'Alba in Abruzzo. Nel documento viene nominato per la prima volta il castello di S. Anatolia (43).
Il 14 settembre 1360 il notaio Paulutius Pauli de Esculo registrò la protesta di Pietro di Teodoro a nome di Isabella Savelli vedova di Orso de filiis Ursi e madre di Rinaldo, Iacobello e Giovanni, contro Giusta che contrastava ai medesimi il possesso di Turano e Spedino, da essi posseduti e infeudati (44). Il 20 maggio 1366 quest'ultima morì e la contea di Albe tornò al regio demanio. Il 30 settembre 1371 Giuntarello di Poppleto era il signore dei castelli di Corvaro, Collefegato e Poggiovalle e alcuni anni dopo questi furono ereditati da Antonio suo figlio (45).
6. La battaglia di Torano
Il 1378 fu l'anno del grande scisma d'occidente nel quale furono eletti contemporaneamente due pontefici, Urbano VI dai vescovi romani e Clemente VII dai francesi. La regina Giovanna prese le parti del pontefice Clemente VII mentre Carlo II di Durazzo, discendente degli Angioini e aspirante al trono del regno, parteggiò per Urbano.
A quel punto anche l'Abruzzo come l'Italia si spaccò in due. L'Aquila parteggiò per la regina Giovanna e quindi per il papa Clemente mentre il nostro Cicolano per il papa Urbano. Questa situazione provocò vari scontri fra cui una battaglia per noi molto importante perchè combattuta nei pressi di Torano.
In quel tempo vi erano due grandi famiglie a L'Aquila, i Camponeschi ed i Pretatti, che, per vecchie inimicizie e rancori, cercavano sempre la scusa per poter andare in guerra. Lo scisma fu preso al balzo e quando la famiglia Pretatti, capitanata da Francescantonio, si mise dalla parte di Carlo di Durazzo quella dei Camponeschi, capitanata da Antonio, si mise dalla parte opposta. Francescantonio detto Ceccantonio era figlio di Nicolò e di Pasqua di Poppleto ed era cugino di Antonuccio da Giunta, signore di Corvaro, Collefegato e Poggiovalle. Dopo una sconfitta avvenuta a L'Aquila nel novembre del 1378 in una battaglia contro Antonio Camponeschi, Ceccantonio si riparò nel castello di Poggiovalle e da lì a più riprese tentò di riconquistare i suoi feudi Aquilani. In una delle sue scorrerie mise a fuoco le terre di Pendenza e di Rascino; assalì Antrodoco per prenderne la rocca ma fu respinto; s'impadronì della rocca di Pelino, vicina all'Aquila; il 22 settembre del 1379 entrò nel territorio di Amiterno scorrendo fino a Pile e facendo danni e rovine; si accampò a S. Vittorino, a Preturo e a Civita Tomassa, ma poi trovata una forte resistenza dovette uscire, dirigendosi a Leonessa, dal regno di Sicilia.
Gli Aquilani, sdegnati da tali assalti, riunirono un esercito e andarono contro il castello di Corvaro dove fecero molte prede e prigionieri. La vedova di Giuntarello, signora del Corvaro, riunì un altro esercito e ricambiò l'offesa facendo prede e prigionieri a Tornimparte. Questi fatti scatenarono una reazione per cui gli Aquilani ripeterono più volte le scorrerie contro i Corvaresi e, chi più ne pagò, fu la valle di Maleto che rimase molto danneggiata. Ceccantonio, chiamato in aiuto dai Corvaresi, irruppe nel contado aquilano e, giunto in una villa a Tornimparte, vi predò e uccise alcune persone.
La torre di Torano - fot. 2016
Nel gennaio del 1381 Ceccantonio si impadronì della roccaforte di S. Donato al centro del territorio aquilano e ciò creò una situazione talmente difficile per gli aquilani che anche la potente famiglia Orsini per paura si mise contro di lui.
Nel giugno dello stesso anno l'esercito aquilano, capitanato da Antonio Camponeschi, partì alla volta di Torano e, accampatosi in quel castello, si diede a fare scorrerie nei luoghi vicini e ad assaltare frequentemente i castelli di Corvaro, Collefegato e Poggiovalle. Rinaldo Orsini invece si diresse nel suo castello di Tagliacozzo a radunare gente per dare manforte al Camponeschi.
Ceccantonio, infastidito da tali scorrerie, dopo aver radunato un piccolo esercito a Poggiovalle, il 15 luglio si presentò a Torano e, dopo aver ordinato le sue schiere ed assegnati i posti ai fanti ed ai cavalieri, si mise a provocare il Camponeschi che accettò la sfida e, uscito dal castello, iniziò la battaglia.
Alcune ore dopo Ceccantonio stava decisamente vincendo la battaglia quando arrivò in soccorso degli aquilani un rinforzo mandato da Rinaldo Orsini condotto da Gianni di Lello.
A quel punto le sorti della battaglia si capovolsero e, dopo poco tempo, l'esercito del Pretatti cominciò a piegare. Stanchi del lungo combattimento, molti dei suoi uomini fuggirono nei castelli vicini. Ceccantonio invece, infuriatosi ancor più dall'evidente disfatta, continuò a combattere ma, alla fine, caduto da cavallo, venne fatto prigioniero. Il seguito fu molto tragico per Ceccantonio che, dopo lunghe trattative non andate in porto fra gli aquilani, l'Orsini e Pasqua, la madre del Pretatti, il 16 agosto del 1381 fu condannato a morte per taglio della testa (46).
Il 18 aprile 1382 venne emessa una Breve da Clemente VII, datata da Avignone, con la quale questi confermò a favore di Rinaldo Orsini, conte di Tagliacozzo, la provvisione conferita al medesimo da Giovanna regina di Sicilia, che aveva assegnato allo stesso Orsini in perpetuo 185 onze d'oro sopra le terre e i castelli del Regno. In conseguenza lo stesso Rinaldo poteva da per sé esigere detto assegno senza ricorrere all'opera dei giustizieri ed esattori o commissari del Regno, e poteva eseguire tutto ciò nelle università di «Cappadocia, Bonriparo, Petra de Venusa, Auricola, Rocca de Cerra, Intramontes, Altum S. Marie, Castrum Vetus, Stanzanum, Talliacotioum, Collis et Luppa, Tufum, Celle, Petraficcha, Podium Siginulfi, Mons Falconum, Veretula, Civitas Carsoli, Roccha de Butte, Piretum, Barrum, Pescum Roccanum, Turris Tatalli, Castrum de flumine, Maccla de Mone, Cucumellum, Palearia, Girofalci, Corbarium, Vallis Maleti, Castillionum et Podium de Valle, Collis Fecatum, Podium S. Iohanne et Roccha Ranisii» (47). Il giorno dopo, il 19 aprile del 1382 Guglielmo, abate del monastero di San Paolo di Roma, conferì la chiesa di San Leonardo di Cartore e di Santa Maria de Casis, in diocesi marsicana, al presbitero Benedetto Silvestro di Cartore (48).
7. Tra la fine del '300 e l'inizio del '400
Nel 1366, morta Maria, sorella della regina Giovanna, la contea era tornata al regio demanio. Un documento datato 6 ottobre 1372 nomina Giovanna col titolo di duchessa di Albe ed è possibile che da lei i nostri monti possano aver preso il nome di Montagne della Duchessa (49).
Verso l'anno 1390 il re di Napoli Luigi II d'Angiò investì Luigi di Savoia, figlio di Filippo conte di Piemonte, della Contea di Alba ma già nel 1393 il regno passò nelle mani di Ladislao e la contea tornò al regio demanio.
L'8 febbraio del 1394 re Ladislao chiese a molte terre e castelli del regno di non rompere la tregua e di rimanere a lui fedeli e, tra le terre che aderirono, vi furono anche Magliano, Rosciolo e Sant'Anatolia (50).
Due atti riguardanti tale promessa di tregua furono registrati da un notaio di Rosciolo e da uno di Magliano (51). L'anno dopo lo stesso re concesse a Giacomo Orsini conte di Tagliacozzo il permesso di ampliare la sua contea aggiungendo i castelli di Turano, Spedino, Marano, Poggio S. Biagio, le Cese, Colonna, Castel di Fiume, Cappadocia, Pietrella e Verucole (52).
Centoventicinque anni dopo la battaglia di Corradino quindi, se i racconti della tradizione sono veri, la popolazione di Cartore, assimilata a quella degli zingari, si era spostata vicino alla rocca, sul colle della contrada di Veiano. Quest'ultimo termine, andato in disuso, venne gradualmente sostituito con quello della chiesa più vicina, ormai la principale, di Sant'Anatolia.
Nel novembre del 1400 il castello di Marano, che nel frattempo era divenuto di proprietà di Giacomo Estendardo, viene acquistato per mille ducati d'oro da Giacomo Orsini con l'assenso del re Ladislao (53). Il 25 ottobre del 1403 Santi Bonadota, abate del monastero di San Paolo di Roma, conferì le chiese di S. Mariae de Casis, S. Mariae de Monte et S. Leonardi de Cartorio, al frate Paulo Dati di Corvaro, monaco di San Paolo (54). Nel 1417 era contessa di Tagliacozzo Isabella di Marzano alla quale il 30 aprile la regina Giovanna II concede «un'annua pensione vitalizia di oncie 21 di carlini d'argento, da prelevarsi sulle collette fiscali di Torano e Marano» (55).
Ad ottobre del 1418 la regina Giovanna II, per gratificarsi il pontefice Martino V, investì suo fratello Lorenzo Colonna della contea di Albe de' Marsi (56). L'anno dopo, il 3 agosto 1419, Giovanna promise che avrebbe donato, dopo la propria incoronazione, a Giordano Colonna il principato di Salerno, oltre a 12000 ducati fino alla presa di possesso e 5000 ducati per i successivi 10 anni, ed a Lorenzo Colonna il contato di Alba, oltre alla carica a vita di Camerario del regno. In quel tempo facevano parte della nostra contea i seguenti castelli: Alba, S. Anatolia, Rissolo, Luco, Magliano, Castronovo prope Albam, Cappella, Aveczano, Transaquis, Capistrello, Pescocanali, Canistro, Meta, Civitella, Rendinara, Castronovo de Vallibus, Roccadevivo, et Civitantine. Lorenzo, marito di Sveva Caetani, Conte d'Albe e Gran Camerario del Regno di Napoli, fu il primo Colonnese ad essere investito della nostra contea e la mantenne fino al 1423 anno in cui, a causa di un incendio, morì. I suoi titoli e tutti i feudi che gli erano appartenuti furono confermati dalla Regina Giovanna II ai suoi figli Antonio (57) e Odoardo (58).
Il 1 settembre del 1423 Giovanni de Paolo Sanguigni, abate del monastero di San Paolo di Roma, essendo deceduto il monaco Paolo di Corvaro, rettore delle chiese di S.Leonardo de Carturio e di S.Maria de Casis in diocesi reatina, le conferì a Giovanni di Buzio di Agostino di Rosciolo, sacerdote della diocesi de Marsi, incaricando il venerabile signor abbate Antonio di Cartore, che lo mettesse in possesso di tali chiese (59).
8. La Contea di Albe nel XV secolo
Il 20 maggio del 1426, la regina Giovanna II, in considerazione del fatto che gli abitanti di Tagliacozzo, di Poggio Filippo, Scurgola, Marano, Scanzano, Alto S. Maria, Rocca di Cerro, […], di Verrucole, Cappadocia, Castel di Fiume e Castello di Palearie, tutti vassalli di Giacomo Orsini, erano rimasti ad ella fedeli e per questo avevano sofferto molti danni, per compensarli accordò loro la diminuzione di alcuni dazi e tasse fiscali (60).
Nel febbraio del 1427, il pontefice Martino V, per prevenire delle liti, divise l'eredità in due parti e la contea d'Albe passò ad Odoardo Colonna gestita dalla madre poichè quest'ultimo era d'età minore. In quel tempo il contado era così composto: «Celanum, Piscinam, Canullum, Collum Cerchium, Agellum, S.Petitum, Ovindellum, Roveram, S. Ionam, Paternum, Gallianum, castrum Vetus, Castrum Deceri, Scinarium, Vendelum, Ortrechiam, Resignam, Archium, Speronasinum, S.Sebastianum, e Capistranum de provincia Aprutij Citra flumen Piscariae. Baroniam Caropelle, Castrum Vetus, S.Stephanum, Calanu, Roccam Calani. Licium, Ioyam de provincia Apruty ultra flumen Piscariae, Vasalanum, portam, e serram de provincia terrae Laboris, nen non, e Comitatum Albae, e usque terras castra loca, e fortellitia subscriptas, videlicet Albam, Sanctam Anastasiam [cioè Sanctam Anatoliam], Risolum, Civitellam, Rendenariam, Castrum Novum de Vallibus, Roccamdenino, e Civitatem Anturae de dicta provincia Aprutiy ultra».
S.Anatolia alta - Possibili resti del castello - 1986
Il 21 febbraio del 1432 la regina Giovanna II confermò a Odoardo Colonna il Ducato di Marsi & Albe e Celano con una quantità di terre nell'Apruzzi Citrae e Ultra. Sotto il nome di Contea di Celano fu compresa anche la contea di Albe, poichè si legge nel diploma che il ducato e la contea formavano 44 terre e castelli dei quali si menzionarono soltanto: Albe, Avezzano, Capistrello, Castelnuovo della valle, Celano, Civitella, Luco, Sant'Anatolia e Trasacco. Ora Albe, Avezzano, Civitella, Luco, Sant'Anatolia e Trasacco facevano parte della Contea di Albe (61).
Nel 1436 la contea di Alba passò sotto il dominio di Giacomo Caldora che morì il 25 novembre del 1439 e gli successe il figlio Antonio il quale la tenne fino al 1441, anno in cui ne fu spogliato da Giovanni Orsini (62). Fra il 1435 e il 1441 ci furono delle grandi lotte per la successione al regno di Napoli fra Renato d'Angiò ed Alfonso V d'Aragona (1385-1458). Nel 1441, dopo la lunga contesa, Alfonso d'Aragona detto il magnanimo, figlio adottivo della regina Giovanna II, morta nel 1435, divenne re di Napoli e, nonostante che l'Orsini fosse stato a lui nemico, il primo agosto del 1442 gli confermò tutti i suoi domini fra cui le contee di Alba e di Tagliacozzo, la baronia di Corbaro e la terra di Paterno (63).
Il 2 luglio del 1443 il papa Eugenio IV elenca i redditi delle chiese sottostanti ai monaci benedettini di San Paolo di Roma e tra le altre nomina la chiesa di S. Leonardi supra in Cartora in diocesi Reatina (64).
Nel 1445 fu imposta a tutti i feudatari una tassa sulle terre demaniali che essi possedevano nel regno di Napoli. In quel tempo gli Orsini possedevano nelle nostre contee i seguenti territori: «Auricola, Rocca de Bucchi, Collefecato, Castrum Mainardi, Teraco, Spidinum, Tagliacotium, Circum Collum, Petra de Venula, Cappadocium, Rocca de Cerro, Alto, Sancta Maria, Castrum Vetus, Scanzanum, Sanctus Donatus, Podium Filippi, Castellum Paleaiae, Maranum, Scolcura, Collis de Luppa, Colle, Barrochia, Piccetum, Albae, Cappella, Tarascum, Patuvium, Corvara, cum Magliano, Sancta Natolia, Succem, Avezzanum, Canistrum, La Meta, Civitas Antoia, Civitella, Castrum Caroli, Castrum de Flumine, Cose, Rocca de Supra, Girgutum, Rocca Randisiu, Podum Sancti Ioannis, Radicaria, Turris de Taglia, Capradosso» (65).
S.Anatolia bassa - Fontanile in pietra
Il 24 luglio del 1449 Matteo Foschi, vescovo di Rieti, ordinò Angelo Cola clerico della chiesa di Sant'Anatolia del castro omonimo (66).
Nel 1456 morì Giovanni Antonio Orsini senza eredi e le contee tornarono per tre anni al regio demanio. In questo intervallo i popoli non obbedivano al feudatario ma erano direttamente sottomessi al comando del Re (67). Nel 1458 morì Alfonso e gli successe nel regno di Napoli Ferdinando I d'Aragona (1431-1494).
Il 19 marzo del 1465 Leonardo de Pontremulo, abate del monastero di San Paolo di Roma, conferì la chiesa di S.Leonardo de Monte Ulmo in Carturio, in diocesi reatina, a Mariano, monaco romano di San Paolo (68).
Nel 1464 il re Ferdinando confermò ai due fratelli Roberto e Napoleone Orsini le contee di Albe e Tagliacozzo, la Baronia di Corvaro e la terra di Paterno e si deve probabilmente a questi la costruzione del fontanile e il restauro della chiesa di Sant'Anatolia, probabilmente intaccata dal terremoto di cent'anni prima. Fu infatti nel decennio 1460-1469 che venne assunto un pittore, forse Andrea de Litio nativo di Lecce nei Marsi, per dipingere le colonne e le volte dell'antica chiesa. Fu lui a dipingere l'affresco di S.Anatolia, quello della Madonna del Latte e altri affreschi in seguito perduti (69).
Edicola votiva di S.Anatolia: affresco con data 146* - Madonna del latte - Anatolia
Nel 1467-1468 i fratelli Francesco e Battista Pagani, che per qualche motivo ne dovevano essere divenuti proprietari, fecero atto di rinuncia a favore degli Orsini dei castelli di Corbario, Curcumello, Poggio Filippo, Pagliara e Fiume siti nella contea di Albe e Tagliacozzo (70).
Alla morte di Roberto e Napoleone Orsini, rispettivamente nel 1470 e nel 1480, il re Ferdinando ne riprese il possesso e cedette quella di Albe a Prospero Colonna in cambio di 20.000 ducati. La contea di Tagliacozzo fu ereditata da Virginio figlio di Napoleone il quale, poichè quella di Albe era stata ceduta al Colonna, si inquietò moltissimo tanto da giungere a schierarsi apertamente contro il re Ferdinando. Per questo motivo fu dichiarato ribelle e gli furono confiscati tutti i feudi. Fra le due potentissime famiglie si accese un odio furibondo che portò a sanguinose battaglie per fermare le quali dovette intervenire il pontefice e lo stesso re che mediarono restituendo nel 1484 la contea d'Albe all'Orsini (71).
Il 1 agosto del 1484 Francesca, moglie di Gentile Virginio Orsini conte di Albe e Tagliacozzo, e Giovan Giordano suo figlio, procuratori di Gentile, giurano fedeltà a Ferdinando re di Sicilia. Nell'atto registrato dal notaio Petrus Pasqualis de Otre de Aquila è riportato anche il giuramento prestato dai sindaci e massari di Avezzano, Magliano, Rosciolo, S. Anatolia, Luco, Canistro, Civita d'Antino e Corbaro. Giurarono fedeltà per la nostra terra «Pasqualis Jannitelle et Amicus Sconchiali de Sancta Anatholia, massarii, sindici et procuratores universitatis et hominum eiusdem terre Sanctae Anatolie» (72).
Nel 1485 la contea di Albe si ribellò all'Orsini alzando l'arma Colonnese e, il 5 gennaio 1486, Fabrizio Colonna (1460-1520), con esclusione della rocca del Corvaro (73), ne riprese il possesso in nome della chiesa. Contro di lui marciò Virginio Orsini il quale, appoggiato dal duca di Calabria Alfonso, riprese il possesso della contea (74). Nel 1494 a Ferdinando successe nel regno di Napoli il figlio Alfonso II d'Aragona (1448-1495) ed a lui nel 1495 successe Ferdinando II (1467-1496) detto il cattolico. Fra le famiglie Orsini e Colonna l'odio si riaccese e, quando Carlo VIII di Francia nel 1494 scese in Italia e conquistò il regno di Napoli, a Virginio Orsini, dichiaratosi apertamente in suo favore, vennero riconfermate le due contee (75).
L'Aragonese in quel tempo fu costretto a fuggire dal regno ed a rifugiarsi in Sicilia. In seguito Fabrizio con altri colonnesi, a loro spese, assoldarono genti per la sua difesa. L'anno dopo (1495) Ferdinando, scacciato Carlo VIII, ritornò sul trono e, per ringraziarlo dei servizi resi, donò a Fabrizio Colonna fra l'altro le contee di Alba e Tagliacozzo (76). Ferdinando II non ebbe la possibilità di spedirgli il privilegio di tale donazione perchè prevenuto dalla morte (1496). Fu quindi il re Federico II (1451-1504), fratello di Ferdinando I e suo successore nel regno di Napoli, che, dopo aver dichiarato ribelle Virginio Orsini, condannandolo a morte, nel 1497 emise a favore di Fabrizio Colonna i due diplomi con i quali gli confermò la contea di Albe, di Tagliacozzo e la Baronia di Civitella Roveto. In quel tempo facevano parte delle suddette contee i seguenti castelli e villaggi: «Taleacozzi, Alba, Cellanum, Criculae, Roccam de Brato, Perisi, Collis Intermontis, Rochiae de Cerro, Verrechiae, Capadotis, Petrellae, Paleanis, Castelli de Flumine, Curcumelli, Caesae, Scurculae, Pody, S. Donati, Scanzani, S. Mariae, Castelli Veteris, Marani, Terani, Tusely, Speriandidi, Corvary, Castelli Manandi, S. Anatoliae, Ricciolo, Magliani, Paterni, Avellani, Luci, Trasacchi, Caressi, Civite Dantinae e Cappellae» (77).
9. Il Ducato di Tagliacozzo nel XVI secolo
Nel 1500 un morbo epidemico e contagioso, del quale s'ignora il nome, infierì per ogni dove senza risparmiare le nostre contrade; ribelle ad ogni rimedio mieteva centinaia di vittime e la cosa più terribile fu che i medici, il parroco e gli assistenti non potevano avvicinarsi senza il certo pericolo di contrarre la malattia. Per questo gli alimenti, i farmaci e gli stessi conforti religiosi si apprestavano agli infelici per mezzo di una canna per mantenere la distanza (78).
Nel 1501 il regno di Napoli venne conquistato dai francesi e nell'aprile del 1502 il re Luigi XII conferì a Giovanni Giordano Orsini la contea Tagliacozzo e Albe, e la baronia del Corbaro e tale conferimento venne riconfermato in un secondo diploma il 15 novembre dello stesso anno (79). Nel 1503 il regno di Napoli fu riconquistato dagli spagnoli e Ferdinando d'Aragona nel 1504 assunse il titolo di re di Napoli e di Sicilia e la contea tornò ai Colonna.
Nel 1506 Ferdinando d'Aragona confermò a Fabrizio Colonna le seguenti terre: «Tucti queste terri legali insieme le tene lo signor Fabricio Colonna dal re Ferrando II et dal re Federico et confirmati dal signor duca de Terranova: Tagliacoczo, Albe, Celle, Auricula, Rocha de Bocte, Parete, Colle inter Monte, Rocha de Cerro, Verrichia, Colle, Cornaro, Capadoce, Pretella Secha, Paleara, Castello de lo Fiume, Curcumello, Cese, La Scurcula, Poyo Sinulfo, Sancto Donato, Scanczano, Poyo de Philippo, Sancta Maria, Castello Vecchio, Marano, Thorano, Latuschi, Spellino, Lo casale de Lentano, Castello Minardo, Sancta Anatholia, Rusciolo, Petra emola, Magliano, Paterno, Aveczano, Lugho, Trasaccho, Canistrello, Cappella, Tufo, Cività Andrana - d. 3083, t. 3, gr. 15 - Et tene de provisione llano sopra li pagamenti fiscali de dicte terre ducati sei milia correnti per li quali ha de tenere per servicio de la cattolica maiestá quarante homini d'arme armati d. 6000. Summa universale de dicte intrate: d. 9.083, t. 3, gr. 15». (80)
Francesco I, successore di Luigi XII re di Francia, tentò più volte di riconquistare il regno di Napoli che rivendicava di sua legittima appartenenza e nel 1516 emise un diploma in cui sulla carta riconfermava al suo fedele Giovanni Giordano Orsini la contea Tagliacozzo ed Albe e la baronia del Corbaro (81). Ma, purtroppo per loro, quella della riconquista era solamente una duplice illusione poichè il regno era ormai passato definitivamente agli spagnoli e il ducato di Albe e Tagliacozzo alla famiglia Colonna che lo tenne fino ai primi del 1800. Il 16 luglio del 1516 infatti Giovanna di Aragona e Carlo suo figlio, confermarono a Fabrizio Colonna i titoli di duca di Tagliacozzo e conte di Alba (82).
Fabrizio Colonna, gran contestabile del Regno di Napoli, poi comandante degli eserciti di Giulio II, primo duca di Tagliacozzo, morì in Aversa il 18 marzo del 1520. Egli aveva avuti dalla moglie Agnese di Montefeltro, figlia del duca d'Urbino, otto figli: Vittoria (1490-1547), Ferdinando (+1518), Federico (1497-1516), Ascanio (1500-1557), Camillo, Marcello, Sciarra e Beatrice (ca. 1515).
Siccome Ferdinando e Federico, i due figli maggiori, morirono prima del padre, erede universale fu il terzo figlio Ascanio che ebbe in dote anche la contea di Alba e Tagliacozzo. Ascanio Colonna sposò Giovanna di Aragona, figlia del duca di Montalto (1500-1577), e fu duca di Tagliacozzo, dei Marsi e di Paliano e Gran Contestabile del Regno di Napoli. Egli, uomo d'arma, partecipò al sacco di Roma costringendo Clemente VII a rifugiarsi a Castel S. Angelo. Nel 1552 scrisse il proprio testamento nel quale diseredò il figlio Marcantonio per ribellione. Nel testamento dispose 50 mila ducati in dote alla figlia Vittoria sposa a Garsia di Toledo. Concesse i possedimenti in Abruzzo alle figlie Girolama (Scurcola, Cese, Poggio Filippo, Corcumello) e Agnesina (Corvaro e il mulino di Terra Mora, Magliano, Spedino e Latusco). Nominò erede universale la Santa Sede (83). Morì il 24 marzo del 1557.
Marcantonio, nato a Lanuvio nel 1535, riuscì a tornare in possesso dei domini colonnesi solo dopo circa un decennio nel 1562, anche grazie all'appoggio di papa Pio IV, dovendo però vendere alcuni feudi tra cui Nemi, Ardea e Civita Lavinia per risanare il dissesto finanziario lasciato da Ascanio (84). Principe di Paliano e duca di Tagliacozzo, sposò Felice Orsina della casa dei duchi di Bracciano, fu capitano generale dal 1570 della flotta pontificia contro i Turchi ed ebbe massima parte nell'impresa e nella vittoria di Lepanto del 1571. Nel 1577 fu nominato da Filippo II vicerè di Sicilia. Recatosi in Spagna dietro invito vi morì forse avvelenato il 2 agosto del 1584. Prima di morire Marcantonio aveva stipulato un contratto di vendita, a favore di Geronimo de Carluccio di Magliano, di una rendita di 480 ducati annui sui feudi di Magliano, Rosciolo e Sant'Anatolia. Nel 1589, qualche anno dopo la sua morte, la moglie Felice Orsina ottenne da Juan de Zunica, viceré di Napoli, l'assenso regio su tale contratto (85).
Marcantonio Colonna e la moglie Donna Felice Orsina
A Marcantonio successe, nei numerosi feudi, il nipote Marcantonio II (1575-1595), figlio del primogenito Fabrizio (1557-1580) e di Anna Borromeo, che morì il 1 novembre 1595. Nel 1595 il ducato andò in eredità al figlio neonato Marcantonio III (1595-1611), il quale morì a soli 16 anni, promesso sposo di Eleonora Gonzaga. Non avendo eredi diretti, gli successe lo zio Filippo (1578-1639), figlio di Fabrizio II, il quale ereditò dal nipote il titolo di principe di Paliano e duca di Tagliacozzo.
Discendenti di Ascanio Colonna
Nel 1586 lo scrittore Scipione Mazzella, nella sua opera intitolata «Descrittione del Regno di Napoli» (86), fece l'elenco della popolazione del regno. Sant'Anatolia si trovava nell'Abruzzo Ultra, cioè oltre il fiume Pescara, l'attuale fiume Aterno. In quel tempo il regno veniva visto al contrario, rispetto a come oggi generalmente viene percepito. Veniva guardato da sud verso nord e l'Abruzzo ulteriore o ultra, visto dalle due capitali Palermo e Napoli, si trovava oltre il fiume Pescara, luogo remoto, posto ai confini settentrionali del regno. Quella che segue è la popolazione, estratta dal libro, dei paesi dei dintorni di Sant'Anatolia nel 1561:
NUMERAZIONE DEI FUOCHI NEL CENSIMENTO DEL 1561 | Fuochi riportati |
Abitanti stimati |
Colle Fecato (Contado di Mareri e baronia di Collalto) | 99 | 535 |
Castello Minardo (Contado di Mareri e baronia di Collalto) | 85 | 459 |
Poio di valle (Contado di Mareri e baronia di Collalto) | 26 | 140 |
Corvaro (Contado di Alba e Tagliacozzo) | 164 | 886 |
Latusco (Contado di Alba e Tagliacozzo) | 22 | 119 |
Magliano (Contado di Alba e Tagliacozzo) | 301 | 1625 |
Marano (Contado di Alba e Tagliacozzo) | 59 | 319 |
Risciolo (Contado di Alba e Tagliacozzo) | 147 | 794 |
Spendino (Contado di Alba e Tagliacozzo) | 29 | 157 |
Santa Natoglia (Contado di Alba e Tagliacozzo) | 137 | 740 |
Torano (Contado di Alba e Tagliacozzo) | 109 | 589 |
Per calcolare il numero reale degli abitanti bisogna considerare che ogni fuoco, ossia ogni nucleo familiare, poteva essere composto, oltre che dal capofamiglia, con moglie e figli, anche dai genitori e nonni più anziani, dalle sorelle e zie nubili, dai fratelli disabili, dai preti, ecc. Nel resoconto della Visita Pastorale del 1570 il vescovo Marco Antonio Amulio ci informa che le famiglia di Sant'Anatolia erano 130, di cui 15 residenti a Cartore, per un totale di 700 residenti. Per dedurre quindi il numero degli abitanti delle altre terre (terza colonna della tabella) abbiamo moltiplicato i fuochi, cioè le famiglie, per 5,4 che è la media degli individui per famiglia di Sant'Anatolia.
10. I castelli nei dintorni di S.Anatolia tra i secoli XV e XVI
Verso il 1393 il Regno era passato sotto il dominio di Ladislao figlio di Carlo di Durazzo che costituì intorno all'anno 1400 la Contea del Corvaro che comprendeva i castelli di Corvaro, di Collefegato, di Poggiovalle, di Castelmenardo, di parte del castello di Monte Odorisio, delle ville di Castiglione e di Valle Maleto e di altri feudi nella provincia dell'Aquila. Il primo feudatario investito di tale contea fu Bonomo di Poppleto, forse fratello di Antoniuccio di Giunta, a cui successe il figlio Piero.
Il 14 settembre 1420 il pubblico notaio Iacobus Urselli de Civitate Ducali registra la quietanza di Bonomo di Popleto dell'Aquila a favore di Sergiacomo di Nicola, come rappresentante di Giacomo Orsini, conte di Tagliacozzo e d'Alba, per la vendita fatta dei castelli di Turano e Spedino al sopradetto Orsini, vendita conclusa col patto di non molestarlo mai, e nel caso contrario si sottopone alla multa di 1000 oncie d'oro. Atto fatto nel castello di Corbaro. Giacomo Orselli di Civitaducale notaio (87).
Nel 1428 il pontefice Martino V fece una Bolla a Battista di Romandia di poter impiegare «in utilità e comodo de' pupili eredi del fu Bonomo Conti di Poppleto» 800 fiorini d'oro in soddisfazione di parte del prezzo di Castel Manardo e Mileto, venduti a detti pupilli da Antonio Colonna (88). Questo ebbe due figli: Gionata e Paola. Gionata morì senza prole e Paola divenne quindi contessa del Corvaro e ne ebbe l'investitura dalla regina Giovanna II nel 1434. Paola di Poppleto sposò Francesco Mareri, appartenente ad una potentissima famiglia del Cicolano, il quale, nominato a sua volta conte del Corvaro, ebbe da lei tre figli Filippo, Giovanni e Giulio (89).
La rocca del Corvaro
Francesco Mareri, da Ferdinando I, con conferma poi di Federico III d'Aragona, ottenne il privilegio di poter disporre ad arbitrio dei suoi feudi fra i suoi discendenti.
Giovanni, il secondogenito, venne riconosciuto dal padre il più abile fra i suoi fratelli e, dopo il suo matrimonio avvenuto nel 1500 con la contessa Laura Cantelmi, gli furono riconosciuti in eredità la metà dei castelli di Collefegato e Poggiovalle ed altri beni. L'altra metà dei castelli di Collefegato e Poggiovalle fu ereditata, il 4 dicembre del 1486, da Giulio Orsini figlio di Orso e confermata da re Ferdinando I d'Aragona (90). Alla morte di Giovanni i suoi feudi passarono al figlio Francesco e alla morte di Giulio i suoi passarono al fratello Franciotto.
Nel 1527, durante la guerra fra Francesco I re di Francia e l'imperatore Carlo V, Renzo di Ceri, a capo dell'esercito pontificio, invase l'Abruzzo e si impadronì di Tagliacozzo e di altri luoghi. Francesco e Franciotto combatterono sotto le bandiere di Carlo V ma, durante una delle battaglie contro Renzo, Franciotto rimase ucciso (91). I suoi beni furono ceduti dal vicerè di Napoli a Francesco ma questa donazione non fu valida poichè, non essendo stato avvertito l'imperatore, questi li aveva già donati a Giovan Giorgio Cesarini. Francesco rimase quindi con la metà dei feudi che già possedeva e l'imperatore, per scusarsi dello sgarbo, gli assegnò, quale ricompensa ai servigi resi, la somma di trecento ducati annui con la facoltà di prelevarli sui pagamenti fiscali del regno (92). Questi decise di prelevarli su quelli delle sue terre di Collefegato e Poggiovalle e su altre terre di Raiano e di Pentarsia. Da Francesco, morto verso l'anno 1573, i feudi passarono al figlio Giovanni Antonio che ne fu investito ufficialmente l'anno 1584. L'ultimo dei Mareri, possessore di tale contea, fu Cesare che nel 1669 venne nominato, nella situazione fiscale del regno, come feudatario dell'Adoe di Collefegato e della metà di Poggiovalle (93).
Giovan Giorgio Cesarini figlio di Gabriele, gonfaloniere del popolo romano, nel 1530 era divenuto proprietario dell'altra metà dei feudi di Collefegato e Poggiovalle. Nel 1533 essi furono ereditati dal figlio Giuliano, procreato da Marzia di Guido Sforza, che in seguito, nel 1560 comprò da Lodovico Savelli la terra di Castelmenardo. La famiglia Savelli era stata investita del feudo di Castelmenardo nel 1507 quando il re Ferdinando V re aveva dato l'assenzo alla donazione del castello da Fabrizio Colonna ad Antimo Savelli (94).
Verso il 1520 l'imperatore Carlo V confermò il feudo a Lodovico Savelli per importanti servigi a lui resi. Da Giuliano Cesarini e dalla moglie Giulia Colonna, nacque Gian Giorgio che nel 1565 ereditò i beni. Gian Giorgio sposò Clarice Farnese da cui ebbe un figlio di nome Giuliano che ereditò i beni nel 1585; Giuliano sposò Livia di Virginio Orsini duca di S. Gemini, da cui ebbe cinque figli: Alessandro, Ferdinando, Giangiorgio, Pietro e Virginio. Giuliano morì a Roma il 14 gennaio del 1613 (95).
Nel 1520 Fabrizio Colonna aveva concesso, per importanti servizi resi, a Pietro Caffarelli, cavaliere romano, il feudo di Torano (96). Nel 1533 (97) e nel 1585 era signore dello stesso Ascanio Caffarelli, nel 1610 Giovan Pietro Caffarelli e nel 1669 Gaspare Caffarelli. Ma il feudo di Torano, la famiglia Caffarelli lo possedeva solo in parte, poichè nel 1533 Ferdinando Rota era possessore dei feudi di Torano, Marano, Rosciolo e Pizzicorno. Nel 1546 era signore degli indicati castelli Antonio Rota che ebbe vari figli e di essi gli successe Ferdinando che morì senza aver lasciato prole. Gli successe il fratello Alfonso che morì nel 1565 anch'esso senza aver lasciato prole e gli successe l'altro fratello Bernardino cavaliere di S. Giacomo che morì nel 1575 (98).
L'8 febbraio 1530 i notai Dominicus de Fabris de Canemorto e Iohannes de Bartholinis de Vallecupula publ. not. (copia) registrano che: Salvatore Buzzi da Vicovaro, diocesi di Tivoli, di propria spontanea volontà vende in perpetuo ad Antonio «dello Corbario ad presens Baricello» dei signori don Francesco e donna Girolama Orsini d'Aragona, un pezzo di terra vignato, con alberi fruttiferi ed infruttiferi nel territorio di Vicovaro (99).
Carta topografica dell'Abruzzo Ulteriore del 1587 - Particolare della zona nei dintorni di S.Anatolia
Vennero registrati: Turano, Risollo, Corvara, Colle fegato, C. Menardo, Poggio di Valle, Torre di Taglia, Magliano, etc.
Abruzzo et Terra di Lavoro - Carta del 1589 - Particolare - Torrano, Corvaro, Magliano, etc.
11. I Valignano baroni di S. Anatolia, Spedino, Latusco e Cartore
Beatrice Colonna nacque a Roma intorno al 1515, ultimogenita di Fabrizio (1460-1520) e Agnese di Montefeltro (1470-1523). Il padre, sopravvissuto ai primi due figli maschi morti in gioventù, nominò il terzo figlio Ascanio erede universale dei suoi feudi, compresa la nostra contea di Alba e di Tagliacozzo. Nel lascito testamentario appose delle clausole con le quali volle tutelare anche gli altri figli e, per la piccola Beatrice, stabilì una dote di 3.500 ducati d'oro, di cui si doveva far carico l'erede. Beatrice sposò Rodolfo da Varano (100), dal quale ebbe una figlia Cesarea e, dopo la morte di questi avvenuta nel 1527, sposò in seconde nozze Francesco Ferdinando Valignano di Chieti, forse lo stesso che nel 1510 era padrone del castello di Turri (101). Quando Beatrice sposò Francesco Ferdinando, Ascanio Colonna volle rispettare la volontà paterna ma, non avendo disponibilità dell'intera somma in contanti, con atto del 9 gennaio del 1534, concesse in dote alla sorella la baronia di Sant'Anatolia, Spedino, Latuschio e Cartore, del valore equivalente a quello stabilitò nel testamento del padre (102).
Nel 1538 la concessione venne riconfermata e, nel retro della pergamena, fu citato il notaio Quinto Rubeis, colui che probabilmente portò la notizia ai cittadini (103). Nel 1555 Beatrice acquistò una casa a Latusco e l'atto venne rogato dal notaio Massimo De Amicis di Sant'Anatolia. Questi nel 1561 rogò anche il testamento di Nicola Catini di Colle Fegato sempre a Sant'Anatolia (104). Nell'atto di vendita della casa di Latusco vennero citati altri cittadini di Sant'Anatolia, il signor Giovanni Domenico Benedetto, proprietario della casa dove venne formalmente stipulato l'atto, e un testimone, Giovanni Cola Maialis, de castro Sancte Anatolie (105).
Nella pergamena del 1569 vennero citati dei cittadini del nostro territorio: il figlio di Quinto Rubeis, notaio Horatius Quintii de S.Anatolia, i testimoni don Berardino Nicolai e don Vincenzo Innocenzi di Sant'Anatolia e Giovanni Bernardino Marini Berardi di Rocca di Mezzo. Nel documento venne citato anche il nobile Antonio Lelio di Spedino (106).
Francesco Ferdinando e Beatrice ebbero tre figli: Giovanni Vincenzo, Ascanio e Tommaso. Alla morte del padre, Giovanni Vincenzo, detto sciarretta in quanto nipote di Sciarra Colonna (107), ereditò la baronia. Due atti, uno del 1568 e uno del 1569, ratificarono tale possedimento.
Giovanni Vincenzo Valignano nel 1556 fu Capitano nella guerra di Campagna di Roma. Nel 1561, 1576, 1580, 1582 e 1587 fu camerlengo di Chieti, ossia sindaco, ma i componenti della sua famiglia ebbero più volte la stessa carica dal 1390 fino a ad almeno la prima metà del 1800. Nel 1576 Giovanni Vincenzo e suo fratello Ascanio furono insieme camerlenghi di Chieti. Ascanio fu camerlengo varie volte tra il 1567 e il 1580 (108). La famiglia era di origine Normanna e prese il nome o, al contrario, diede il nome al castello di Valignano distrutto da Carlo d'Angió. Essa godette di nobiltá nelle cittá di Napoli, ai Seggi di Porto e di Portanova, Lucera, Chieti, ove godeva le primarie prerogative, ed a Roma ove trovavasi ascritta in Campidoglio come appartenente al patriziato.
L'11 ottobre del 1584, alle h. 19:00, lo studente dell'Almo Ginnasio di Siena, don Pietro Spera di Sant'Anatolia, discusse pubblicamente la tesi, dedicandola al suo Barone e Signore, e lo omaggiò con parole di grande stima e ammirazione:
«All'Illustrissimo mio Signore Don Giovanni Vincenzo Valignano.
Pietro Spera di Sant'Anatolia, saluta ! O illustrissimo signore, siccome io credo che seguire le orme dei miei antenati sarà cosa ottima, non ho voluto non fare un tentativo riguardante me e le mie cose, ma visto che non c'è nessuno in questo mondo, che valga tanto per altezza di ingegno e per vigore di forze, che, tolti di mezzo gli aiuti di tutti, sia in grado di avvicinarsi a realizzare grandi cose, potrebbe sembrare temerario accingersi a scrivere.
Avendo capito che tu hai appoggiato le mie cose pubblicamente e privatamente, così ti chiedo di guidarmi in un'impresa di questo genere in queste circostanze. Tu infatti, privo di ogni vizio, metti in pratica tutte le virtù, in modo tale che non può essere assolutamente deciso che cosa in te sia più eccellente se la superiorità dell’arte militare o la conoscenza delle discipline più importanti e la forza d'animo, esercizio continuo, o la giustizia e la compassione, la prudenza o la sopportazione della fatica. Rispetto a questo non è a torto che tutti ti stimino in tutte le cose, che gli studiosi delle lettere ti onorino con la massima cura e ti venerino, che gli ordini militari abbiano gli occhi rivolti verso di te, capo valorosissimo, e che non credano, una volta che tu li guidi, di avere un futuro arduo o difficile, ma sperano di poter conseguire la più grande vittoria. Siccome tu sai come io sia stato tormentato da tutti quanti ingiustamente, per la tua singolare umanità proteggi me, infatti tu solo mi hai restituito incolume dalle mani dei nemici. Questi precetti, di qualsiasi natura siano, precetti degli antichi filosofi e dei medici, ho voluto che fossero dedicati a te, mio protettore, poiché mi rendo conto che sei, non solo decoro della patria, ma di ogni virtù, e persino ornamento. Dunque è con animo lieto che te li consegno, ti prego di accogliere queste cose e me, come sei solito, custodisci con la tua protezione. Stai bene !» (109).
Pietro Spera, di cui si parlerà nel capitolo successivo, dopo la tesi divenne sacerdote nel suo paese d'origine.
Le prime due pagine di presentazione e l'ultima pagina
Nel 1589 Giovanni Vincenzo sposò la contessa Aurelia Guiderocchi (1544-1633). Questa era vedova di Sforza Santinelli (+1571), conte di Sant'Angelo in Vado, con il quale si era sposata nel 1560 ed aveva avuto due figli, morti giovanissimi e senza eredi. Giovanni Vincenzo e Aurelia non ebbero figli, sia perchè ambedue avevano un'età un po' avanzata per quei tempi, quando si sposarono lui aveva circa 54 e lei 45 anni, sia perchè Giovanni Vincenzo morì nel 1592 appena tre anni dopo il matrimonio (110).
Marcantonio Colonna così scrisse di lui: «Noi Marco Antonio Colonna facciamo fede, come il Sig. Gio: Vincenzo Valignano figlio della Signora Beatrice Colonna hà servito S.M.C. nella giornata di Pietro Strozzi, con una Compagnia di Fanteria, sotto il Colonnello Sig. Camillo Colonna, ed in altri luoghi, come appare per sue Patenti, ed in tutte le occasioni si è portato egregiamente, mostrando il suo valore: e per questa verità abbiamo fatta la presente sottoscritta di propria mano, e sigillata col nostro solito Sigillo. In Roma dal nostro Palazzo li 10 di Giugno 1584». (111)
Alcuni registri «Bullarium» della Diocesi di Rieti
Nei registri bullarium della diocesi di Rieti, il 10 ottobre del 1592, risulta che don Innocenzo Innocenzi venne incaricato dal vescovo quale parroco di S. Tommaso di Latuschio e che la nomina avvenne con il consenso della «nobilis d. Beatricis Valignani baronisse et domine dicti castri» (112). Qualche anno dopo, nel 1599 la stessa darà il consenso alla nomina di don Giovanni Domenico De Amicis per il canonicato di S. Anatolia (113). Il 21 marzo 1607 don Don Giovanni De Amicis di Sant'Anatolia, venne nominato rettore della chiesa parrocchiale di San Lorenzo «de villa Cartore» (114). Questa volta il nuovo canonico venne presentato al vescovo dal barone Valignani che asserì che tale beneficio era vacante da molti anni. Nel documento venne citato il barone e non la baronessa, e questo ci fa credere che Beatrice era deceduta e che a lei era subentrato il figlio Ascanio, fratello minore di Giovanni Vincenzo. Nei successivi atti del bullarium, a partire dal 1609, questi veniva chiamato «Illustrissimi Domini Ascani Valignani barronus Sancte Anatolie, Spedini, Latusculi et Cartorij» (115).
Carta topografica della Provincia di Abruzzo Ultra di Mario Cartaro, Nicola Antonio Stigliola nel 1613
Particolare della zona nei dintorni di S.Anatolia con S.Natoglia, Torano, Spennino, Risciolo, Cervara, Poio di Valle, Colle fegato, Castel Menardo, Magliano, etc.
Tra il 1612 e il 1613 Ascanio, i cui interessi si erano probabilmente spostati nel Teramano, a mezzo del suo procuratore e fratello Tommaso Valignani, tentò di vendere la baronia ad un tale Benigno Ruberti, al prezzo di ducati 9.500 ma, nonostante l'assenzo regio firmato il 15 ottobre del 1613, la stessa non andò a buon fine (116). Infatti Filippo Colonna presentò ricorso in quanto possedeva un documento, stipulato da suo nonno Ascanio e dalla sorella Beatrice Colonna, che consisteva in un patto di retrovendita dei suddetti castelli, una sorta di diritto di prelazione che i Colonna si erano riservati in caso di vendita. Nel 1614 Filippo, dopo più di ottant'anni, riportò la baronia ai Colonna, pagandola lo stesso prezzo che Ascanio aveva pattuito con Benigno.
«Il Sig. Ascanio Valignano salvo, et reservato l'assenzo regio venderà all'Eccellentissimo Signore Don Filippo Colonna gran Contestabile di Napoli li infradetti suoi castelli cioè Santa Anatolia, Latusculi, Spedino, et Villa Carturia posti nella provincia di Abruzzo ultra nella diocese di Rieti con tutto quello, che ha in detti castelli et suoi territorij, senza riserbarsi cosa alcuna pel prezzo de ducati nove milia, et cinquecento de carlini x per ducato de moneta di regno, li quali ducati 9500 il doverà pagare contanti, et da depositare in un banco ad effetto de reinvestire nella compra da farsi dal detto Sig. Ascanio de Ripattoni, et Castelbasso posti nella detta provincia di Abruzzo ultra diocese, overo da reinvestirsi nella compra de altri castelli in Abruzzo, o in beni stabili, ò in tante annue entrate con scientia, et consenso di Illustrizzimo, quale investimento dovera stare sempre, et perpetuamente affetto, et specialmente obligato, et hypotecato à Sua Signoria per l'evictione de detti Castelli, et nel reinvestimento da farsi se habbia a fare espressa mentione che li denari sono l'istessi pagati da se per il suddetto prezzo. Detto Sig. Ascanio ha da promettere de evictione generale et particulare con la clausula ita ut generalitati non deroget, nec e contra, et de pigliare sopra di se ogni lite, et con altre clausule amplissime solite à mettersi in simili intrumenti da estendersi in forma. Sua Eccellenza remetterà al Sig. Ascanio tutti li adhoghi, che ha pagati per esso detto venditore, et per detti adhoghi lo quieterà» (117).
Riguardo a Benigno Ruberti, l'unica informazione che abbiamo trovato, è del 25 gennaio 1621 quando i fratelli Ruperto e Marco Pepe, Benigno e Ruperto Ruperti, assieme ad alcuni Complateari presentarono all'arcivescovo di Napoli una supplica affinché la Chiesa di Santa Maria della Salute a Napoli fosse affidata ai Francescani Minori Riformati della Croce di Palazzo. Questi, durante gli anni successivi, modificarono ed ampliarono la struttura, da cui furono espulsi il 17 aprile 1865 (118).
Ascanio Valignani rispettò il patto preso con Filippo Colonna e, con il denaro ricevuto dalla vendita della baronia, acquistò, dalla famiglia Acquaviva, il feudo di Ripattoni con la terra di Castelvecchio a basso, entrambe in Abruzzo ultra, per ducati 7.000 (119).
Con atto in pergamenta del 25 ottobre del 1614 il Vice Re di Napoli, don Pietro Fernandez de Castro, autorizzò Filippo Colonna ad acquistare la baronia (120) e il 4 giugno dell'anno successivo, questi fece una procura a Nicolò Pisacani per prestare, a suo nome, giuramento di fedeltà e omaggio davanti ad un «regio e general commissario» di Napoli, per le stesse terre di «S. Anatoglia, Spedino e Latuschio e villa Carturia» (121).
Il mese dopo, tra il 12 e il 14 luglio 1615, il principe convocò alcuni eminenti cittadini dei quattro paesi che prestarono a loro volta giuramento di fedeltá a Filippo Colonna. Il primo atto (122), scritto il 12 luglio su carta molto lacerata e in calligrafia quasi illegibile, era probabilmente un preavviso che il Colonna fece firmare ad alcuni cittadini dove comunicava la data della cerimonia che si sarebbe svolta due giorni dopo. Il giuramento ufficiale venne sancito il 14 luglio con la firma da parte di vari testimoni di un atto scritto su tre rotoli di pergamena molto grandi, che ancora sono ben conservate nell'archivio Colonna (123).
Giuramento di fedeltà ai Colonna in pergamena
Erano presenti alla stipula del primo atto: Baldassarris Luce, Amico Deluca judice regio, don Pietro Dragonetti, Giovan Battista Riccio, don Silvestro, Novello Carenza.
Erano presenti alla stipula del secondo atto: il notaio Bernardinus Aurelii de Turano. Il notaio giudice Angelus Alexij de Brusciano in Aequicolis, sostituto di Franciscus Benincasa de Neapoli con procura sottoscritta il 12 giugno 1615. I testimoni: Horatius Manasseus de Interamna o Terami, Fabritius Catinus de Turano, don Joannes Maria Giorgius de Corbario e il clericus Silvester Cherubini de Sancta Anatolia. Vespasianum Mancinum de Somneno, sostituto di don Francisci Albertinj Minutoli, regio generale commissario del ligio, homagio, et Assicurationi de Vassalli, con procura sottoscritta il 12 giugno 1615. Don Colantonio Coccetta di Magliano, procuratore deputato dal principe Filippo Colonna, con procura sottoscritta il 13 giugno 1615. Sinibaldo Mancino, sindico di Spedino, Quitio de Rubeis, notaio, sindico dell'università di Santa Anatolia e della villa di Cartora, che giurò davanti a Baldassarre Luce di Sant'Anatolia, Attilio de Mercurio sindico di Latuscoli.
La cerimonia del giuramento si svolse nella chiesa di San Nicola a Sant'Anatolia. Il Sindaco di Sant'Anatolia e Cartore, quello di Latusco e quello di Spedino dovettero fare giurarmento di fedeltà e di omaggio ponendo ambedue le mani sopra un messale aperto davanti al notaio, ai rappresentanti del re e del principe Colonna, davanti al clero e al popolo astante.
«Noi Notaro Quitio de Rubeis Sindico della Università de Santa Anatolia et de Cartora villa de detta Terra, Attilio de Mercurio Sindico dello Latuscolo, Sinibaldo Mancino Sindico di Spedino tanto come Sindici, electi et procuratori de dette Università et huomeni, quanto in nome proprii, privati, et principali nomine, riconosciendo che il sopraddetto signore don Philippo Colonna, è nostro legittimo, et indubitato utile signore, giuramo all'Omnipotente Dio et soi Santi Quattro Evangelii, che con nostre proprie mano toccamo da hoggi avanti essere al detto signor don Philippo nostro Barone, et soi heredi et successori, buoni fedeli, et leali vassalli, et assicuramo detto signor Barone soi figli et heredi della vita, membri, et captione de persona et de ogni, et qualsivoglia altra offensione, et promettemo à detto signor Barone, et soi heredi et successori ogni terrestre huonore et reverenza che s'appartiene et è debito, et cosi giuramo tenere secrete tutte quelle cose, che detto Barone et soi heredi et successori le communicarando, et quelle non revelate à person'alcuna senza lor'ordine et mandato, et d'alia cosa sinistra, overo contraria, alla persona, stato, et huonore di detto Barone sua moglie figli et heredi intenderemo, et che l'inimici emuli et inobedienti de detto signor Barone tractassero, o machinassero, Noi et loro quanto più presto sarà possibile lo disturbaremo, et disturbarando, et non potendo disturbardo, con ogni diligenza lo notificaremo et notificarando al detto signor Barone et soi officiali o altri da sua parte er promettemo et così dictis nominibus giuramo di non fare, o, trovarsi in consiglio, tractato, congiura, o altra mala, et perversa macchinatione, o fraudulente conspiratione, o conventicula, per le quali detto Barone soi figli et heredi venissero à perdere dette terre, o, altri soi feudi et beni, anzi promettemo et cosi dictis nominibus giuramo quelli defendere et conservare contra ogni persona con tutto nostro sapere et potere.
Nec non dictis nominibus giuramo et prometemo di fare et prestare al detto signor Barone, et soi felicissimi heredi tutti quelli debiti servitii reali et personali che semo tenuti et dovemo fare, et de reconoscierlo con responderli de tutte intrate, redditi et altre raggioni solite et consuete spectanti all'utile dominio di detti castelli iuxta la forma delle cautele et scritture, et obedire, et intendere à tutti officiali maggiori et minori di detto Barone, et finalmente fare exeguire tutte altre cose che li buoni fedeli, et leali vassalli, sono tenuti et devono fare et complere per il loro utile Signore et Barone tanto per raggione commune, come per Constituzione pratiche et cap.li del Regno secondo l'uso et consuetudine di quello in talibus dictius observato, salvo sempre però et resvato in tutte le cose il ligio homagio, et fedeltà debiti alla sacra Regia et Catholica Maestà del Re nostro signore, di soi felicissimi heredi er successori, et a tutti loro commandamenti, ordini et decreti di quello, et loro Vice Re, Governi et officiali et etiam ogni altra cosa debita maioris supremi et directi dominii ratione, et non altrimenti, et così giuramo in mano de voi Procuratore de non contra venire à niuna delle cose predette, ma d'observarle inviolabilmente come semo obligati di fare, tam de jure, quam de consuetudine, non sforzati ne sedotti, ma di nostra propria et libera volontà».
«Questo documento io sottoscritto notaio Angelo, publico notaio e sostituto come sopra, dopo aver chiesto conferma a tutti i presenti, con il mio solito segno firmai.
- Io Berardino de Aurelio de Turano sopradetto regio iudice a contratti fui presente a quanto di sopra et manu propria messa
- Ego Dominis Joannes Maria Giorgius a Corbario qui supra testis predictis in testiu et manu mea me subscripti
- Io Frabitio Catino de turano fui tistimonio come de sopra et me sono sotoscritto
- Ego Oratio Manassei da terini fui testimonio a quanto detto sopra e me sono sotto scritto per mia propia mano
- Io clericus Silvester Cherubini qui supra testis supradictis inti sui et manu mia mi
Sia lode a Dio.
Segno mio Angelo di Alessio notaio sopraddetto».
Note
- Paolo DIACONO (in latino Paulus Diaconus, pseudonimo di Paul Warnefried o Paolo di Varnefrido o Paolus Warnefridus), De Gestis Longobardorum, Lib. III, cap. 7 - Giancolombino FATTESCHI, Memorie istorico diplomatiche riguardante la serie dei Duchi e la topografia dei tempi di mezzo del Ducato di Spoleto, parte I, p. 9-11 - D. LUGINI, Memorie, p. 113-114 - P. FIORANI, Una città romana, p. 129 - Wikipedia Italia -Voce «Ducato di Spoleto» - Link
- Vedi Appendice IV - Cronologia anno 706 d.C. - Regesto Farfense p. 290, fol. MCCXV, V, doc. 1303 - Chronicon Farfense di Gregorio di Catino, Tomo II, p. 205, n. 8.
- Regesto di Farfa, T. II, n. 100 - 1227 v, p. 215 - D. LUGINI, Memorie, p. 116
- Regesto di Farfa, n.218 - 201, II, p. 165 - D. LUGINI, Memorie, p. 117
- A. STAFFA, L'assetto territoriale della Valle del Salto, p. 54, in Xenia semestrale d'antichità, vol. 13, p. 45 e segg., anno 1987, 1 semestre, tratto da Liber Largitorius mon. Farfense, doc. 180, I, p. 124, doc. 140, I, p. 103, doc. 324, I, p. 179
- A. L. ANTINORI, Annali degli Abruzzi, vol. IV bis, parte 3 - comune.avezzano.aq.it - terremarsicane.it - museodellamarsica.beniculturali.it - In alcune fonti risulta che Doda sposò Lindano, figlio di Pipino, e fu madre di Berardo
- Chronicon Volturnense, lib. II, Secolo IX - Chronicon Casinense, lib. I, cap. 33 «Rara in his regionibus Castella habebantur, nec erat formido aut metus bellorum, quoniam alta pace omnes gaudebant usque ad tempora Saracenorum»
- D. LUGINI, Memorie, p. 120-125 - Per approfondire sui Saraceni nella Marsica vai qui: LINK
- P. FIORANI, Una città romana, p. 138
- Il conte Berardo de' Marsi offre il castello di Rosciolo a Giovanni abate del monastero di Santa Maria in Valle Porclaneta: Vedi Appendice IV - Cronologia - anno 1048
- Agostino Lubin lasciò scritto di questa chiesa: "Abbatia seu Monasterium titulo S. Maríae in Valle Porclanetí, quod Berardus Comes filius Berardi Marsorum Comitis circa annum 1080 obtulit Casinensi Coenobio, ut refertur in Chronico Casinensi` lib 3, cap.61, unde colligitur situm fuisse apud Marsos"
- Michele MICHAELI, Memorie storiche della città di Rieti, libro II, p. 163 - tratto dall'archivio della Diocesi di Rieti arm. IV, fasc. L, n. 6 - A. STAFFA, L'assetto territoriale della Valle del Salto, p. 72
- Vedi Appendice IV - Cronologia - Bolle pontificie anno 1115-1183 e 1188
- Comune.avezzano.aq - LINK - Annales Ceccanenses - p. 283 - LINK
- Evelyn JAMISON, Catalogus Baronum di Ruggero II Normanno, Fonti per la storia d'Italia - Vedi Appendice IV - Cronologia - anno 1150
- Bolla di Anastasio IV a favore della Chiesa Reatina: Vedi Appendice IV - Cronologia - anno 1153
- Bolla di Lucio III determinante i confini della Diocesi Reatina: Vedi Appendice IV - Cronologia - anno 1182 - Leggendo direttamente il manoscritto pergamenaceo depositato nella Biblioteca Nazionale a Parigi, si leggono i toponimi "Sancti Leonardi in Teva e Sancte Anatholie in Veiano". La dicitura Veiano potrebbe essere una trascrizione errata del termine Turano, ma questa è solo una ipotesi. Bisognerebbe controllare se ci sia un secondo originale nell'archivio della Diocesi di Rieti e, nel caso, ricontrollare i termini.
- Giuseppe DI GIROLAMO, La chiesa di S.Lucia in Magliano dei Marsi, XVIII, Bibliot. Prov. L'Aquila, Vol.VIII, f.584, sub anno 1230
- G. DI GIROLAMO, La chiesa di S.Lucia in Magliano dei Marsi, p. 11 - tratto da A. L. ANTINORI, Annali, mss. sec. XVIII, Bibliot. Prov. L'Aquila, Vol. VIII, f. 69, sub anno 1185
- Basilio TRIFONE, in Archivio R. Soc. Romana di Storia Patria, XXXVI , 1908, p. 294, d. XVI
- Anton Ludovico Antinori, Annali degli Abruzzi, anno 1250, L'Aquila 1750 ca., pag. 63, in esso viene riportato un brano tratto dal «Registro delle Rendite della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta». Vedi Appendice IV - Cronologia - anno 1250 - Il testo integrale dell'Antinori, è il seguente: «Si fece in quest'anno il Registro delle Rendite del Monastero di S. Maria in Valle Porchianeta. I terreni erano stati distribuiti in trentanove feudi, oltre a venticinque altri pezzi coltivati. Esiggeva il Preposto dagli enfiteuti, e dai coloni come pure dalle famiglie dette casate in numero di dodici i redditi di grani, vini, orzi, di pani, polli, agnelli, formaggi, canapi, carni porcine, puledri, ed opere personali. Esiggeva da Prepositi, e Rettori delle Chiese di S. Lorenzo, di S. Anatolia, di S. Maria di Magliano, di S. Luca nei giorni festivi di quei Santi, pranzi in quelle Chiese anche a suoi Chierici. Di più oblazioni [consistenti in] prosciuti, agnelli, e simili dalla chiesa di S. Lorenzo e di S. Luca, nel Natale, Pasca, feste di S. Marco, e di S. Benedetto. Da quella di S. Anatolia nella festa di S. Maria, e nelle tre altre lo stesso, e in oltre due quartari di grano, e due d'orzo. Da quella di S. Maria di Magliano nell'Ascenzione e nella Natività ed Annunciazione della Vergine la metà delle oblazioni, e nella festa di S. Benedetto le contribuzioni, come la prima, e di più un moggio di grano, ed uno d'orzo. Sotto l'altra Chiesa di S. Salvatore di Paterno ogni settimana una misura di pesce, ed ogn'anno nella Pasqua una libra di cera, due prosciutti, e un pulledro. Tutti i Rettori di queste chiese erano istituiti dal Preposto (v. A. 1086. Regest. A. 1250 in Censual. Eccl. S. Mar. in Valle - Marculani cop. q.m. not. Franc. Floridi in Archiv. Mon. S. Salvat. Major. A. 1601 - v. A. 1086. Il Monistero di S. Maria di Rosciolo in Valle Porclianica era stato confermato con quel castello ex Monistero di Montecasino dall'Imperador Lottario nel 1137 e dell'Imperadore Arrigo VI nel 1191 di esso di fece. Rosciolo)».
- Vincenzo DI FLAVIO, Elenco delle chiese della diocesi di Rieti del 1252, in Scritti per Isa - Anno 2008, Raccolta di studi offerti a Isa Lori Sanfilippo, a cura di A. Mazzon, pp. 313-338 - Vedi anche: Appendice IV - Cronologia - anno 1252-1253
- D. LUGINI, Memorie, p. 145 - A. L. ANTINORI, Corografia, vol. 41, lett. T. Torano
- Tommaso BROGI, La Marsica, p. 216, Battaglia di Tagliacozzo
- D. LUGINI, Memorie, p. 162
- D. LUGINI, Memorie, p. 52 - da Boetio di Rainaldo di Poppleto, Aquilano detto Buccio di Ranallo «Delle cose dell'Aquila» - books.google.it
- G. PAGANI, Pietraquaria, p. 21.
- P. FIORANI, Una città romana, p. 141 - Comune di Magliano de' Marsi, Santa Maria in Valle Porclaneta, pag.8 «il monastero fu distrutto ... probabilmente ... nella guerra combattuta nei Campi Palentini tra Corradino di Svevia e Carlo I d'Angiò nel 1268».
- Vedi Appendice I - Racconti e tradizioni orali
- Vedi Appendice I - Racconti e tradizioni orali
- Vedi Appendice I - Racconti e tradizioni orali
- Vedi Appendice I - Racconti e tradizioni orali - Secondo alcune fonti relative agli zingari i primi ad arrivare furono i rom abruzzesi, giunti via mare dai Balcani nel 1300
- D. LUGINI, Memorie, p. 165 - Lorenzo GIUSTINIANI, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, 1797, p. CXIX - Link - Con documento
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.04,025 - Numero Catena: 1524 - Regesto De Cupis - Vedi Appendice IV Cronologia - 1270: Testamento di Risabella signora di Tagliacozzo e di Marano
- D. LUGINI, Memorie, p. 163 - 164
- I registri della Cancelleria angioina, Volume 43, P. 9, (Reg. 1292 E, f. 230 t.). Fonti: ut supra; M. CAMERA, Annali cit., voi. II, p.28 - Link
- L. A. ANTINORI, Corografia, 1293 - Link
- Il documento nel 1638 e nel 1723 si trovava nell'Archivio della Diocesi di Rieti, Armadio VII, Fascicolo G, n. 1 - Va verificata la sua attuale esistenza - Link
- Archivio del Monastero di Santa Scolastica a Subiaco - Copia autentica, 1332 marzo 14, «apud burgum Collisficcati», LVI, 174B. Orig., LIV, 174 - Link
- D. LUGINI, Memorie, p. 168-169-170
- Pietro Antonio CORSIGNANI, Reggia Marsicana, p. 280: «Rubertus Ursinus miles Taleacotii, et Albae Comes, armorum Capitaneus in honorem S. Ioannis Baptistae fieri fecit: anno M. CCC. VI. Septembris. VIII. Indict».
- D. LUGINI, Memorie, p. 179 - da CIRILLO, Annali Aquilani, lib. 3 - da BUCCIO RAINALDI, Cose dell'Aquila, stanza 592
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.04,025 - Numero Catena: 1524 - Regesto De Cupis - Vedi anche: Appendice IV - Cronologia - anno 1337 - In realtà c'è un errore nell'inventario dell'archivio in quanto guardando bene la pergamena la data risulta essere 1557 e ciò viene confermato dall'indizione che è la decima e che corrisponde al 1557.
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.05,035 - Numero Catena: 1555 - Regesto Pressutti - Vedi anche: Appendice IV - Cronologia - anno 1360
- D. LUGINI, Memorie, p. 284-185-186 - da CIARLANTI, Memorie del Sannio, lib. IV, cap. 25, p. 401 - da Matilde ODDO BONAFEDE, Storia popolare della città dell'Aquila degli Abruzzi, cap. XIII, p. 113,114, Lanciano 1889.
- D. LUGINI, Memorie. L. A. MURATORI, Raccolta di Memorie Istoriche delle Tre Provincie degli Abruzzi, p. 53 e segg. - Link - Su Lalle Camponeschi vedere voce Treccani - Su Rinaldo Orsini vedere voce Treccani
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.22,023 - Numero Catena: 1978 - Regesto De Cupis - Vedi anche: Appendice IV - Cronologia - anno 1382
- B. TRIFONE, Le carte del monastero di San Paolo di Roma dal secolo XI al XV, IN Arch. R. Soc. Romana di Storia Patria 1909, vol. 32, p. 37, doc. XLV - Link
- P. A. CORSIGNANI, Reggia Marsicana, tomo 1, p. 151: «Johanna Ducissa Duratii Albae e Gravinae Comitissa Regni Albaniae et honoris Montis Sancti Angeli Domina» - Link - Muzio FEBONIO, Historiae Marsorum, p. 134 - Link
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.09,041 - Numero Catena: 219 - Regesto Pressutti - Vedi anche: Appendice IV - Cronologia - anno 1394 - Link1
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.09,041 - Numero Catena: 219 - Regesto Pressutti - Link1 - Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.09,040 - Numero Catena: 1633 - Regesto Pressutti - Link2
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.09,052 - Numero Catena: 224 - Regesto De Cupis - Vedi anche: Appendice IV - Cronologia - anno 1395 - Link
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.10,022 - Numero Catena: 236 - Regesto De Cupis - Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.10,027 - Numero Catena: 1653 - Regesto De Cupis - Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.10,025 - Numero Catena: 237 - Regesto De Cupis - Vedi anche: Appendice IV - Cronologia - anno 1400
- B. TRIFONE, Le carte del monastero di San Paolo di Roma dal secolo XI al XV, IN Arch. R. Soc. Romana di Storia Patria 1909, vol. 32, p. 61, doc. XLV - Link
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.11,056 - Numero Catena: 294 - Regesto De Cupis - Link
- Archivio di Napoli Fascicoli Angioini pag.476 fol.58 Fasc.74 - D. LUGINI, Memorie, p. 192-193 e pag.243 - Link
- D. LUGINI, Memorie, p. 243 - da COPPI, Memorie Colonnesi, 1, c.40: documento del 5 luglio 1424 in cui viene ricordato Antonio Colonna conte di Albe.
- La Regina Giovanna II° nel 1423 conferma ad Odoardo Colonna, dopo la morte del padre Lorenzo, l'investitura di tutte le terre a lui appartenute - Link
- B. TRIFONE, Le carte del monastero di San Paolo di Roma dal secolo XI al XV, in Arch. R. Soc. Romana di Storia Patria 1909, vol. 32, p. 44-45, doc. LXXI - Link
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.13,031 - Numero Catena: 343 - Regesto De Cupis - Link
- T. BROGI, La Marsica, p. 263 - Camillo TUTINI, Discorsi de' sette offici ovvero..., p. 167 - Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 35 - Documento 29 - Link
- D. LUGINI, Memorie, p. 243: Giacomo Caldora ... ebbe l'investitura nell'anno anzidetto [1436] con diploma della regina Isabella, quale vicaria di Renato suo marito - da T. BROGI, La Marsica, c. IX, p. 265,282,283 - L. A. ANTINORI, Raccolta di memorie storiche, t. III, c. 2, p. 25
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.15,038/A - Numero Catena: 1793 - Regesto De Cupis - Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.15,038/B - Numero Catena: 1794 - Regesto De Cupis - Vedi anche: Appendice IV - Cronologia - anno 1442 - Link
- B. TRIFONE, Le carte del monastero di San Paolo di Roma dal secolo XI al XV, in Archivio della Regia Società Romana di Storia Patria 1909, vol. 32, p. 61, doc. XLV - Link
- All'incoronazione del Re Alfonso viene imposta una nuova tassa - colletta e vengono in questo modo riconfermati tutti i Baroni con le terre a loro appartenute: Vedi Appendice IV - Cronologia - anno 1445 - D. LUGINI, Memorie, p. 244 - Arch. Vecchio di Napoli quint. I - Vincenzo ALOI, Dissertazione storico-diplomatica sopra le avventure della insigne regal Badia di S. Maria della Vittoria in Sculcola, Napoli 1768, pag.10 - T. BROGI, La Marsica, p. 284-285 - P. A. CORSIGNANI, Reggia Marsicana, tomo I, p. 307 - Link
- Il documento nel 1638 e nel 1723 si trovava nell'Archivio della Diocesi di Rieti - Armadio VII - Fascicolo D - n. 5 - Documento non ancora visionato - Link
- Giuseppe GATTINARA, Storia di Tagliacozzo, Città di Castello 1894
- Trifone Basilio "Le carte del monastero di San Paolo di Roma dal secolo XI al XV " (Arch. R. Soc. Romana di Storia Patria 1909) vol. 32 pag. 79 doc. CCIII
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.17,072 - Numero Catena: 2305 - Regesto De Cupis - Link - Vedi anche l'appendice VII - Santuario di Sant'Anatolia - Link - Per quanto riguarda il fontanile, esso a mio parere potrebbe anche essere d'epoca romana, ma non avendo dati certi, per inquadrarlo storicamente ci rifacciamo alla versione ufficiale. Nel 1349 due violenti terremoti coinvolsero tutto l'arco appenninico centrale (Perugia, Frosinone, Benevento, Abruzzo, Molise). Ingenti danni ebbe anche Roma: crollò gran parte del perimetro esterno del Colosseo. Fu distrutta l'Abbazia di Montecassino. A Napoli crollò la facciata della cattedrale e venne distrutto anche il Monastero di San Vincenzo al Volturno vicino ad Isernia. Numerosi furono i morti (Wikipedia Italia - Voce «1349» - Link) - il 5 dicembre 1456 un altro immane terremoto sconvolse la Campania e le regioni circostanti, con epicentro nella zona del Sannio ebbe una magnitudo di circa 7.1, con ripetute scosse secondarie nella zona dell'Irpinia e del Molise. Migliaia le vittime (oltre 30.000), probabilmente si trattò del terremoto più forte che si è avuto sulla terra ferma in Italia nell'ultimo millennio, ad eccezione dei terremoti del 1908 e 1693 in Sicilia (Wikipedia Italia - Voce «1456» - Link)
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.18,010 - Numero Catena: 2306 - Regesto De Cupis - Link - Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.18,016 - Numero Catena: 1872 - Regesto De Cupis - Link - Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.18,020 - Numero Catena: 1873 - Regesto De Cupis - Link
- D. LUGINI, Memorie, p. 245 - da G. ALBINO, De Gest. Reg. Neap., p. 279
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.19,026 - Numero Catena: 1894 - Regesto De Cupis - Link - Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.19,025 - Numero Catena: 1893 - Regesto De Cupis - Link - Su Gentile Virginio Orsini: Enciclopedia Treccani - Sito web Condottieri di Ventura
- D. LUGINI, Memorie, p. 208-9 - da Giovanni ALBINO, De gestis Regum Neapolitanorum, p. 89-90 - Stefano INFESSURA, Diario della città di Roma, presso L. A. MURATORI, Rerum Italicarum Scriptores, tomo XXIII, c.1202
- D. LUGINI, Memorie, p. 212 - da G. ALBINO, De gest.reg. Napol., p. 334-5
- D. LUGINI, Memorie, p. 245 - da F. ANSOVINO, Hist. di casa Orsina, lib. 9 p.119
- C. TUTINI, Discorsi de' sette offic., p. 182 - D. LUGINI, Memorie, p. 245 da una sua versione dell'accaduto completamente divergente e la trae da COPPI, Memorie Colonnesi p. 107, 109 e da CONTELORI, Archivio Colonnese, p. 232.
- Il Re Federico II investe Fabrizio Colonna della contea di Albe e Tagliacozzo: Vedi Appendice IV - Cronologia - anno 1497 - D. LUGINI, Memorie, p. 306 - T. BROGI, La Marsica, - p. 317 - Link
- G. GATTINARA, Storia di Tagliacozzo, 1894, p. 94
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.20,016 - Numero Catena: 657 - Regesto De Cupis - Link - Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.20,017 - Numero Catena: 1917 - Regesto De Cupis - Link
- Documentacion napolitana en Zaragoza relativa a la devolucion de tierras confiscadas a napolitanos agevinos pactada en el tratado de Blois (20-10-1505) di Ángel Canellas López - Zaragoza 1982 - 1506 - Lista delli baruni rebelli, de le terre che tenevano et - per quanto se e possuto bavere informacione - de le intrate et renditi de dicte terre spectanti al barone, et in potere de chi se trovano de presente «Tucti queste terri legali insieme le tene lo signor Fabricio Colonna dal re Ferrando II et dal re Federico et confirmati dal signor duca de Terranova: Tagliacoczo, Albe, Celle, Auricula, Rocha de Bocte, Parete, Colle inter Monte, Rocha de Cerro, Verrichia, Colle, Cornaro, Capadoce, Pretella Secha, Paleara, Castello de lo Fiume, Curcumello, Cese, La Scurcula, Poyo Sinulfo, Sancto Donato, Scanczano, Poyo de Philippo, Sancta Maria, Castello Vecchio, Marano, Thorano, Latuschi, Spellino, Lo casale de Lentano, Castello Minardo, Sancta Anatholia, Rusciolo, Petra emola, Magliano, Paterno, Aveczano, Lugho, Trasaccho, Canistrello, Cappella, Tufo, Cività Andrana - d. 3083, t. 3, gr. 15 - Et tene de provisione llano sopra li pagamenti fiscali de dicte terre ducati sei milia correnti per li quali ha de tenere per servicio de la cattolica maiestá quarante homini d'arme armati d. 6000. Summa universale de dicte intrate: d. 9.083, t. 3, gr. 15.»
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.21,032 - Numero Catena: 1950 - Regesto De Cupis - Link
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 35 - Documento 43 - Link - Nell'archivio Colonna vi è un altro documento del 1611, che è un'attestazione dell'esistenza del privilegio, che indica come data dell'atto il 15 giugno 1516 invece del 16 luglio, ma ciò cambia di poco il verso della storia - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 41 - Pergamena 7 - Link
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 55 - numero 33 - Link
- Wikipedia Italia - Voce «Marcantonio Colonna» - Link
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 50 - Documento 44 - Link
- Scipione MAZZELLA, Descrittione del Regno di Napoli, Napoli 1586, p.157 e segg. - Link - Nel 1601 lo stesso autore pubblicherà una seconda edizione della Descrittione del Regno di Napoli dove riporterà la stessa numerazione dei fuochi del 1561 - Link
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.21,061 - Numero Catena: 709 - Regesto De Cupis - Vedi anche: Appendice IV - Cronologia - anno 1420. Nel regesto de Cupis l'atto viene registrato con data 1520 ma Bonomo da Poppleto visse un secolo prima e guardando attentamente la pergamena la data risulta poco leggibile e ci si può confondere tra 1400 e 1500.
- E. CELANI, Le pergamene dell'archivio Sforza-Cesarini, in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», vol. XV del 1892, p. 237 - Link
- D. LUGINI, Memorie, p.202 - 204
- La Nobilità del regno delle due Sicilie, Volume 1, Edizione 1, pag.478 - Link
- D. LUGINI, Memorie, p. 223
- D. LUGINI, Memorie, p. 224 - 225, doc. cess.ne da Franciotto a Francesco a pag.434-437 - da De Lellis p.220 e da doc. vari del Regno (arch. dell'Aquila e di Napoli).
- D. LUGINI, Memorie, p. 225 - 228
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 50 - Documento 49
- D. LUGINI, Memorie, p. 228 - 229 - da G. TARCAGNOTA, Nuova situazione di Napoli, p. 375
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 38 - fascicolo 11 - Pergamena - Link
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 50 - numero 18 - Link
- D. LUGINI, Memorie, p. 233 - 234
- Archivio Storico Capitolino - Pergamena - Segnatura: II.A.22,054 - Numero Catena: 746 - Regesto De Cupis - Link
- Rodolfo da Varano era figlio naturale del duca di Camerino Giovanni Maria (1481-1527), discendente del conte Gentile da Varano che, nella seconda metà del '200, era il capo dei Guelfi di Camerino - Link1 - Link2. Quando il padre morì di peste, nel 1527, Rodolfo si autoproclamò duca di Camerino, contro il volere di Caterina Cybo, moglie di Giovanni Maria. Nello stesso anno Rodolfo venne per questo incarcerato e decapitato a Macerata. Litta Pompeo (1781-1851) in Famiglie celebri di Italia. Varano di Camerino, scrive: «Rodolfo Varano. Naturale. Quando il padre era moribondo venne subito da Visse, ov'era governatore a Camerino. Il padre si turbo a vederlo, o temesse di udire da lui pretensioni alla successione dello stato, o fosse presago, ch'egli era per essere la cagione delle future calamità della famiglia, o finalmente perchè in quel punto estremo la di lui presenza richiamasse alla sua mente un delitto. Il padre spirò mentre gli aveva ordinato, che ritornasse al suo governo, ond'egli segui la tutrice Caterina, che nell'occasione della morte del marito, si ritirò nella rocca. Trovandosi quivi, cedè ai perfidi consigli di Venanzio della Serra s. Quirico, che lo spingeva ad impadronirsi del potere, persuadendolo, che dopo non gli sarebbero mancati gli ossequi, e gli affezionati. La moglie ambiziosa dopo averlo infiammato all'impresa, che in brevi momenti fu condotta a termine coll'imprigionar Caterina Cibo, chiamò in soccorso il fratello Sciarra Colonna, che in quel dì capo d'un corpo d'imperiali percorreva l'Umbria. Era in questi giorni Clemente VII prigione in castel s.Angelo, ma giunse nulladimeno il cardinal Cibo a soccorrere la sorella. Camerino fu dato al sacco, ed il cardinale dopo sanguinosa pugna fu obbligato a ritirarsi. Mentre Rodolfo si preparava a difendersi da una seconda aggressione, il cognato Sciarra lo carcerò, e s'impadroni della signoria, ed essendo ricomparse le milizie pontificie all'assedio, Sciarra concedè a Rodolfo che colla moglie se ne andasse. Passò innosservato tra gli assedianti, e per la via dell'Apennino s'incamminò verso gli Abruzzi. Se n'andava pe' fatti suoi provveduto di tutto ciò, che aveva potuto rubare, quando fu raggiunto da Alessandro Varano, ch'era accompagnato da molti contadini, e svaliggiato. Gli riuscì però di salvarsi nel castello delle Preci, ove erano poco prima entrati i fuorusciti ghibellini di Spoleto, e di Norcia. Fu subito assediato quel castello dal vicelegato della Marca, ed egli tradotto prigione colla moglie nella rocca di Pesaro. Gli fù restituita la libertà ne' patti convenuti da Sciarra nel cedere Camerino alle armi ecclesiastiche, e si crede che finisse i suoi giorni decapitato in Macerata».
- Il Castello di Turri era inabitato perchè distrutto dai francesi e Francesco Ferdinando Valignani, per farlo riabitare, ottenne una franchigia di dieci anni - Di Biagio ALDIMARI, Memorie historiche di diverse famiglie nobili, Napoli 1691 - Link
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 50 - numero 20 - Link
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 67 - numero 12a - Link
- Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1559-1590 - Pag.36b-37-37b - Link
- Archivio Colonna presso Santa Scolastico di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 67 - numero 12a - Link
- Archivio Colonna presso Santa Scolastico di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 67 - numero 11a - Link - Serie III BB - Busta 67 - numero 13a - Link
- enciclopediapicena.it Link: http://www.enciclopediapicena.it/pdf/M_333-21-2005.pdf
- G. RAVIZZA, Notizie biografiche che riguardano gli uomini illustri della città di Chieti, Napoli 1830 - Link
- Il libro si trova nella «Biblioteca degli Intronati di Siena» - Collocazione MISC. FP/50607601 - Anno 1584 - Link
- Flash - Il mensile di vita picena fondato nel 1979 - anno XXVII - n. 333 - p. 21, Il romanzo di Aurelia Guiderocchi di Alighiero Massimi - Link - Stanislao De Angelis Corvi «Tre dimore storiche dal metauro al tronto» - pag. 10 - Link
- Lo Stemma dei Valignano, il ritratto di Giovanni Vincenzo e la fede a lui dedicata di Marco Antonio Colonna sono tratti da: Isidoro NARDI, Genealogia della famiglia Valignana descritta da d. Isidoro Nardi patritio aquilano, dottore, e protonot. apost. Dedicata all'illustiss. ed eccellentiss. sig. d. Giulio Sauelli prencipe d'Albano, e del Sacro Romano Imperio, conte di Cincione, e maresciallo perpetuo di S. Chiesa, cavaliere del Toson d'oro, & c, Roma 1686, pag.134-135 - Link
- Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.311b-312 - Link
- Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1558-1603 - Pag.342-342b - Link
- Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1604-1612 - Pag.49 e segg. - Link
- Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1604-1612 - Pag.108 e segg. - Link - Archivio della diocesi di Rieti - Bullarium 1604-1612 - Pag.110 - Link
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III AA - Busta 193 - Documento 64 - Serie III BB - Busta 28 - Pergamena 73, Busta 28 - Pergamena 1, Busta 50 - Documento 52
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 28 - N. 48 Cartaceo - Link
- Wikipedia Italia - Voce «Chiesa di Santa Maria della Salute» - Link
- Sito web: nobili-napoletani.it - Voce «Famiglia Valignani» - Link - Nel 1533 il duca d'Atri Giovanni Antonio Acquaviva (Treccani) vendette Castelbasso, che nel frattempo venne a chiamarsi Castelvecchio a Basso, al nobile Giovanni Giacomo Valignani di Chieti, con la clausola del «pacto de retrocedendo». Di questo si avvalse il Cardinale Acquaviva, fratello di Giovanni Antonio e Arcivescovo di Melfi, per ricomprare «le terre che tant’erano antiche di sua Casa» e così farle tornare tra le proprietà dei duchi atriani. Successivamente, e comunque dopo il 1537, dopo che il Cardinale era «opportunamente» morto, Castelbasso tornò definitivamente in possesso dei Valignani (Link).
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 41 - Documento 12 - Link
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III AA - Busta 108 - Documento 91 - Link
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 42 - Pergamena 23 - Link
- Biblioteca del Monastero di S. Scolastica di Subiaco - Archivio Colonna - Serie III BB - Busta 42 - Pergamena 24 in 3 copie - Link